Vai all'archivio notizie categoria L'Eco Politica e Istituzioni

Il modello (fallimentare) della sanità lombarda

Qualcuno si assumerà mai le responsabilità, soprattutto politiche, della vicenda?

  02/04/2020

Di Tommaso Anastasio

Il+modello+(fallimentare)+della+sanit%c3%a0+lombarda

La crisi pandemica ci richiama inevitabilmente tutti all'unità d'azione. Ciò non toglie che a mente quasi fredda non possiamo criticare le storture di un sistema sanitario nazionale e regionale sempre più in crisi. Lo dobbiamo alle tante (troppe) vittime di queste settimane, per una sorta d'imposizione morale.

Premettiamo, e lo faremo in maniera estremamente irrituale, che questo articolo è stracolmo di citazioni (compresa un'autocitazione che non è il massimo dell'eleganza). Però, in tutta onestà, ci sembrava doveroso provare a ricercare il fil rouge in grado di condurci, se non alla verità, alla salvezza (o alla dannazione), almeno alla consapevolezza di avere commesso degli sbagli, affinché non abbiano a ripetersi in futuro.

Vorremmo giudicare l'efficienza dei nostri nosocomi, ma anche delle amministrazioni deputate al loro controllo, sulla base delle vite salvate, della qualità del lavoro svolto e con quale efficienza, ma senza esasperazioni. Altri, invece, preferiscono stilare classifiche e creare quella “sana” (quale scherzo del destino?) competizione.
Nella classifica riferita al 2018 delle performances offerte dalle varie sanità regionali, basate sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) le prestazioni sanitarie che ogni Regione deve garantire ai propri cittadini, annotiamo nelle prime cinque posizioni, in ordine: il Veneto, il Piemonte, l'Emilia Romagna, la Toscana e la Lombardia. Per la cronaca, il Lazio è 11° (nonostante abbia una delle più alte percentuali di strutture private accreditate) la Calabria fanalino di coda. A parte la Sicilia, sono escluse da questa classifica: la Valle d'Aosta, le due Province Autonome di Bolzano e Trento, il Friuli Venezia Giulia e la Sardegna.
Due annotazioni: Toscana ed Emilia Romagna non hanno una sanità spinta verso l'aziendalizzazione o la privatizzazione più di quanto lo sia in Lombardia, eppure le stanno davanti; il Lazio ha il più alto tasso di privatizzazione della sanità, ma annaspa a metà classifica...
Insomma, un conto sono le classifiche, i primati, gli indicatori, etc… altra cosa sono i fatti, le vite salvate e quelle che si potevano salvare. Ogni riferimento, ovviamente, è puramente casuale!

È di sabato scorso l'interessante articolo “Fontana scopra dove ha sbagliato” di Domenico Cacopardo (apparso sulle pagine di “Italia Oggi”) con il quale esprime seri e fondati dubbi sulla gestione dell'emergenza da parte, sia del governatore lombardo che dell'assessore alla sanità, Giulio Gallera. Riproponiamo testualmente una parte del sopra citato articolo:

“domando a Fontana e Gallera: «Non vi è venuto il sospetto di avere sbagliato qualcosa? Non vi è venuto in mente di mettere intorno a un tavolo i vostri esperti (scelti uno per uno) perché si facessero venire un'idea, una proposta di cambiamento di rotta, soprattutto di procedure?
Non avete sospettato che avere sparso i malati negli ospedali lombardi sia stato il veicolo attraverso il quale si è infettato mezzo mondo? Non vi è venuto in mente che l'Ospedale in Fiera è lontano da Brescia e Bergamo attuali epicentri e che sarebbe stato più utile fare un ospedale a metà strada tra le due città, raggiungibile in meno di mezz'ora?
Sono tante le domande che si pongono in giro i sanitari. Tanti gli esposti giacenti sulle scrivanie delle Procure della Repubblica, presentati da familiari che non accettano di essere stati privati dei loro congiunti e, non sapendo a cosa attribuire la responsabilità, pensano a errori prima che tecnici, amministrativi degli apparati cioè che gestiscono le scelte fondamentali.
Meglio di questa tetragona difesa di quanto operato, di ricorso al destino cinico e baro o alle responsabilità di governo, che ci sono e ne ho scritto ma non vi esonerano dai vostri errori. Secondo me, le manette che saranno usate dopo, negli immancabili processi (il più possibile: strage), sono state già fuse e sono sugli scaffali delle aziende che consegneranno i prodotti fi- niti. Signor presidente della Regione Lombardia e signor assessore Gallera compite un atto di onestà personale prima che politica e correggete la rotta. Altrimenti, la strage continuerà. E continuerà possibilmente investendo la città di Milano, il fiore all'occhiello del bel Paese, la locomotiva che traina il resto della Nazione.
Sapete o dovreste sapere che a Milano vivono 200 mila anziani, la maggior parte dei quali non può recarsi al supermercato o in farmacia. A parte qualche volontario e qualche familiare non hanno nessuno a cui rivolgersi. Dottor Renato Saccone, prefetto di Milano, non pensa che sarebbe ora di prendere qualche iniziativa pubblica statale per impedire una strage di vecchi nella città che lei amministra? Dia conto di quali iniziative ha assunto per soccorrere i 200 mila cittadini anziani, per aiutarli in tutto ciò che può loro servire.”

È, invece, di oggi l'intervista di Marco Imarisio (pubblicata sul “Corriere della sera”) a Giorgio Palù, docente emerito di microbiologia a Padova, professore di neuroscienze a Philadelphia, presidente uscente causa pensione della Società europea di virologia, richiamato in servizio da Luca Zaia che gli ha affidato gli studi per isolare e sequenziare il virus.
Riportiamo una tesi che è, implicitamente, un “J'accuse in totale spensieratezza” del luminare veneto nei confronti dei protagonisti dell'emergenza Coronavirus in Lombardia:

“Perché la Lombardia ha un tasso di mortalità che ha raggiunto anche il 14% mentre il Veneto è fisso sul 3,3%?
«Sono due regioni con una dimensione socio-morfologica molto diversa. Codogno e Lodi sono città dove si vive in condominio, Vò Euganeo è un paesino sui Colli Euganei».

Esaurita la premessa?
«Il Veneto ha ancora una cultura e una tradizione della Sanità pubblica, con presidi diffusi sul territorio. La Lombardia, molto meno».

Sono stati fatti degli errori?
«Non sta a me dirlo. Ma in Lombardia hanno ricoverato quasi tutti, il 60% dei casi confermati, esaurendo presto i posti letto. Da noi, i medici di base e i Servizi d'igiene delle Asl hanno fatto filtro: solo il 20%. Tenendo a casa i positivi asintomatici si è evitato l'affollamento degli ospedali e la diffusione del contagio».

In Lombardia, invece?
«Nessuno si è ricordato la lezione della Sars. Che è stato un virus nosocomiale, così come lo è il Covid-19. A diffusione ospedaliera. La scelta della Lombardia di trasferire i malati dall'ospedale di Codogno, che era il primo focolaio, ad altre strutture della regione, si è rivelata infelice».

Quanto?
«Molto. Perché ha esportato il contagio, senza per altro che venisse monitorato subito il personale medico. Hanno agito sull'onda emotiva. Tutti dentro. Invece dovevano tenerne fuori il più possibile. Qualcuno non ha capito che questa non è un'emergenza clinica e di assistenza ai malati, ma di sanità pubblica».

Ci spiega la differenza?
«Un nuovo virus, nei confronti del quale la popolazione è vergine, va affrontato in primo luogo con le misure preventive, con l'isolamento, bloccando il contagio. Non con l'automatismo Pronto soccorso-ricovero».

Una questione culturale?
«Anche. Una forma mentis. In Lombardia esiste da molti anni una sana competizione pubblico-privato. Dove si evince la maggiore efficienza di ognuno? Dalle persone accolte in Pronto soccorso. Ricoverando, si è voluto mostrare efficienza in ambito clinico. Ma così non si è fatto alcun argine al virus»”

In un nostro precedente articolo (Sanità verso il libero mercato?) abbiamo già richiamato le responsabilità dei governi centrali, dal 1992 in avanti, per quanto concerne le varie riforme (scellerate) che hanno aperto le porte al profitto dei privati in un comparto delicato come quello della salute pubblica. Quotidianamente svilito, di proposito, per giustificarne i continui tagli in termini di risorse umane ed economiche. Non per questo vogliamo fornire l'alibi al modello lombardo della sanità, seppure le basi della devastazione sono state poste in piena “Tangentopoli” e perpetrate con le successive riforme al nostro Sistema Sanitario Nazionale. Fuori da leggi, regolamenti e disposizioni, non vogliamo sottacere le storture che le gestioni personali e adir poco “fantasiose” di Formigoniana memoria, così, nemmeno la pauperizzazione in atto dei territori periferici soprattutto per mano leghista e forzista, a vantaggio della sanità a partecipazione privata e di quella centralizzata nei capoluoghi, per così dire, “più rilevanti” della nostra regione. Non abbiamo preconcetti sul modello cosiddetto Hub & Spoke (letteralmente “mozzo e raggi”), un modello organizzativo preso in prestito dall'aviazione civile americana (!) che parte dal presupposto per cui determinate condizioni e malattie complesse necessitano di competenze specialistiche e costose. È chiaro che esse non possono quindi essere assicurate in modo diffuso e capillare su tutto il territorio. Purchè questi modelli organizzativi, di tipo aziendalistico, non siano utilizzati a pretesto, con precisione chirurgica (e scusate la battuta), per declassare, o addirittura, eliminare da certi territori strutture ospedaliere ed interi reparti di pronto soccorso che non rispettino una qualsiasi forma di pareggio di bilancio. Che c'azzeccano, poi, limiti numerici di popolazione e di bilancio col Pronto Soccorso? Esistono forse cittadini di serie A e di serie B?

Intersecando i dubbi di Cacopardo con le tesi di Palù ecco che ci sovvengono alcune considerazioni:

Le responsabilità, almeno, della gestione fallimentare della pandemia in Lombardia sono attribuibili interamente a chi, sapendo di avere “la coda di paglia” sul piano dell'organizzazione dei presìdi ospedalieri, per le ragioni appena esposte, ha commesso l'errore di diffondere il Covid-19, anziché porvi un argine come è avvenuto in Veneto;

Il Veneto, però, non stia tranquillo, poiché oltre alla più “fredda” conduzione delle operazioni atte ad arginare l'epidemia, coinvolgendo maggiormente i medici di base ed una rete di presidi sanitari più capillare rispetto alla Lombardia, ha avuto una buona dose di fortuna. Come? Semplicemente il modello sanitario veneto è più “indietro” rispetto a quello più aziendalizzato e privatizzato della Lombardia. Ma la direzione intrapresa è la medesima e a medio-lungo termine potrebbe produrre effetti simili. Le associazioni di cittadini della provincia di Treviso (quella da cui Zaia iniziò la sua avventura politica) denunciano un costante aumento di ambulatori e cliniche private. Di converso i posti letto nella sanità pubblica sono continuati a diminuire.
Luca Barutta, segretario dell'Anaao (il sindacato dei medici ospedalieri) di Belluno, ha dichiarato che «i dati Veneti del confronto schede ospedaliere 2019-2023 rispetto al 2013 – continua Barutta – mostrano inequivocabilmente una riduzione di posti letto di -816 unità (-4,29%) e un aumento dei letti a gestione privata accreditata +833 (+4,56%). Ma va? In Veneto «la privatizzazione della sanità pubblica con Zaia e la Lega è raddoppiata in questi anni arrivando al 28% per l'attività specialistica ambulatoriale e al 24% per l'attività di ricovero (dati desumibili anche da documentazione regionale, quali Relazione Socio Sanitaria della Regione Veneto 2019, DGR 614/19, DGR 2168/19 ecc,). Anche il segretario provinciale della CGIL di Treviso Nicola Atalmi da tempo denuncia la privatizzazione del servizio sanitario operata togliendo risorse al pubblico come l'idea di appaltare ai privati il Pronto Soccorso (guarda caso la stessa che circola in un'altra regione dove la Lega è al governo): «invece di investire con adeguate assunzioni di personale e ridurre gli accessi non urgenti attraverso una rete territoriale di medicina la soluzione paradossale è quella di drenare ulteriormente risorse economiche dalla sanità pubblica e darli ai privati per un Pronto Soccorso, che tra l'altro andrà a gestire solo i casi meno gravi, codici verdi o bianchi». Casi meno gravi che sono anche quelli economicamente meno onerosi per chi fornisce il servizio. Perché una differenza sostanziale tra pubblico e privato c'è. La spiega il segretario dell'Anaao Barutta: «I cittadini devono sapere che l'affidamento/delega di un budget al privato accreditato da parte della Regione per l'erogazione di attività sanitarie comporta sempre una riduzione quantitativa importante dell'erogazione delle prestazioni da parte dello stesso che si deve garantire, all'interno del budget pubblico che la Regione gli assegna, il suo margine di profitto (non esiste il profitto nella gestione pubblica per normativa vigente che obbliga gli enti pubblici al pareggio di bilancio) corrispondente in genere a circa il 25% del valore economico del budget pubblico conferito (la percentuale sopracitata infatti va in utili e riserve finanziarie in favore dei gestori privati)».
Ma non tutta la riforma del Servizio Sanitario Regionale è da buttare. Infatti, questa prevede innanzitutto la creazione di un nuovo ente denominato “Azienda Zero”, che risponde alla finalità di unificare e centralizzare in capo ad un solo soggetto le funzioni, di attuazione della programmazione sanitaria e socio-sanitaria, nonché di coordinamento e governance delle aziende del Sistema Sanitario Regionale, riconducendo ad esso le principali attività di gestione tecnico-amministrativa su scala regionale. Solo il tempo darà ragione della teoria se diventerà anche prassi.

Concludiamo citando Mario Riccio, il noto anestesista di Piergiorgio Welby che (a Linkiesta) ha dichiarato:

“In Lombardia il sistema convenzionato “formigoniano”, sta mostrando tutti i suoi limiti.

Quali?
«Ci sono un sacco di ospedali che non stanno facendo il lavoro di salvare la vita alla gente, perché non hanno aperto le sale operatorie come noi, perché non sono stati chiamati a fare questo. Alcuni ospedali hanno potuto approfittare del sistema convenzionato pubblico-privato, ma di fronte a una crisi non hanno un sistema emergenziale pronto. Ad esempio le case di cura: ora stanno contribuendo offrendo dei posti per coloro che stanno guarendo dal Covid. Però non avendo un pronto soccorso non accettano i malati urgenti».

E invece dovrebbero?
«È stato creato un sistema sulla base di valori scorretti. Si è deciso di dare al sistema convenzionato una fetta di sanità più leggera, senza l'obbligo di assisterci nell'urgenza-emergenza. Quando è scoppiata l'urgenza-emergenza, le sale operatorie che stanno in quelle strutture avrebbero facilmente potuto trasformarsi in posti letto di terapia intensiva. Ma il sistema formigoniano non ha imposto loro di aprirsi all'urgenza-emergenza. Loro curano le cataratte, fanno le tac… e così i posti letto del sistema convenzionato sono aumentati, a discapito del settore pubblico. Quando poi è successo il patatrac, un mese fa, si è scoperto che il sistema sanitario pubblico si fa carico di tutto. E adesso ne stiamo pagando le conseguenze».

«Sarebbe un tema rilevante, che non è però stato ancora sollevato…
Eh, certo! C'è un evidente problema politico dietro. Ma si farà a un certo punto questa riflessione. In certe realtà della Lombardia è stato creato un sistema pubblico-privato in apparenza frutto della “sana competizione”, come diceva Formigoni, ma in realtà non consente nessuna competizione. Semplicemente il sistema convenzionato prendeva la parte “ricca” della medicina, mangiava la carne e a noi lasciava l'osso. Ora il Covid ha cambiato i valori della medicina e ci sta facendo riflettere su cosa è più importante, ad esempio se si debba tenere da parte un milione di tamponi in caso di epidemia, o se la sanità debba essere regionale o nazionale. Bisognerebbe riflettere anche sul sistema valoriale del pubblico-privato, e obbligare il settore convenzionato ad aprirsi all'emergenza, o comunque garantire che si sappia trasformare rapidamente per poterlo fare»."

In definitiva, pur non volendo fare alcuna caccia alle streghe, e sapendo che alla legittima richiesta nel sottotitolo difficilmente riceveremo una risposta, ci permettiamo di porre un'unica, vera domanda: in “condizioni” diverse, una parte (anche piccola) di queste morti si sarebbero potute evitare?

Dall'archivio L'Eco Politica e Istituzioni

  venerdì 10 giugno 2022

L'EcoRassegna della stampa correlata

Speciale Referendum

  giovedì 13 giugno 2019

Questione socialista in Italia: riguarda tutta la sinistra

L’incipit della presente riflessione, che inquadra l’annuncio delle iniziative finalizzate al reimpianto di qualcosa che assomigli ad un movimento socialista in Italia, non può non prendere le mosse dalla consapevolezza degli scenari di partenza. Rispetto ai quali qualsiasi analisi, che non sia guidata dalla severità fino alla spietatezza, rinnoverà all’infinito i testa-coda

  lunedì 5 giugno 2023

Focus comunali 2023 /2

  domenica 1 marzo 2015

Lo stop and go della riforma amministrativa

I passaggi applicativi della riforma denunciano, senza ombra di dubbio, un rapporto molto conflittuale con la logica.

Rimani informato!