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Spazio Aperto: “Il lavoro e l’economia”

La ripresa, il cambio di passo

  21/07/2020

Di Redazione

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Ieri sera al circolo Arci di San Bernardino a Crema Davide Villani (del direttivo Arci) ha introdotto il dibattito (di cui alleghiamo il link al video in versione integrale) nell'ambito dell'iniziativa a puntate “Spazio Aperto”. Sono intervenuti il segretario generale cremonese della Cgil, Marco Pedretti, Tommaso Anastasio, della Rete delle Comunità Socialiste, l'imprenditore cremasco Umberto Cabini, l'assessore comunale al Bilancio Cinzia Fontana e il viceministro dell'Economia Antonio Misiani.

L'occasione è stata utile per fare il punto della situazione a cavaliere fra una situazione d'emergenza sanitaria che auspichiamo di esserci lasciati ormai alle spalle (seppure con tutte le precauzioni del caso) ed una crisi economica che forse deve ancora abbattersi, con tutte le sue drammatiche conseguenze, sul mondo del lavoro italiano che già prima della pandemia non godeva certo -e scusate il gioco di parole- di buona salute.

Non è di certo sfuggita al pubblico la replica del segretario della Cgil alle proposte di evoluzione delle relazioni sindacali da parte del portavoce della Rete delle Comunità Socialiste, il quale aveva posto il tema della cogestione mutuato dal modello tedesco seppure con tutti gli adattamenti al “caso nostrano”. Ai sindacati certo non passerà inosservato un elemento incontrovertibile che è il dato della stagnazione economica, pluridecennale ormai (citata anche dal vice Ministro Miniasi), con cui il nostro Paese dovrà, prima o poi, fare i conti. Questa stagnazione non è solo frutto di casualità o addebitabile unicamente alla mancanza di innovazione di molte nostre piccole e medie imprese, ma dovrebbe essere una presa d'atto che la competitività in un mondo globalizzato è fondamentale e che questa non può prescindere, né dalle dimensioni aziendali né da un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte aziendali. Solo così, anche l'ultimo dei rematori spingerà nella stessa direzione condivisa col capitano. Una maggiore democrazia industriale porterebbe stabilità a beneficio della coesione sociale. Certo, “partecipazione” significa anche assunzione di responsabilità, ma crediamo che i lavoratori italiani siano in grado di accettare questa sfida vista la reazione durantevla crisi pandemica degli operatori sanitari, del mondo della scuola (con la didattica a distanza) e non solo... Anche sul tema della produttività e delle ore medie annue lavorate, la coperta è corta ed il Re è pure nudo: abbiamo un costo del lavoro più basso della Germania, ma lavoriamo più ore (almeno il, 30% in più). Risultato: il costo per un'unità di prodotto, se va bene, è in linea con i competitors dell'est Europa (con la Cina non parliamone), ma a quale prezzo? Di bassi salari (che come potere d'acquisto sono fermi da vent'anni) e bassi livelli occupazionali, impegnati  a “timbrare straordinari” sottraendo ulteriore tempo che sarebbe possibile dedicare alla famiglia o a sacrosanti interessi personali. Aumentare la produttività avrebbe, quindi, riflessi positivi sulla vita dei lavoratori e se si parla di qualità del lavoro, non si può tenere fuori dalla porta l'efficienza, pena il coma irreversibile delle aziende per le quali rimarrebbe solo da decidere quando staccare la spina. In alcuni ambiti si potrebbe iniziare con esperienze di cogestione -aziende medio grandi ce ne sono- mentre in altre realtà si potrebbero adottare accorgimenti che favoriscano anche l'uscita da un cronico “nanismo industriale”, attraverso incentivi a forme di aggregazione di aziende dello stesso comparto e così via. Nell'accresciuta dimensione aziendale evolverebbero quantomeno le relazioni sindacali. L'artigianato di qualità e quello di nicchia -ça va sans dire- non saranno in pericolo, anzi, questi, sul mercato volano anche oggi perché è un comparto avulso dalle leggi che regolano l'industria. Piuttosto, sono le piccole-medie aziende, quelle in mezzo al guado, che faticheranno a restare su in un fiume sempre più in piena.

Troppo poco il tempo a disposizione per una controreplica del portavoce socialista, che sarebbe stata vista in chiave polemica (contro la volontà dello stesso relatore) e forse pure inelegante nei confronti del vice Ministro, in attesa di concludere il dibattito. A questo punto sarebbe necessario rimandare lo specifico tema ad un secondo round.

L'unica certezza è che i conti non tornano...

il pubblico presente all'evento
il pubblico presente all'evento

Per il segretario generale della Cgil, data la forte preoccupazione di un ritorno dei focolai in autunno, in questa prima fase urge prorogare il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione fino a fine anno, oltre a garantire la necessaria liquidità alle imprese. Non si deve però mettere in discussione il codice degli appalti o perdere di vista la sicurezza dei lavoratori (punto sul quale si è insistito anche durante il picco dell'emergenza). Successivamente, chiede al governo di approfittare dei fondi europei per indurre un cambiamento di rotta al Paese, pensando allo sviluppo della green economy e alla digitalizzazione per un miglioramento della qualità del lavoro.

Alla domanda del conduttore, verso quale idea di società è necessario orientarsi nella ripartenza per uscire dalla crisi secondo i socialisti, Anastasio ha invitato a considerare le difficoltà ulteriori di chi già lo era prima della pandemia. Il quadro generale dell'Italia non era confortante nemmeno prima dell'emergenza sanitaria ed il riferimento va a decenni di bassa produttività, scarsa competitività del nostro sistema produttivo e un poco onorevole primato in termini di evasione fiscale. Se la poniamo in termini ideologici, poi, quella neoliberista, ormai compiutasi su scala globale, ha mostrato tutti i suoi effetti negativi sulla società, ed è per questo che oggi c'è un forte bisogno di socialismo, riformista, gradualista e laico, che regoli le storture del mercato. In questa fase occorre porre rimedio con misure emergenziali, ma che dovranno rispondere all'eccezionalità della contingenza. Stando dentro, convintamente, in Europa si dovranno poi utilizzare al meglio i fondi europei per imprimere un cambiamento strutturale a lungo termine del Paese. Non ci possiamo permettere di ripartire come eravamo prima della crisi! Per fare ciò serve un diverso approccio politico-culturale che non è quello dello stato di emergenza a cui siamo abituati per trattare fin anche molte questioni di ordinaria gestione. Pensiamo anche alle riforme istituzionali volte a dare maggiore stabilità e forza ai governi che per la loro precarietà non sono in grado di attuare politiche lungimiranti e di sistema. Lo Stato dovrà assumere un ruolo di maggiore peso e guida nell'economia, a garanzia del suo sviluppo, ma nella direzione del progresso sociale. Per linee di indirizzo e non con rigide politiche di programmazione che non sarebbero più al passo coi tempi. Diversamente, ogni volta, socializzeremo le perdite e faremo i conti con enormi disuguaglianze fra i cittadini. Ecco perché non è scandaloso se lo Stato, in cambio di aiuti al sistema delle imprese, dovesse entrare nei CdA di queste, e assumerne delle quote di partecipazione. Anche il sistema delle relazioni industriali dovrà necessariamente modernizzarsi ed avviarsi verso una fattiva partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'azienda. Si pensi alla Cogestione alla tedesca con tutte le sfumature del caso. Senza colpevolizzare nessuno, lo sappiamo: la storia italiana, sia del sindacato, sia per il suo “capitalismo famigliare”, è cosa ben diversa rispetto al resto d'Europa. Ma non possiamo sottrarci dall'affrontare questa questione che ci lascia al palo rispetto ad altre realtà più avanzate come quella tedesca che anche per questi fattori, ha gestito meglio l'attuale crisi.

Cinzia Fontana, in qualità di Assessore Comunale, è chiamata a dare una prospettiva della crisi e della sua gestione dal punto di vista territoriale. Afferma che sono stati mesi in cui la coesione sociale e la rete dei comuni, insieme all'associazionismo, hanno dato prova di grande reattività per fronteggiare l'emergenza sanitaria (che non è detto che con l'autunno non verranno messi di nuovo alla prova). È stata l'occasione per ampliare le funzioni, anche in ambiti fuori dalle proprie competenze, e di cui si chiederà alla Regione Lombardia di potercene fare carico (penso all'area omogenea del cremasco) per il futuro. Si pensi soprattutto alle competenze in materia di politiche attive del lavoro e di sostegno al reddito; abbiamo da risolvere incombenze nel sistema scolastico e dei trasporti urbani per adeguarli affinché siano in regola con la prevenzione e la salute dei cittadini. Al comune di Crema, secondo le stime, mancheranno entrate per circa 5 milioni di euro e i 2,1 milioni circa che arriveranno dal governo (grazie al decreto per le province più colpite dal Covid-19) verranno utilizzati interamente per dare un sostegno al settore economico (commercio e ristorazione su tutti) e in ambito sociale come vecchie e nuove diseguaglianze, area educativa, sostegno all'occupazione e conciliazione lavoro-famiglia. Si vuole farlo coinvolgendo tutte le parti sociali e l'associazionismo, ecco perché riserviamo 500.000 euro di quei fondi per un progetto locale sulle politiche attive che si spera trovi l'avallo e l'aiuto da parte della Regione. Abbiamo imparato da questa pandemia che le risorse insite nei territori sono la migliore risposta alle crisi.

Cabini, per parte sua, evidenzia che per il rilancio della provincia e dei territori è stato predisposto un documento: il “Masterplan 3C”, condiviso da moltissimi esponenti a vario titolo dei tre territori, da qui le “3C” di Cremona, Crema e Casalmaggiore. Esso descrive i punti di forza e di debolezza per orientare un possibile sviluppo della provincia. Ricorda che il ritardo infrastrutturale costa ai cittadini della provincia di Cremona circa 160 milioni di euro l'anno! L'Europa è indispensabile, soprattutto per competere in un mondo globalizzato e contrastare Paesi economicamente forti come la Cina, ma l'Europa non può essere quella dei paradisi fiscali interni, a danno di economie come la nostra. La moneta unica non basta a fare un Europa Unita, occorre omogeneizzare la fiscalità, ma si pensi anche alle pensioni, all'IVA, etc… Dal governo ci si aspetta più attenzione verso le imprese, come ad esempio: portare l'IVA in detrazione da utilizzare per il sostegno all'occupazione risparmiando sul ricorso alla CIG; riduzione del cuneo fiscale per dare maggiore liquidità ai lavoratori; sostegno al credito verso le PMI; rilancio del “made in Italy” e protezione dei nostri brand; con i soldi del MES non dobbiamo correre a costruire ospedali, ma piuttosto ampliare la medicina di base, data l'esperienza appena fatta; si pensi poi alla sburocratizzazione/semplificazione, alla riforma della giustizia per attrarre nuovi investitori e in ultimo ma non per importanza la lotta, vera, all'elevata evasione fiscale.

Pedretti, in quanto è stato il primo ad intervenire, chiede di integrare il suo contributo e di replicare ad Anastasio in merito all'evoluzione verso “più moderne relazioni sindacali”: «Se si pensa a Salvini e alle sue proposte come la Flat Tax o sulla revisione del “Codice degli Appalti”, allora dico che questo governo sta facendo benissimo. Non capisco cosa si intende per moderne relazioni sindacali? E poi, noi siamo il Paese delle piccole e medie imprese; dove posso attuare la cogestione? Se vado con tali richieste da un qualsiasi datore di lavoro “mi manda a stendere” e in molte aziende non si parla di produttività, ma ti rispondono -tradotto dal dialetto-: “Vieni a lavorare e basta”. Noi non siamo la Germania e il CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) non può essere smantellato. Non cerchiamo alcun assistenzialismo, ma chiediamo di fare in modo che le aziende si riprendano». Ricorda poi che è necessario interpretare la direzione dello sviluppo tecnologico e digitale che eroderà posti di lavoro che andranno sostenuti con opportune politiche attive e mirate a redistribuire la ricchezza.

il gruppo Arci col vice Ministro Miniasi
il gruppo Arci col vice Ministro Miniasi

Il viceministro ha ricordato l'emergenza sanitaria e si è detto convinto che col virus bisognerà convivere a lungo. «Impedire una seconda ondata -ha sottolineato- ha anche un'enorme valenza economica. Lo vediamo dai Paesi che hanno imprudentemente riaperto troppo presto e ora stanno richiudendo. La perdita di PIL, stimata dall'8 al 12% è la più grave dal 1945! Ma i primi segnali di ripresa sono confortanti. L'obiettivo non è tornare alle condizioni dello scorso febbraio dopo vent'anni di sostanziale stagnazione dell'economia. Il tema principale è semmai quello di come rimettere il Paese in una condizione permanente di sviluppo. Sono stati “iniettati” nel sistema 75 miliardi che non saranno sicuramente sufficienti, ma nel frattempo sono stati raddoppiati i posti in terapia intensiva e sono stati assunti migliaia di medici ed infermieri, andando a rafforzare il sistema sanitario. Sono state prorogate le casse integrazioni e ampliate a lavoratori che non ne avevano diritto, compresi gli autonomi. Di questi, 31 miliardi sono andati a sostegno delle imprese con prestiti garantiti al 100% dallo Stato, come crediti di imposta per adeguamenti anti-covid, abolizione dell'IRAP a giugno, azzeramento dell'IVA sui DPI, eliminazione della clausola di salvaguardia per bloccare l'aumento automatico dell'IVA e 7 miliardi di finanziamenti agli Enti Locali».

Per l'autunno verrà chiesto un rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e a sostegno dello sviluppo delle imprese. «Ma da questo punto in avanti bisognerà pensare e lavorare in prospettiva, fuori dalla logica emergenziale, per uscire dal già citato ventennio di stagnazione economica. I fondi europei vanno utilizzati sapendo cogliere le opportunità e si pensi a quelle offerte dalla cosiddetta “transizione ecologica” come sviluppo di nuova economia e nuova occupazione; abbiamo risorse nazionali da potere mettere in gioco; c'è un'elevata patrimonializzazione dei privati in depositi bancari (1.500 miliardi) e investiti all'estero (255 miliardi). Si auspica un “Masterplan per l'Italia” con definizione di un programma e di priorità secondo le linee europee di sviluppo già elaborate e un'accelerazione sulla realizzazione di adeguateinfrastrutture digitali (banda larga ed ultra-larga). «Questo lavoro va fatto assieme alle forze sociali ed ai territori. Questo Masterplan lo dobbiamo scrivere tutti insieme -e conclude- l'Italia è un grande Paese, con grandi potenzialità. Dobbiamo avere fiducia!»

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