Diciamo che un'eccezionale congiunzione astrale ha fatto sì che, in questi tempi un po' così dal punto di vista del mantenimento di una significativa soglia di attenzione sulla correlazione tra eventi apparentemente disgiunti, sia stato, invece, possibile una declinazione organica di buoni accadimenti politici.
Come comanda la declaratoria del combinato-disposto tra politica ai tempi della polarizzazione leaderistica e informazione necessariamente correlata, nei giorni scorsi in occasione delle Primarie del PD, si è focalizzato un particolare cucito sul competitor vincitore (vincitrice…boh) un particolare, non si sa bene se come valore aggiunto della personalità o, come succedeva in un recente passato, se con intenti poco amichevoli.
Uscendo dalla metafora, Elly Schlein ha una famiglia ragguardevole, come consistenza numerica e curriculare. Del nuovo leader PD si sanno, secondo uno storytelling declinato all'essenzialità per le cose che contano (i veri proponimenti in materia di applicazione concreta della caratterizzazione dell'offerta presentata al popolo delle Primarie), molti particolari (la più parte dedicati ai peteguless) irrilevanti per la formazione, come si dovrebbe in un rigoroso modello liberaldemocratico, di un'idea precisa di ciò che è legittimo attendersi da un leader appena omologato.
Mancano (non a noi!) particolari sulla dieta; ma il resto dei particolari antropici è stato dispensato in dosi industriali. Tra questi è rientrato quello dell'albero genealogico-famigliare, in cui alcuni (i meno disattenti) hanno iscritto il nonno materno (Agostino Viviani). Eccellente figura di uomo impegnato nella testimonianza, civile, istituzionale, politica e professionale.
Una volta, anche solo poco tempo fa, si sarebbe potuto temere una finalità non feconda, perché i portatori di una siffatta aggettivazione qualitativa costituivano bersaglio predestinato e giustificato di contumelie. Vabbé un po' di acqua è passata sotto i ponti (licenza retorica ai limiti dell'azzardo, se si pensa allo sconvolgimento idrico) e, anche perché i profili performanti di molti sputacchiatori si sono incaricati di rendere giustizia a molti sputacchiati, dare del socialista a uno non è più in cima ai gesti di inimicizia.
Sia quel che sia (e non sappiamo ancora se la portatrice, considerata la quasi totale sine cura manifestata sul particolare, abbia gradito e gradisca) Elly ha un nonno che, ai nostri occhi, è importante e, nel caso lo si volesse iscrivere (con intento di ricavarne indotti promozionali) in un proprio Pantheon, sarebbe bene non tergiversarci.
Il nonno materno (e non facciamo confronti con il resto dell'albero genealogico) è stato una figura di primo piano della storia politica e civile del 900, meritevole di essere ricordata anche nei contesti correnti.
Lo fa bene (come sempre Antonio Grassi) sulle colonne di CremonaSera, che ci autorizza a replicarne il testo. Di nostro azzardiamo considerare la piena aderenza dell'articolo di Grassi ai fatti. Incidentalmente (o forse no, perché ai tempi della politica di massa militare in un partito strutturato ed essere parte del relativo organigramma comportava l'opportunità di conoscenza dei personaggi) il nonno Agostino (una personalità dal timbro austero) l'abbiamo conosciuto (alla debita distanza) anche noi.
Vero, come annota Antonio, "viene eletto senatore nelle liste del PSI nel 1972 e riconfermato nel 1978". Nel 1972 vennero eletti lui (confermato nel 1979, quando da noi fu catapultato "l'antipatico") e Peppo Grossi. Lui divenne presidente della Commissione Giustizia, l'ingegner Grossi, Vice di quella Trasporti. Apprezzatissimi entrambi e inevitabilmente diventati amici. Grossi me lo fece conoscere. Una grande persona.
Aveva testimoniato la giustizia giusta e la doppia tessera (socialista e radicale) ma il, con tutto rispetto, “cingi alone” e il suo colonnello non si fecero scrupolo di immolarlo, preferendo gli smargiassi della Milano da bere. Fine corsa. Quello di Grossi fu ancor più surreale e immotivato.
Le rimembranze finirebbero qui. Con la pubblicazione (autorizzata dall'autore) del bell'articolo. Ma l'occasione è troppo ghiotta per vincere la tentazione di “allargarci”. Calcando il sentiero della doppia e compatibilità personalità, socialista e radicale di Viviani.
Argomento questo che abbiamo appena delibato nel contesto di una rivisitazione dell'argomento che abbiamo appena trasmesso dei Radicali Cremonesi (Sergio Ravelli, tra l'altro citato nel memoir di Grassi), impegnato nella redazione della storia del Partito di cui è da decenni stimato leader.
È il 30 maggio 1987. Sono le 20. La temperatura è mite. A Crema, in piazza Duomo, davanti al Torrazzo, c'è un palco. È fasciato da uno striscione: Libera il radicale che in te. Di fronte, c'è la cattedrale. A sinistra l'ingresso del Comune. A destra i portici con la farmacia, l'edicola, i bar.
Nella piazza, parecchia gente. Molta di più del solito, ma non c'è confusione. Nell'aria qualcosa di diverso di una normale serata di primavera avanzata.
Seduto ai tavolini di uno dei bar, un gruppo di una decina di avventori attira l'attenzione. Le persone si avvicinano, lanciano uno sguardo furtivo e si allontanano.
Nella compagnia c'è una distinta signora. Indossa con classe un elegante cappello di paglia, inusuale per la provinciale Repubblica del Tortello. Si chiama Francesca Scopelliti, non è lei ad interessare i curiosi, ma l'uomo che le sta in fianco, il suo compagno. È lui che alle 21 terrà il comizio Enzo Tortora. È un appuntamento quasi esclusivo.
Perseguito dalla giustizia, incarcerato ingiustamente tre mesi prima, il presentatore, icona di Portobello, era tornato in televisione con un «Dove eravamo rimasti?» passato alla storia.
Quella sera Tortora è in piazza Duomo per sostenere l'avvocato Agostino Viviani, principe del foro, studio in piazza San Babila a Milano, suo amico e candidato al senato per il Partito Radicale nella circoscrizione di Crema è seduto davanti a lui.
Della compagnia fanno parte anche Oscar De Marchi e Stefano Priori. Poi Roberta Gerevini e Cristiano Marcatelli, anche loro candidati Radicali. E altri ancora.
La piazza si riempie. Sul palco salgono Sergio Ravelli, uomo tuttofare e anima dei Radicali cremonesi, Tortora e Viviani e in questa sequenza intervengono.
Il silenzio dei presenti è impressionante. Attenzione, tensione, partecipazione trasformano l'appuntamento elettorale in un rito religioso. Tortora e Viviani celebrano il rito fatto di parole, irruenza, rabbia e ideali. Le loro parole sono un grido di dolore, un j'accuse contro il sistema giudiziario. Un pungolo per non restare passivi. Uno schiaffo per svegliarsi dal torpore. Un brivido attraversa la piazza, l'emozione l'avvolge. Gli applausi sono una liberazione. Una serata straordinaria. Manca Francesco Guccini per i titoli di coda. «Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia. Ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia. Proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto».
Viviani non è uno qualsiasi. Partito d'azione, Resistenza, membro del Cnl di Siena e della Consulta Nazionale, viene eletto senatore nelle liste del PSI nel 1972 e riconfermato nel 1978. Presidente della Commissione Giustizia, presenta il disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati, fonte di polemiche.
Il suo impegno per una giustizia più giusta e la sua posizione non allineata con quella di Bettino Craxi, che non lo ricandida alle elezioni anticipate del 1979. Due anni dopo si dimette dal partito e si avvicina ai radicali.
A Crema arriva nel 1979 nella veste di difensore del sottoscritto, di Piero Carelli e di Marco Volpati, giornalisti di Ipotesi 80, mensile sostenuto dal Psi, per un'inchiesta sui presunti evasori fiscali di Crema. Un importante dirigente sportivo nazionale citato negli articoli, prende cappello e querela per diffamazione a mezzo stampa. La vicenda si chiude nel 1985 con l'assoluzione per non avere commesso il fatto.
Viviani non interrompe i rapporti con Crema. Prosegue prima con la collaborazione a Ipotesi 80 e poi con Kontatto, mensile senza colorazione politica. Scrive articoli sulla giustizia più giusta e per cambiarla.
Viviani non verrà eletto, ma continuerà a combattere per rendere la giustizia migliore. Muore nel 2009.
Per chi l'ha conosciuto e frequentato, un uomo difficile da dimenticare. Un esempio.
Viviani non è uno qualsiasi, è il nonno di Elly Schlein, laurea in giurisprudenza, ciclone che domenica ha sconvolto il Pd, la donna che vuole cambiare il sistema. Come il nonno. Se buon sangue non mente, se i cromosomi hanno una ragione d'essere, non sarà un ciclone passeggero. «Non ci hanno visto arrivare» ha dichiarato un secondo dopo la vittoria su Stefano Bonaccini. Citazione femminista e avvertimento alla politica. Ora che è arrivata se ne sono accorti. E il nonno applaude. La prima donna segretaria di un partito politico è stata Adelaide Aglietta, nel 1976. Radicale.
Antonio Grassi
Radicali e Socialisti: una prospettiva sinergica nel presente e per il futuro, fondata su un passato di comune testimonianza
Il Segretario dell'associazione radicale cremonese mi ha preannunciato l'intenzione di una sin d'ora apprezzata iniziativa editoriale che riguarda la rivisitazione dei tanti decenni di testimonianza civile, politica e culturale del movimento panelliano nel nostro territorio.
Vi collaboro con molta adesione ideale e con grande slancio, che sgorga da un forte apprezzamento per tutto quanto avviene sul terreno dello sforzo a fissare elementi di memoria storica e da un non meno forte sentimento di personale condivisione di larghi tratti della teoria e della pratica del movimento radicale.
Siccome sono abituato a non perdere mai di vista “le fonti” e siccome da anni mi occupo solo di approfondimento e di divulgazione della storia della politica, non ho potuto non riandare alle radici del rapporto tra il pensiero politico dei Radicali e dei Socialisti.
Tra le tante reminiscenze che, alla mia età e dopo tanta attività politica e pubblicistica affollano i “cassetti” dell'apparato mnemonico-cognitivo, ho salutato come una gran botta di fortuna il fortunato (per lo sviluppo del mio contributo) reperimento di una copia (cartacea) dell'edizione 13-14 novembre 1897 del (allora) settimanale L'Eco del Popolo fondato da Leonida Bissolati il 4-5 gennaio 1889 (per celebrare il trentennale della seconda guerra di Indipendenza e, dato che c'era, il centenario della Rivoluzione Francese).
Nella citata edizione il settimanale socialista focalizza, in prima pagina, un'interrogazione, promossa da Ettore Sacchi, deputato cremonese e uno dei più autorevoli dirigenti del Partito Radicale, relativamente ad un pronunciamento delle autorità italiane circa “il rispetto serbato dal Governo inglese alla illimitata libertà di sciopero, riunione e parola per gli operai e per i padroni dell'industria meccanica in gravissimo conflitto tra loro”. Continua l'articolo di prima pagina: “Dobbiamo schiettamente dire che il deputato Sacchi ha dello svolgersi dei fatti economici una comprensione ispirata alle idee più moderne, non solo, ma sa anche apprezzare quanto fattore di civiltà e di progresso sia la libertà la più assoluta. Lodiamo quest'altro atto del Deputato di Cremona e vorremmo che tutti quei deputati che si dicono radicali ed anche repubblicani, avessero ad imitare il coraggioso esempio che sa dare l'on. Sacchi”.
Da cui si estrae non solo un faire play relazionale tra movimenti politici, per quanto, nel caso, molto affini, decisamente (se si pensa ai contesti attuali) d'altri tempi, ma, soprattutto, la percezione di un sentiment che lascia trasparire nitidamente un bel “marciare separati, colpire uniti”.
La temperie storica in cui si colloca l'episodio evidenzia le prove di una messa a punto delle basi fondanti (lungo il percorso “dell'Italia è fatta, facciamo gli italiani”) di un ordinamento capace di far convergere su un progetto di identità, di condivisione, di progetto di società comune e inclusiva. In una visione universale e soprattutto nell'interesse dei ceti che erano ben lontani dagli standards minimali di giustizia sociale e, ancor prima, di diritti di cittadinanza.
A cominciare, come scandisce efficacemente il deputato Radicale, dalle prerogative fondamentali, che erano i cardini del modello liberaldemocratico e progressista. Di cui i Radicali Italiani sono sempre stati, sia pure con declinazioni caratterizzate nel tempo, uno dei testimoni cardine. Insieme, in quel contesto di fine 800 (ma oseremmo dire, sempre nel prosieguo del tentativo di associare le masse alla partecipazione politico-istituzionale) ad altre testimonianze, come quella repubblicana e quella socialista riformista.
Questo legame, oseremmo dire, di sangue sarebbe giunto fino a noi.
D'altro lato, andrebbe anche aggiunto, che sarebbe stato consolidato sia da percorsi comuni che sia da vincoli interpersonali.
Ne è dimostrazione una parte importante della vicenda esistenziale di Leonida Bissolati, cugino di Ettore Sacchi.
Bissolati esordisce nella vita pubblica cremonese coniugando testimonianza politico ideale e vita istituzionale, “in quota radicale” (si direbbe oggi), nell'intento di una messa a punto (a partire dalla testata Eco del Popolo), di un'organica sistemazione teorica degli ideali di progresso civile e sociale.
Dello spessore di quelle personalità e del profilo sinergico si sono avuti riconoscimenti autorevoli.
, ho desiderato rievocare l'ambiente schiettamente democratico della vecchia Cremona, dove Giuseppe Garibotti esercitava il suo apostolato per la cooperazione operaia, e un prelato insigne creava, con fervore cristiano, opere sociali e uomini di esperienza e di libertà davano ministri competenti ai Governi d'Italia. (…)
L'adesione a differenziati format politico-associativi (radicali, repubblicani, socialisti) non avrebbe mai stemperato quell'iniziale senso di coesione e comune testimonianza.
Un anno dopo quell'edizione del 1897 afferente all'interrogazione parlamentare dell'esponente Radicale manifestamente ispirata dalla sollecitudine di invocare “illimitata libertà di sciopero, riunione e parola per gli operai e per i padroni dell'industria meccanica” si sarebbe scatenata, coi fatti repressivi dei cannoni di Bava Beccaris (particolarmente pesanti, con numerosi uccisi, arresti, chiusura di sodalizi come la Società Filodrammatica, censura e temporanea chiusura de L'Eco del Popolo, la reazione antidemocratica ed antipopolare.
Solo il tempo per ricomporre le fila del fronte liberaldemocratico e progressista e si sarebbe appalesata l'ineludibile urgenza di difendere la Patria in armi e al fianco dei paesi europei di formazione liberaldemocratica.
Bissolati e Sacchi, un socialista fuori dal coro antinterventista e un convinto radicale, avrebbero militato nello stesso fronte dell'interventismo democratico. Entrambi destinati a rivestire un ruolo importante nei due gabinetti di guerra.
Ma queste reminiscenze affidano ad una percezione lontana nel tempo la comunanza di visione della società tra radicali, repubblicani e socialisti.
Rafforzata nella fase Costituente della Repubblica e nelle successive stagioni “della svolta a sinistra” post centrista.
Un po' azzardato teorizzare una perfetta collimanza di linea tra “i cugini” (radicale, l'uno, e socialista, l'altro); ma, indubbiamente in materia di strategia di fondo sull'obiettivo di fare dell'Italia un moderno Stato testimone praticante della civiltà dei diritti tipici del modello liberaldemocratico, le simmetrie erano forti un secolo fa e sarebbero continuate nei contesti a venire.
Sulla base del comune back ground dei diritti civili e sulla “specializzazione” per i socialisti dei diritti sociali.
D'altro lato, sarebbe stato questo la guideline a valere per una lunga temperie; contraddistinta, anche localmente, per una forte comune identità sui diritti civili e, per essere ancor più espliciti, su una sinergia di testimonianza, arrivata, ai tempi del “nuovo corso riformista” di Craxi-Martelli, “alla doppia tessera”.
Un momento di forte collaborazione fu quello, tra i molti altri, “della giustizia giusta” che assistette ad una significativa collaborazione tra radicale, liberali e socialisti, impegnati, come si evince dall'articolo de L'Eco del Popolo alla raccolta di quasi cinquemila firme (per il solo quesito per la giustizia giusta e 13500 per tutti i quesiti sottoposti a referendum abrogativi).
Negli anni successivi la partnership laico-riformista sarebbe proseguita anche su filoni più squisitamente tematici, come la vicenda della preservazione dell'ambiente e delle conseguenze della scellerata gestione della vicenda Tamoil.
I cui nefasti indotti sono ben lungi dall'essere annullati e sanzionati. Ma non ci sarebbero stati i risultati sanzionatori e la rimessa in carreggiata di un percorso fecondo, se non ci fosse stata la testimonianza dei Radicali Cremonesi.
Il decadimento generalizzato della politica consiglierebbe percorsi di armonizzazione e convergenza tra ideali e testimonianze, come quelle presenti nell'area repubblicana, laica, radicale, in vista della costituente di un movimento capace di coniugare le ragioni permanenti della laicità dello Stato, dei diritti civili, del progresso.
Lunga vita al movimento radicale.