Il primo passo di una lunga marcia
Così avevamo definito il sottotitolo dell'articolo di fondo a firma di Virginio Venturelli, con cui forse inconsapevolmente abbiamo incardinato un format editoriale e, appunto, una lunga marcia. Avevamo fatto la stessa cosa nel 2016 in occasione del Referendum Costituzionale. Oggi i termini della questione, per quanto diversamente articolati, concorrono alla consapevolezza dell'esistenza di una questione di valenza costituzionale.
Rispetto alla quale la nostra testata, il suo Club di sostegno, la Comunità Socialista non potevano e non possono abbozzare.
Ça va sans dire, nella consapevolezza dei “grandi numeri” della questione operativa e della propria parva res.
Sia quel che sia ci mettiamo in gioco, se non altro sul piano che ci è proprio e congeniale dell'approfondimento e della divulgazione.
Su quello politico, pur nella percezione di ampie aree di affinità, dichiariamo di coltivare, anche in questa testimonianza, la nostra solitudine.
In tal modo testeremo la sostenibilità di questo gesto di reviviscenza, indirizzato ad interrogare le coscienze civili, se non altro, del perimetro lib lab cui apparteniamo.
Sul tema dell'Istituto Regionale condividiamo molta parte della riflessione di Bettini. Di nostro aggiungendo che il tempo è galantuomo, soprattutto, quando, a distanza di mezzo secolo, costringe per ragioni di onestà intellettuale a fare ammenda. Non erano queste le aspettative, che ci opponevamo ad Ugo La Malfa, dell'istituzione delle Regioni. Figurarsi, poi, coi successivi “tacconi” del Titolo V e dell'autonomia rafforzata.
Autonomia rafforzata
Poiché il dibattito politico in corso ha un'importante pagina aperta sul tema istituzionale (l'Autonomia differenziata), pubblichiamo un'importante riflessione di Domenico Cacopardo.
Mercoledì 19 giugno 2024, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva, salvo l'esame del Senato e le eventuali modifiche che questo inserirà (e che non sono prevedibili oggi anche in relazione alla volontà politica del governo di andare avanti sulla strada intrapresa) il disegno di legge di attuazione dell'art. 116, terzo comma della Costituzione, come modificato dalla riforma costituzionale del 2001: si trattò di una iniziativa della maggioranza di centro-sinistra attribuita nel concreto al ministro Franco Bassanini, approvata in fine legislatura con una maggioranza risicata.
Secondo gli usi da tempo introdotti nelle modalità legislative di questo Paese, la parte iniziale sviluppa una serie di proposizioni a-giuridiche volte con termini roboanti -in sostanza- a magnificare i contenuti del provvedimento di legge il cui testo è susseguente alla premessa.
Where is the beef? (Chiederebbe un cittadino del Regno Unito: dovè la carne, cioè la sostanza?)
Diversi sono i punti cruciali del disegno di legge. Partiamo dalle materie su cui si applica: sono 24 e tra esse salute, istruzione, sport, ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio con l'estero. Si tratta di competenze attualmente di competenza concorrente e, in tre casi, di materie di competenza esclusiva dello Stato.
Particolare cruciale: insieme alle competenze, le Regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale, a seconda delle necessità collettive.
La concessione di una o più “forme di autonomia rafforzata” è subordinata alla determinazione dei Lep, ovvero i criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito – è specificato nel testo – in modo uniforme sull'intero territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep, avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell'ultimo triennio. L'esecutivo, entro 24 mesi dall'entrata in vigore della legge approvata, dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep.
Per oggi riflettiamo su questi elementi.
Cosa significa affermare che il commercio estero sarà gestito in autonomia dalle regioni beneficiarie? Non significa che lo Stato non potrà più occuparsi delle esigenze dell'export nazionale?
Non possiamo dubitare che già nel concetto di autonomia differenziata c'è l'introduzione di una geometria variabile nel disegno istituzionale riguardante lo Stato nazionale e le regioni. Non si tratta di un fatto nuovo, ma di qualcosa che era già previsto nella Costituzione del 1948 avuto riguardo alla Val d'Aosta, al Friuli Venezia Giulia, alle provincie di Trento e Bolzano, alla Sardegna, alla Sicilia: tutte situazioni speciali per ragioni geografiche, storiche, di presenza di minoranze che hanno determinato, naturalmente, esiti amministrativi e differenziati del tutto diversi. Eccellenti in alcuni casi, pessimi in altro, soprattutto in Sicilia, regione nella quale le classi dirigenti non sono riuscite, dal 1948 a oggi, a trovare la strada per trasformare l'autonomia in fattore di sviluppo.
Se torniamo, però, al contenuto dell'autonomia rafforzata possiamo renderci conto che le 24 competenze che possono essere trasferite saranno, una volta applicata la legge, disciplinate da normative differenziate i cui limiti dovrebbero essere contemperati dall'introduzione dei Lep, i livelli minimi di prestazioni.
Manca in tutto questo ragionamento e nelle relazioni tecniche una realistica valutazione delle risorse occorrenti, giacché il trasferimento delle competenze sarà accompagnato dal trasferimento delle risorse a esse destinate e che i Lep comporteranno un esborso netto di alcune decine di miliardi.
Il primo problema, quindi, è quello delle compatibilità finanziarie che in uno Stato come il nostro con un deficit anomalo (147% del Pil) e una procedura di infrazione per debito eccessivo, sembrano impossibili da definire. Tali comunque da rendere velleitario il disegno di riforma costituzionale. Ripeto che secondo il disegno di legge, le regioni beneficiarie della nuova autonomia (Lombardia e Veneto mentre l'Emilia Romagna si sarebbe ritirata) potranno trattenere il gettito fiscale, che cesserebbe di pervenire nella finanza statale.
Il sistema prefigurato da queste norme stabilisce che l'implementazione dei principi approvati avverrà mediante di provvedimenti di natura amministrativa, negoziati in termini quasi contrattuali tra lo Stato e le regioni: strada questa che da un lato attenua il controllo parlamentare e dall'altro consentirebbe, a condizioni tutte da esplorare, il ricorso alla giustizia amministrativa per quelle decisioni che potrebbero apparire lesive degli interessi legittimi delle regioni controinteressate.
È difficile a questo punto immaginare -e mi ripeto- per quali vie il governo della Repubblica potrà dare attuazione a questa stessa legge visto che la situazione della finanza pubblica offre al potere esecutivo margini di manovra pari a zero.
Se questo è lo stato dell'arte, ben altre sono le evoluzioni che questa norma offre a chi intendesse cercarle e metterle a frutto: senza entrare nella istituzionalizzazione dell'esistenza di italiani di serie A e di serie minori, è possibile che presto si realizzino forme di coordinamento tra le regioni destinatarie del rafforzamento della loro autonomia, cioè Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Guardando lontano un coordinamento che sostanzierebbe una forma di governo autonomo dell'area padana interessata. Insomma, la realizzazione del sogno di Umberto Bossi, di realizzare una Padania forte e autonoma.
C'è quindi tanta materia di riflessione per gli italiani. La radicalità della decisione sull'autonomia allargata incide in modo sostanziale e irreversibile sulla Costituzione della Repubblica. Non c'è dubbio che essa meritasse un aggiornamento.
Dovremo capire se la linea politica della Lega, in questo caso vincente, non confliggerà con l'interesse collettivo.
La Comunità Socialista Cremonese
Le Regioni sono entrate nel nostro ordinamento in modo contrastato e con molto ritardo. Ufficialmente nascono con la Costituzione della Repubblica del 1948, e vengono modificate nel 1963 con la creazione del Molise e del Friuli-Venezia Giulia. Ma fino al 1970, quando furono per la prima volta eletti i consigli, non è esistito nessun potere regionale.
Il primo ventennio di storia delle regioni consente sia di dare attuazione al dettato della carta costituzionale sia di dare accesso al governo delle istituzioni locali alle forze politiche che erano rimaste ai margini del gioco istituzionale.
Dopo vent'anni con Tangentopoli si affacciano nuovi soggetti politici destinati a segnare il percorso successivo dell'assetto politico come la Lega Nord.
Il richiamo verso l'attuazione del dettato costituzionale diventa spinto verso un radicale cambiamento del disegno istituzionale.
Sono gli anni dei richiami verso la secessione l'impulso ideologico che consente al partito di Umberto Bossi di crescere elettoralmente facendo leva sulle presunte risorse sottratte al Nord dal governo romano e dalle regioni meridionali.
I vari governi ne assecondano la direzione mediante la sua istituzionalizzazione, con una estensione dei poteri assegnati alle Regioni.
Nasce così la riforma del Titolo V della Costituzione ed il ribaltamento nella struttura dei poteri.
Allo Stato centrale restano alcune competenze esclusive, mentre tutto il resto viene assegnato alla titolarità delle Regioni.
Nelle Regioni del Nord si radica comunque il convincimento che il nodo centrale non sta solo nella titolarità dei processi decisionali, ma nel governo diretto delle risorse finanziarie, mantenendole per quanto è possibile all'interno dei territori che le generano.
Comincia la fase di una nuova accelerazione, denominata autonomia differenziata.
I passaggi di questo processo vengono costruiti a tappe successive, culminate nel 2017 con i referendum consultivi sull'autonomia celebrati in Veneto e Lombardia.
Sono passati ormai sette anni da quella consultazione, ed i primi passi di questa
legislatura sono caratterizzati dalla volontà di mettere al centro l'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario senza però che sia mai stato compiuto un bilancio sull'operato delle regioni italiane, dal 1970 in avanti, mentre questo sarebbe un esercizio necessario, per comprendere la direzione di marcia più adeguata per ripensare il meccanismo di funzionamento delle istituzioni italiane.
In questi anni si è determinato un progressivo indebolimento della macchina amministrativa dello Stato centrale, cui non ha corrisposto una crescita adeguata dei soggetti di governo locale.
La qualità della classe dirigente burocratica è andata via via deteriorandosi, al centro come nelle periferie, mentre è cresciuta a dismisura l'articolazione delle strutture elettive su scala locale, non solo con gli organismi regionali ma anche con i municipi nei Comuni e poi anche con le città metropolitane.
Mentre andavano indebolendosi le grandi aziende pubbliche nazionali, che esprimevano un disegno generale di sviluppo, andavano crescendo le piccole aziende pubbliche locali, condizionate pesantemente dalla politica territoriale.
La narrazione di Roma ladrona ha consentito l'ulteriore proliferazione di un numero infinito di centri di spesa e di centri di burocrazia.
Ci troviamo oggi davanti ad un bivio: vogliamo ancora spingerci verso l'approfondimento delle autonomie locali oppure vale la pena di fermarci un attimo a riflettere, misurando gli effetti delle politiche che sono state messe in campo sinora?
Provocatoriamente, delineiamo uno scenario di riforma costituzionale nel quale siano le regioni ad essere abolite, perché hanno fornito una pessima prova amministrativa.
Qualche domanda ci aiuterebbe a decidere.
E' migliorata la sanità regionale rispetto al servizio sanitario nazionale? Il servizio di trasporto pubblico locale ha registrato una svolta positiva da quando sono le Regioni ad averne una piena responsabilità?
Abbiamo visto una politica locale del lavoro che ha dato impulso alla modernizzazione del mercato del lavoro nazionale? La regionalizzazione della formazione professionale ha generato un modello efficiente che eroga prestazioni all'altezza della modernità?
Luigi Einaudi, nelle sue tante prediche inutili, ricordava sempre che era necessario conoscere per deliberare. Abbiamo misurato mai l'azione delle Regioni per fare un bilancio serio sul loro operato ad oltre mezzo secolo dalla loro istituzione?
Mentre continuiamo a non misurare nulla, l'inclinazione della discussione politica continua ad indirizzarsi verso un processo di ulteriore autonomia regionale.
Secondo le teorie che si sono affermate nel corso dei decenni passati, avvicinando le istituzioni ai cittadini avremmo dovuto registrare un miglioramento nelle performance decisionali delle istituzioni. È invece accaduto esattamente il contrario. L'Italia ha segnato tasso di sviluppo economico da primato quando era un Paese centralista, nel corso degli anni Sessanta, mentre il motore della crescita si è imballato completamente quando si è arricchita la platea delle istituzioni, ed il modello organizzativo ha avvicinato al territorio le scelte pubbliche che sono state compiute.
Il percorso dal regionalismo iniziale al federalismo, per giungere alle ipotesi di autonomia differenziata, ha contribuito al peggioramento delle condizioni materiali, particolarmente negli anni più recenti. L'autonomia differenziata allarga il solco delle autonomie e delle sperequazioni tra i territori.
Già oggi la spesa pubblica regionale per i servizi fondamentali viene ripartita sulla base di criteri storici, che non corrispondono a meccanismi di equità tra i cittadini. A differenza di quanto previsto dalla legislazione, non sono mai stati stabiliti i livelli equivalenti di prestazione e di assistenza (LEP e LEA).
Se si dovesse procedere lungo il sentiero della nuova stagione di autonomia differenziata in assenza di una chiara identificazione di livelli omogenei di trattamento tra i cittadini dei diversi territori, si aprirebbe un solco incolmabile tra le regioni del nostro Paese, fotografando una realtà attuale già oggi portatrice di insopportabili diseguaglianze nella erogazione dei servizi fondamentali tra i territori.
Prima di andare ad un passo dalla dissoluzione dell'unità nazionale, forse sarebbe un servizio utile per i cittadini e per i decisori misurare l'effetto delle politiche condotte dalle Regioni italiane, a distanza di più di mezzo secolo dalla loro istituzione. E forse potrebbe essere interessante mettere a confronto il percorso verso l'autonomia differenziata con l'abolizione delle Regioni. D'altronde conoscere per deliberare.
La parola ai lettori e ai rappresentanti istituzionali
Caterina Lozza, Vicenza
Sagge le parole di Cacopardo quando dice che la legge elettorale ha allontanato il Paese reale da un Paese uscito dalla volontà dei cittadini attraverso il voto. Certo la legge elettorale va cambiata ed il referendum è lo strumento che dà la possibilità ai cittadini di avere il potere di farlo. Vero è che non si raggiunge mai il quorum, spesso viene strumentalizzato e gli elettori, oggi fortemente disertori delle urne, non vanno a votare. Speriamo si riesca a raccogliere le firme.
CGIL Cremona
“Una firma per l'Italia”. Costituito a Cremona il coordinamento provinciale per il NO all'Autonomia Differenziata
Cremona 18 luglio - A Cremona si è costituito il Coordinamento provinciale per l'abrogazione totale della legge Calderoli sull'autonomia differenziata. Questo coordinamento rappresenta una declinazione locale del comitato nazionale "Una firma per l'Italia", il cui obiettivo è raccogliere almeno 500.000 firme a livello nazionale entro la fine di settembre per avviare il percorso referendario. Nel pomeriggio di mercoledì 17 luglio, la CGIL Cremona ha invitato associazioni, partiti politici e organizzazioni locali promotori del quesito referendario e soggetti che lo sosterranno, per discutere i primi passi operativi. La raccolta firme inizierà dai primi giorni della prossima settimana. Tutte le organizzazioni presenti hanno rimarcato l'importanza del referendum e la necessità di unire le forze democratiche del Paese in questa sfida cruciale, una battaglia comune ed unitaria che inizierà con la raccolta firme e proseguirà con la campagna elettorale una volta avviato il percorso referendario. Il coordinamento cremonese concorda nel ritenere l'autonomia differenziata un vero e proprio progetto delle diseguaglianze che dividerà il Paese e aumenterà i divari sociali, compromettendo i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. L'autonomia è una vera e propria controriforma che non colpirà solo il Sud, ma l'intero Paese, comprese le “ricche” ed “eccellenti” regioni del Nord, privandolo di opportunità di crescita sociale, occupazionale ed economica. I rischi sono molti e toccano specialmente le fasce più deboli: ne risentirà l'istruzione pubblica, il welfare universalistico sarà ridimensionato, il sistema sanitario subirà ulteriori danni, la prevenzione degli incidenti sul lavoro sarà indebolita e i contratti collettivi nazionali di lavoro saranno messi in discussione, frammenterà le politiche di tutela dell'ambiente e degli ecosistemi e renderà più difficile anche il fare impresa. A farne le spese saranno, quindi, soprattutto le fasce popolari e le aree più vulnerabili dell'intero Paese, con gravi ripercussioni sulla coesione sociale e sul tessuto produttivo nazionale. A breve sarà definito il calendario per la raccolta firme e delle iniziative informative e incontri con i cittadini della provincia, rafforzando l'idea di una lotta comune e spiegando le ragioni dell'importanza di questa iniziativa che, nella pratica, interessa tutte e tutti. Già nei prossimi giorni saranno organizzate le prime iniziative e verranno forniti tutti i dettagli per consentire la firma anche sulla piattaforma online.
Aderiscono al coordinamento: CGIL, UIL, ARCI, ANPI, ACLI, AUSER, Associazione 25 aprile, Comitato Democrazia Costituzionale, Stati Generali Clima, Ambiente e Salute, Pax Christi, Comunità Laudato Si, Libera contro le Mafie, Partito Democratico, Sinistra Italiana, Europa Verde, Rifondazione Comunista, Movimento 5 Stelle, PSI, Italia Viva, Possibile.
Il coordinamento è aperto alle associazioni e organizzazioni che, nei prossimi giorni, vorranno aderire condividendone lo spirito e le finalità.