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Il responso delle urne a Pizzighettone Tanto va la gatta al lardo… che ci lascia lo zampino

Affrontiamo, tosto, il senso del rimando all’adagio implicito nel titolo. Per azzardare che la morale del comportamento elettorale dello sconfitto PD dell’autosufficienza è proprio questa

  08/06/2016 13:23:00

A cura della Redazione

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Ancora una volta, dopo le due precedenti, il centro-sinistra, fiducioso nei vantaggi del maggioritario e certo di avere, con la scomparsa di Fulvio Pesenti, annullato la sua testimonianza ed automaticamente introitato il pacchetto di voti, ha pensato di avere ormai la vittoria in tasca.

Forte di tale controfattuale sicumera, il locale vertice democrat, risultante di una delle ricorrenti OPA per il controllo del partito di Renzi, non ha mai mostrato, neanche per finta, l’intenzione di sondare l’ipotesi di una convergenza di coalizione.

Sbrigativamente, con un paio di incontri (meno che di cortesia) il gruppo dirigente, constata una condizione non esattamente congrua per gli snodi prefissati, si era messo in proprio.

Nelle due precedenti vigilie elettorali (2001 e 2011) neppure un minimo di galateo era stato osservato: DS e poi PD non erano stati disponibili né per le buone maniere né per un preliminare confronto programmatico (che si concede anche ai reprobi).

Come andò è facile ricordare: sconfitti. Solo nella consiliatura del 2006, con la benevola decisione di Pesenti e dei socialisti di non presentarsi alla competizione, i democratici di sinistra furono graziati e conquistarono la maggioranza.

All’insegna del “si crede e si spera” c’hanno (come la proverbiale, pizzighettonesissima “Marenguna”) riprovato per la terza volta.

Che significa ciò? Significa che, nonostante il vantaggio del maggioritario applicato ad una fattispecie priva di ballottaggio, il cosiddetto centro-sinistra dell’Adda, da solo, non vince; non può vincere.

Perché gli mancano i consensi e, senza offesa, anche gli spunti teorici (a meno che per tali gli interessati volessero accreditare gli alambicchi politologici, generici e di maniera, dispensati durante la campagna).

Get real! Guardiamo alla realtà per ciò che è e non per ciò che si vorrebbe fosse! L’epilogo è di fronte agli occhi di tutti e sulle ragioni non bisognerebbe barare. Le ricostruzioni ad usum delphini (come sta facendo il segretario locale, supportato dal “federale”) soffrono terribilmente sul piano della logica.

Noi, che abbiamo seguito la filiera elettorale dall’esordio, affrontiamo qui una rivisitazione filologica (filo=amante della logica). È per ciò che ci permettiamo di rileggere e ribadire, a distanza di tempo, ciò che abbiamo detto e scritto senza provare imbarazzo.

Essere coerenti non è obbligatorio. Ma ammettere i propri sbagli prima di farne altri non sarebbe preferibile?

Solo nel caso il PD avesse voluto consumare un suicidio rituale, ci troveremmo di fronte ad una stupida provocazione più che ad un errore.

Prima se ne rendono conto gli autori e prima può ripartire, ammesso che la vogliano, la loro resilienza nella considerazione dell’elettorato e nel ruolo che il medesimo ha per loro fissato nella consiliatura, come protagonisti della funzione di controllo sull’operato della giunta. E a futura memoria.

Appesi al chiodo della nostalgia canaglia per i tempi in cui i traghettatori verso gli approdi della seconda repubblica si permettevano di fare il bello ed il cattivo tempo, gli eredi del post/catto-comunismo hanno riesumato, per tutta la campagna elettorale, la variante della delegittimazione. Definendo, agli occhi del potenziale elettorato socialista, i testimoni della continuità della lista di centro di Pesenti come “traditori”.

Ed ingaggiando così una scalata di vertiginose vette di surrealismo. Visto che durante tutto l’ultimo quarto di secolo i socialisti di Pizzighettone ed il centro-sinistra mai sono stati alleati.

D’altro lato, come avevamo osservato in più occasioni, il profilo di Pizzighettone al Centro, mai stato pervaso da richiami ideologici, ha sempre puntato esclusivamente alla realizzazione della buona amministrazione, assistita da una prevalente, o se si vuole quasi esclusiva, idea-guida pragmatica.

Per due mandati, il consigliere Pesenti dai banchi di una minoranza, non preconcetta ma collaborante (con la Giunta e con l’opposizione) aveva dimostrato che il ruolo di controllo sull’operato dell’esecutivo può anche sfociare in un rapporto non prefissato e, come tale, fecondo per l’interesse comunitario.

Tale è stata la premessa che ha favorito l’opzione per una collaborazione organica; all’interno di una coalizione che, per quanto sostenuta da alcuni partiti, è animata da un progetto esclusivamente civico.

Ha vinto e, se resterà fedele a questo cardine (vale a dire se gli eletti non si faranno fagocitare dall’impulso a fare da cinghia di trasmissione dei partiti lasciati fuori dalla porta, ma potenzialmente interessati a rientrare dalla finestra), questa esperienza potrebbe funzionare e germinare anche in altri quadranti.

Gli scenari della vecchia politica sono radicalmente cambiati. Anche rispetto all’amministrazione del territorio.

Fossimo nei panni del “federale” democratico, impegnato in queste ore post-elettorali in una sorta di excusatio non petita e ad azzardare mirabolanti successi elettorali, baderemmo maggiormente ad un lettura realistica della situazione.

Il centro-sinistra provinciale (tanto per intenderci, lo registriamo con preoccupazione; come peraltro fa in una nota il segretario del PSI Paolo Carletti)) è pervaso da non poche criticità. La maggiore delle quali è, secondo chi scrive, rappresentata da un forte deficit di coesione politico-territoriale. E, se è consentito, di autorevolezza del gruppo dirigente.

Ne sia dimostrazione il fatto che da ormai troppi anni il PD, il partner di riferimento dell’area di centro-sinistra (che in provincia ha dimensioni e ruoli ancora significativi), arranca sempre più nell’espletamento della leadership.

Da tempo ha abdicato, un po’ ovunque (soprattutto, nei centri più importanti), alla legittima ambizione di esprimere, con uomini adeguati, ruoli di vertice.

Si presenta spesso nelle fattezze della “balena” che fu per decenni la DC del ministerialismo.

Come a Cremona, Crema e, come abbiamo visto, a Pizzighettone è prevalentemente infiltrata di apporti che hanno ben poco da condividere con la cultura riformista e con l’idea di municipalismo socialdemocratico.

Continuano a credere, sull’altare della conquista delle posizioni di governo, che il viatico ed il perno per questo sistema di potere siano costituiti dall’unzione dei candidati graditi agli ambienti ecclesiali.

Avere tante bandierine sulla mappa geo-istituzionale a che serve per una cultura riformista? Serve ancora cincischiare attorno all’opzione culturale tra la continuità od il disincanto?

Specie in scenari in cui una lettura continuistica col passato inibisce la consapevolezza di un fenomeno che tende a travolgere il tradizionale rapporto tra istituzioni locali e cittadinanza.

Con una massiccia dose di (realistico) cinismo il sempre apprezzato opinionista Cazzullo recentemente osservava sulle pagine del Corriere della Sera: “Oggi il Sindaco non è più l’interprete della sua città; a volte è un reprobo, sempre è un amministratore che non ha un euro da spendere”.

Speriamo, invece, che Moggi, pur nell’acuzie finanziarie, sappia mantenere un profilo suscettibile di costituire elemento di identificazione della comunità. I soldi sono quelli che sono. Ma alla maggioranza, scaturita dalle urne qualche giorno fa, una sorta (per sforzo di ringiovanimento) di squadra primavera, è lecito chiedere di sognare e di pensare oltre la quotidianità. Di coniugare i gesti di buona amministrazione di ogni giorno con un progetto in divenire. Capace di far riprendere al borgo rivierasco l’aggancio con la spinta all’innovazione ed allo sviluppo. Che costituì il marchio di stagioni feconde.

Ricordino il giovane Sindaco Moggi e, se possibile, gli eletti tutti, l’ammonimento di Oscar Wilde: “Il progresso è il risultato delle utopie”.

e.v.

 

 

 

 

 

 

 

 

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