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L’anno che verrà

La nostra adesione a piedinispecialimacrodattilia@yahoo.com

  24/11/2020

Di E.V.

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Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po'

 

E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò

Da quando sei partito c'è una grande novità

L'anno vecchio è finito, ormai

Ma qualcosa ancora qui non va

Si esce poco la sera, compreso quando è festa

E c'è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra

E si sta senza parlare per intere settimane

E a quelli che hanno niente da dire

Del tempo ne rimane

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno

Porterà una trasformazione

E tutti quanti stiamo già aspettando

Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno

Ogni Cristo scenderà dalla croce

Anche gli uccelli faranno ritorno

Ci sarà da mangiare e luce tutto l'anno

Anche i muti potranno parlare

Mentre i sordi già lo fanno

E si farà l'amore, ognuno come gli va

Anche i preti potranno sposarsi

Ma soltanto a una certa età

E senza grandi disturbi qualcuno sparirà

Saranno forse i troppo furbi

E i cretini di ogni età

Vedi, caro amico, cosa ti scrivo e ti dico

E come sono contento

Di essere qui in questo momento

Vedi, vedi, vedi, vedi

Vedi caro amico cosa si deve inventare

Per poter riderci sopra

Per continuare a sperare

E se quest'anno poi passasse in un istante

Vedi amico mio

Come diventa importante

Che in questo istante ci sia anch'io

L'anno che sta arrivando tra un anno passerà

Io mi sto preparando, è questa la novità

Nel testo di Lucio Dalla (che, nonostante continuiamo ad essere impermeabili al fascino della poesia in musica, ci manca tanto) c'è praticamente tutto.

Di quanto può far bene a Federica Verduzzo, scesa in campo con una testimonianza di grande freschezza, di grande maturità, di grande valore civico. Di quanto potrebbe essere di giovamento alla saldezza ed alla serenità d'animo del parroco di Agnadello, chiamato, nonostante l'irrefrenabile progressione della “secolarizzazione” (nda, l'interessato può leggere anche ateizzazione) ad un importante ruolo comunitario. Di quanto universalmente dovrebbe essere nelle consapevolezze di tutti e di ognuno noi di noi di fronte ad una scansione disincantata del tempo, all'attuale contesto un po' così (in cui come dice Lucio: “si esce poco la sera”), all'esigenza di armonizzare e di convergere. Per trovare le feconde ragioni per essere noi e non io e per cogliere in una quotidianità fino a qualche mese fa inimmaginabile gli assist giusti. Non solo per la resilienza da questa disperante palude, ma soprattutto, alzando lo sguardo, per ridisegnare un nuovo ordine esistenziale.

All'insegna, si ripete, dell'inclusione, della comunione civile, della piena cittadinanza della prerogativa di scelta degli stili di vita (purché dettati dall'imperativo secondo cui la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri). Se il Don si fosse soffermato sulla strofa della bellissima composizione (che sarebbe riduttivo definire canzone) di Lucio Dalla, strofa che abbiamo evidenziato in neretto e che ad abundantiam riprendiamo (“E si farà l'amore, ognuno come gli va, anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto ad una certa età”), forse, e sottolineiamo forse, avrebbe corso il rischio di evitarsi (o almeno di attenuare) la scivolata che l'ha indotto a proclamare dal pulpito “i gay sono persone malate, vanno curati”.

Neanche lontanamente saremmo tentati di contestare al reverendo parroco e pastore (dalle cui performances difficilmente scaturirà qualche conseguenza di immunità spirituale e civile) la circostanza che prima di guardare la pagliuzza (che tale non è) della opzione di diversificazione dell'affettività e della sessualità, tarata dai nuovi approdi etico-morali, dovrebbe accorgersi delle mastodontiche travi degli stili di vita della categoria, che qualcuno chiama casta, nei cui ranghi opera.

Sarebbe il caso di ricordargli, ben consapevoli della non equivalenza delle due specie, che una cosa è la libera opzione per l'esercizio della propria affettività e che ben altra cosa è l'esercizio arbitrario della pedofilia.

Prerogativa, come ben dovrebbe percepire (dato che a pochi chilometri da lui sta scontando una condanna un correligionario di alto rango), molto diffusa (ça va sans dire insieme all'omosessualità) nei ranghi presbiteriali. In cui alberga, come coraggiosamente denuncia l'attuale Papa, un diffuso fenomeno (immaginabile, ma non nelle dimensioni e nella gravità emerse) di venalità e di corruttela che hanno pervaso gangli vitali della Chiesa.

Pur rivendicando la nostra testimonianza atea (ed anticlericale), non abbiamo nulla di che compiacerci in una sorta di Schadenfreude di questa severa denuncia. Perché responsabilmente riteniamo che una ancora diffusa spiritualità indirizzata in senso tradizionale sia riscontrata da una comunità ecclesiale, capace di autorevolezza etica e di coesione comunitaria.

Diciamo che i tempi hanno corso molto più velocemente della volontà e della capacità della cathedra degli apparati ecclesiali di inseguire l'evoluzione del pensiero e degli affrancamenti etico-morali.

Indubbiamente, il calamitoso contesto della pandemia mette in disarmante evidenza sia l'arretratezza della testimonianza ecclesiale sia l'improponibilità di attingere, come capitò in passato, alla lectio facilior della punizione divina e del castigo biblico.

Se non proprio allo sbando, l'armamentario della risposta ecclesiale, più che alle sfide alle dure sentenze delle tragedie in corso, denuncia tutta la sua inadeguatezza.

Condizione che contrasta con l'impulso ad esternare (per altro, in regime di pulpito) in evidente contrasto con il severo factchecking degli scenari, “verità” dogmatiche che stridono con l'autorevolezza di chi le agita, fino a renderle insopportabili anche al credente medio.

Nel piano di studi della formazione dei ministri di culto la gerarchia ecclesiale dovrebbe istituire e collocare in posizione di centralità la disciplina riguardante il dovere dei ministro di culto di rispettare, oltre che l'etica del rispetto della diversità di sensibilità, anche le prerogative dei diritti civili, sanciti dalle leggi dello Stato.

Tra cui, appunto, quello di praticare senza compressioni tutti i leciti stili di affettività e di unioni stabili.

Chi scrive non appartiene assolutamente ai bacini del politically correct e delle testimonianze dogmatiche. Non indulge a comprensione verso gli “orgogli”. Semplicemente, rivendica per ognuno e per tutti di fare l'amore, ognuno come gli va. Che detto così e non corredato dalla rivendicazione della piena prerogativa di organizzare unioni stabili, discendenti da tale scelta ed indirizzate in una feconda direzione comunitaria, potrebbe valere per quella formulazione riduttiva che non vuole essere.

Troviamo sconcertante che si definisca patologica la condizione di tutti ed ognuno degli appartenenti ai Lgbt e che si sostenga la risposta “terapeutica”. Una risposta, lo segnaliamo a don Martinengo, già affrontata da tutti i regimi autoritari e totalitari imperversati sul globo terracqueo.

Veda, piuttosto, egli stesso di affrontare un cheek se non proprio psichiatrico, almeno psicoattitudinale circa il possesso dei requisiti per l'esercizio del ministero pastorale.

E, dato che siamo sul pezzo, vorremmo, non già allargare lo spettro di una polemica che già di per sé si sta rivelando non edificante, bensì suggerire sobrietà e compostezza nella parola e nelle posture dell'attività pastorale.

Ha senso, ci domandiamo, che il Vescovo della Diocesi di Cremona, il cui esordio coincise con un'intemerata contro la rivendicazione del “corpo libero”( nel senso della libertà di fine vita), si inerpichi sulle pericolose pareti di un'assurda parificazione tra la solitudine in cui vengono lasciati morire i vecchi e la solitudine in cui viene praticato l'auto-gestito aborto farmacologico?

Per carità di patria, non osiamo neanche accennare alla scapigliatura di vecchi parroci impegnati a diffondere una risposta negazionista al già improbo compito dei governanti istituzionali.

Per le ragioni sopra espresse, aderiamo sia personalmente (ne fa fede l'immagine fotografica) sia come testata (ne fa fede il logo) alla campagna contro l'omotransfobia (per inciso ricordiamo il recente sostegno dato alla campagna dei compagni Radicali), che ha intrapreso Federica Verduzzo.

Cogliamo l'occasione, in forza dell'appartenenza ad una fattispecie anagrafica situata più sul nonno che sul genitore, per esprimerle la nostra solidarietà. Nella consapevolezza delle controindicazioni e delle complicazioni che ha già comportato e che presumibilmente comporterà la sua scelta esistenziale.

Ed il nostro augurio. Di serena cognizione di vivere la propria vita nella dimensione affettiva che ritiene ma anche con il senso prioritario di devozione agli obblighi di genitore.

Non abbiamo dubbio alcuno che è e sarà così. In tal modo togliendo argomenti pretestuosi ed ingenerosi ai testimoni di pregiudizio e di malevolenza (anche se esercitano dal pulpito).

e.v.

ps: rivendichiamo, in linea con gli auspici di Lucio Dalla, il pieno diritto del Parroco di Agnadello di sposarsi, almeno di “unione” senza pregiudizio di genere.

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