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La sinistra
e la questione socialista /41

  30/09/2024

Di Redazione

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Socialismo largo

Circoli, associazioni, fondazioni, riviste e siti on line, tante sono ancora le fiammelle resistenti allo spegnimento della storia del socialismo italiano.

In tale contesto, ciò che sconcerta è la perdurante assenza di una organizzazione di riferimento unitaria, a livello nazionale, capace di finalizzare elettoralmente gli sforzi in atto a sostegno delle idee socialiste.

A trent'anni dalla dissoluzione dello storico PSI, contrassegnati da laceranti divisioni e fallimentari tentativi di ricomposizione della diaspora, non si è messa ancora una pietra sopra il passato e volto, decisamente, lo sguardo verso la rinascita di un Partito di ispirazione socialista, aperto ad altre culture riformiste, in sintonia con le aspettative della società odierna.

Un Partito che rilanci l'essenza della libertà e della giustizia sociale, del garantismo, del pacifismo, del governo strategico dei beni e dei servizi pubblici fondamentali, ( scuola, sanità, trasporti, energia ), della salvaguardia ambientale, dell'innovazione del mondo produttivo e dei diritti civili.

Che affronti con determinazione le sperequazioni ingigantite dalla globalizzazione dalle nuove tecnologie di lavoro, perché i ricchi non diventino sempre più ricchi, i poveri più poveri, i giovani senza speranze ed opportunità per il loro futuro.

Più che altre effimere iniziative verticistiche, per il decollo della nuova offerta politica, necessita la definizione di una chiara prospettiva politica, delle visibili correzioni di rotta, nonché tanta e ancora tanta generosità.

Il deludente risultato delle liste Stati Uniti d'Europa e Azione con Calenda, espressioni di una area elettorale grandemente sovrapponibile, non va letto come una bocciatura dell'idea di unire le componenti laico - riformiste, ma semplicemente come la conseguenza dei miopi personalismi, registrati verso tale obiettivo.

La presenza di un significativo Partito liberal, socialista e democratico, nel panorama italiano, resta una esigenza da soddisfare senza ambiguità, sul proprio ruolo autonomo nell'ambito del centro sinistra, disponibile a condividerne programmi ed obiettivi, credibilmente alternativi al centro destra.

Il centrismo equidistante, nell'attuale sistema elettorale, non è di alcuna utilità, alla attuazione delle scelte di governo necessarie al nostro Paese, oggi molto condizionate dalle forze populiste presenti negli schieramenti.

Per le forze politiche che in questi mesi, hanno lamentato veti, discriminazioni e scarsa considerazione, come anche per le diverse personalità che hanno manifestato il loro disagio nei rispettivi Partiti, è giunto il tempo di dare uno sbocco alle rispettive riflessioni.

Dopo anni di ondivaghi posizionamenti, spero proprio che i socialisti, nel loro insieme, assumano nell'ambito del progetto sopra delineato, un ruolo trainante nella valorizzazione delle culture riformiste del centro sinistra, oggi frammentate e marginali.

Il Psi di Maraio, nell'ambito della recente festa Avanti, si è espresso a favore della costruzione di liste di ispirazione riformista con i Partiti alleati alle elezioni europee (+Europa e Italia Viva, in particolare) con l'auspicabile convergenza anche di altre forze civiche e associative.

Ora sarebbe bene che anche le “fiammelle” più rappresentative di cui sopra, si esprimano altrettanto esplicitamente.

Virginio Venturelli
Virginio Venturelli

Rassegna della stampa correlata

Nell'abisso – I fatti, soltanto i fatti

Cestinate le indicazioni dei comitati regionali nella formazione della Direzione Nazionale, cacciati il direttore dell'Avanti e le due vice segretarie, cancellati dal Consiglio nazionale i dissidenti eletti al Congresso, commissariato il partito del Veneto, commissariate le federazioni di Padova e di Belluno, esito del congresso regionale dell'Emilia Romagna contestato con fondatezza di argomenti e nessuna risposta, commissariato il partito toscano, tentativo di devitalizzare la segreteria regionale dell'Umbria in vista delle elezioni regionali ormai prossime, tentativo di piegare la Fgs con la decisione assunta nel Consiglio Nazionale del 24 luglio: Fgs organica al partito o si fonda un'altra giovanile. C'è dell'altro: mai tenuti i congressi in Lombardia e in Calabria dove pure spiccano alti dirigenti del partito, in Calabria soprattutto, sede del Presidente Nazionale la cui funzione dovrebbe essere quella di garante dello statuto. Ancora: calo degli iscritti, scomparsa dai mezzi di informazione, nessun eletto alle elezioni politiche, carambola nelle alleanze alle Europee, prima favorevoli ad una coalizione con Fratoianni-Bonelli poi, con triplo salto mortale, nella lista con Italia Viva e Bonino, proprio la scelta che il segretario contestò nel Consiglio Nazionale dell'ottobre 2022 promettendo la presentazione di una lista socialista. Ancora: nessun esito del progetto ‘costituente socialista' ruotante attorno a Valdo Spini. Al contrario, piede di ferro con abuso dello Statuto contro ogni opposizione interna, nessun tentativo di ricucire gli strappi. Un partito personale, a doppio filo campano. Con quanta autonomia? Non ne sono più segretario da cinque anni ma ricordo bene le difficoltà a guidare un partito piccolo con una storia grande alle spalle. Sono ancora iscritto e dico la mia dopo parecchi mesi, senza pudore. Tacere ancora significherebbe condividere o piegarsi, una mente sonnambula, e invece bisogna guardare in faccia la realtà, quello che siamo diventati. Ci sarà un congresso e ci sarà con un quadro politico in evoluzione: una sinistra massimalista più forte, un polo riformista in crisi, un governo Meloni in piedi con una destra estrema in crescita, opposizione col Pd centrale. E noi? Raccogliere i cocci dovrebbe essere il primo obiettivo: come si fa ad aprire le porte a chi ha fatto per anni scelte conflittuali col PSI ed a chiuderle a chi lo ha difeso negli anni più bui? Sanare le ferite aperte nelle regioni, ripristinare lo Statuto (si commissaria chi ha tenuto regolarmente il congresso e non si muove foglio dove i congressi non si sono tenuti), consentire alleanze elettorali locali anche differenti senza vietare l'uso del simbolo del partito (a Firenze è avvenuto anche questo), vietando però coalizioni con partiti di destra (il caso trapanese, regno del vicesegretario socialista), affidarsi a un comitato politico di garanzia che faccia perno sugli amministratori, a partire dai sindaci, tessere la tela di un progetto incentrato sulla difesa di diritti civili quotidianamente lesi (la Rosa nel Pugno 3.0?). Troppo poco? Sarebbe abbastanza.

Riccardo Nencini
Riccardo Nencini

Riccardo Nencini, nato nel 1959 a Barberino di Mugello, in provincia di Firenze. Laureato in storia alla facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze. Ha una laurea honoris causa in lettere, conferitagli nel febbraio 2004 dall'Università di Leicester. consigliere comunale e capogruppo del Partito Socialista Italiano a Firenze dal 1990 al 1995. eletto nelle liste PSI-AD europarlamentare nel 1994. Deputato dal 1992 al 1994. Senatore dal 2013 al 2022. Il 28 febbraio 2014 viene nominato viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nel Governo Renzi. Segretario del PSI dal luglio 2008 al marzo 2029. È autore di diversi saggi e romanzi tra cui Il giallo e il rosa (Giunti, 1998, premio Selezione Bancarella Sport), L'imperfetto assoluto (Mauro Pagliai Editore, 2009, finalista al premio Acqui Storia), Il fuoco dentro. Oriana e Firenze (Mauro Pagliai Editore, 2016), Dopo l'apocalisse. Ipotesi per una rinascita (con Franco Cardini, La Vela, 2020). Il romanzo Solo è uscito con Mondadori nel 2021. È il presidente del Gabinetto Vieusseux. Ha dato alle stampe, in occasione del centenario di Matteotti, Muoio per te e Solo.

Il terzo uomo

Hegel aveva la mania del tre. Tesi, antitesi e sintesi, dove la terza si elevava a suprema virtù. Tre era considerato dai latini numero perfetto: “omne trinum est perfectum”, si diceva. E potremmo continuare con la Santissima Trinità, col triangolo michelangiolesco e altro ancora, per indicare non solo la superiorità ma anche la sacralità del tre. Nel pazzo sistema politico italiano il tre é numero da abolire. Il bipolarismo, si dice, é fatto solo di tesi e di antitesi. O di qua o di là e non si capisce se i luoghi indicati siano topografici o anche politici. Facciamo marcia indietro. Sono passati trent'anni da quando, era l'aprile del 1994, il popolo italiano, col Mattarellum, era chiamato improvvisamente a scoprirsi bipolare. Vinse la coalizione di centro-destra, ma il terzo polo, il Patto tra Segni, Martinazzoli e Amato, conquistò il 18%. Sì, i voti c'erano, ma i seggi no. Gli uninominali li conquisti se arrivi primo e non terzo. Dopo qualche mese la Lega ruppe con Berlusconi e nel 1996 vinse l'Ulivo di Prodi e la Lega, il terzo incomodo, presente solo al Nord, conquistò il 10%, suo massimo storico fino ad allora. Non c'é scampo. Bisogna coalizzarsi. Ma anche la coalizione dell'Ulivo, dopo quella della Casa delle libertà e del buon governo, si sfaldò. Bertinotti chiuse i rubinetti a Prodi, sopraggiunse D'Alema grazie a Cossiga e concluse Amato. Nel 2001, sempre col Mattarellum, rivinse Berlusconi. Ma un terzo non alleato né con la Casa delle libertà né con l'Ulivo, e cioè Rifondazione comunista, conquistò oltre il 5%, con 11 deputati e quattro senatori. Tra una crisi di Follini e le tensioni interne Berlusconi resse fino al 2006 e cambiò la legge elettorale. Non più i 3/4 di uninominale maggioritario e 1/4 di proporzionale con lo sbarramento al 4% com'era il Mattarellum, ma un proporzionale di coalizione, praticamente senza sbarramento (si recuperavano nelle coalizioni le prime liste sotto il 2%), ma con un premio elettorale alla prima lista non importa quanti voti avesse preso. Vinse, nel 2006, con la legge definita poi Porcellum, ancora Prodi per un soffio. Tanti erano gli incentivi e i vantaggi a coalizzarsi che non rimase fuori nessuno. Ma le due coalizioni, soprattutto quella di Prodi, l'Unione, erano talmente variegate che il governo durò solo due anni, per il cecchinaggio dei vari Turigliatto e per la presa di distanze di Mastella. Nel 2008 basta con le coalizioni. Berlusconi e Veltroni concordano gli abbinamenti. Forza Italia e An si fondono e nasce il Pdl che si allea solo com la Lega, mentre il nuovo Pd, frutto dell'unificazione di Ds e Margherita, sceglie di allearsi solo con Di Pietro. Casini presenta un terzo polo che conquista quasi il 6%, la Sinistra Arcobaleno il 3%, il Psi l'1%. Complessivamente l'area non coalizzata sfiorava il 10%. Ma anche questa coalizione di governo sbanda ai primi scogli. Fini si dissocia da Berlusconi, lo spreed raggiunge livelli preoccupanti e nel 2011 arriva Monti a imporre sacrifici. Nel 2013 Bersani riesce a non vincere, a non smacchiare né a pungere. Avanza nella foresta uno strano animale. Le due coalizioni pareggiano e un terzo movimento, i Cinque stelle di Beppe Grillo, supera il 10%. Si forma un governo di unità nazionale presieduto da Letta a cui poi Berlusconi toglierà la fiducia provocando la scissione di Alfano. Ma é Renzi, nuovo segretario del Pd, che con una mossa del cavallo procede a sostituire Letta. Nel 2017 nasce la nuova legge elettorale, il Rosatellum, un pasticcio con due liste e un solo voto. Formalmente proporzionale sostanzialmente rigidamente maggioritaria. Stravincono i Cinque stelle che con oltre il 30% diventano il primo partito non coalizzato con nessuno. Si forma un governo in contrasto con le collocazioni elettorali composto da pentastellati e leghisti e presieduto da Carneade Conte. Poi Conte scarica Salvini che si era scaricato da solo e apre al governo col Pd. Non é finita. Renzi mette in crisi anche Conte e arriva Draghi a chiudere la legislatura. Nel 2022 avanti con la Meloni e Salvini e Tajani al guinzaglio (poco dopo muore Berlusconi), ma il terzo polo di Renzi e Calenda conquista l'8%, e nascono le prime tensioni nella maggioranza. Questa la sintesi di trent'anni. Da questo affresco si desume che: qualsiasi legge elettorale esista un terzo polo non coalizzato é sempre stato più o meno in grado di acquisire percentuali accettabili. Non é vero che i non coalizzati sono stati sconfitti. Addirittura i Cinque stelle, non coalizzati, hanno acquisito più voti, nel 2018, delle due coalizioni. Secondo. Le coalizioni presentate agli elettori si sono sempre sfaldate durante la legislatura, con l'unica eccezione del governo Berlusconi del 2001-2006, costretto tuttavia a una crisi e a un rimpasto. Terzo. Tutte le maggioranze di governo, in questi trent'anni, hanno sempre perso le elezioni successive. E questo testimonia la perenne insoddisfazione dell'elettorato. Aggiungiamo un quarto punto: la percentuale dei votanti é scesa precipitosamente verso il basso fino a calare sotto il 50%. L'Italia, che era il paese europeo dove si votava di più, é diventato il paese dove si vota di meno. Vogliono, lorsignori, tenere presente (anche quelli come Renzi che fanno il de profundis al terzo polo) questi quattro argomenti. Oppure parlano per dar aria ai denti? E li digrignano

Mauro Del Bue, Nato a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all'Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un'intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 è assessore allo sport e poi all'ambiente nel comune di Reggio.

Hanno rimasto soli…

…come, amaramente o forse incazzosamente, direbbe Gassman.

Noi, forse con altrettanto senso tafazzista, riprendiamo l'argomento, che griffa questa rubrica. Apparentemente focalizzata dalla “questione socialista”, ma, a ben guardare, alla condizione di default dell'intera sinistra italiana. Specie della parte “governista”, pronta, quando si tratta di guardarsi allo specchio, a strisciare i piedi, pur di scansare la resa dei conti, dal punto di vista della verifica della tenuta della dorsale (non si dice dell'impronta idealistica) ma anche solo della sistemazione teorica data ad un percorso che ormai è privo di agganci giustificativi.

Ma, siccome, pur guardandoci dal pericolo di vertigini idealistiche, non abbiamo marcato visita (e i forsennati cambi di scenario di questo trentennio), ribadiamo ancora un concetto.

Un popolo militante che non onora la propria storia sta finendo le proprie ragioni per rivendicare il pieno titolo di rappresentare questa storia nella vita pubblica. E nella decenza.

Ok c'era stato il golpe partitico-mediatico-giudiziario, finalizzato più che al disassamento dei precedenti equilibri, forse privi della necessaria consapevolezza di disancorare le prospettive di un Paese pervaso, molto più degli altri omologhi, dagli intangibili continuismi ad excludendum, dal sordido impulso a ridare, con le spicce, le carte e a prefigurare (con l'ostracismo decretato contro la maggioranza parlamentare certificata dalla legislative del 1992) un modello liberaldemocratico, incardinato nel falso “maggioritario”, nel leaderismo, nella soppressione dei movimenti strutturati.

Un processo, questo, molto più coerente con il teorema della “storia finita” e la “politica liquida” e, soprattutto, con l'intenzionalità di applicare i dogmi della globalizzazione e della finanziarizzazione della politica. Alla cui concretizzazione erano, appunto, necessari players che, a prescindere dal loro passato massimalista, sembravano (allo scopo di essere sdoganati nel nuovo ruolo) maggiormente di bocca buona.

Sorprendersi delle avvisaglie di trent'anni fa e dei loro concreti approdi comporta, insieme ad una buona dose di disonestà intellettuale, la permanenza nella determinazione a non voler trarre, qualunque fossero state le intenzioni di quel cambio di passo, lezioni dalla storia (dei bilanci fattuali), e con essa la neghittosità (ammesso che si volesse cambiare registro) verso le premesse per una nuova stagione, in cui nel sistema politico italiano possa essere reinstallata una sinistra che risponda a minimali requisiti ideali e teorico-pratici, per rappresentare una costituency civile e socio-economica.

L'Italia (anche se queste premesse appaiono sensibilmente disancorate in un vasto contesto occidentale) è vistosamente priva di un player che, a pieno titolo, rappresenti tutto ciò.

Un po' perché agli attuali depositari del volante la situazione (giocata quasi esclusivamente su un profilo “governista”) va bene com'é. Un po' perché la “sinistra”, storica e post-comunista, non ha mai voluto (per accreditarsi ai ruoli discendenti dalla nuova condizione di caduta delle conventio ad excludendum e di accreditamento come soggetti pienamente investiti) passare sotto le forche caudine. Cui altri movimenti socialisti europei, SPD e PSF, lucidamente e responsabilmente, si sottoposero con i Congressi-chiave di Bad Godesberg ed Épinay. Obiezione accolta: passaggi questi che 50-60 dopo non stanno risparmiando ai due senior partners della famiglia socialista europea (con l'aggiunta del Labour) gli incagli in una condizione di usuramento indotto da una corta visuale sulle conseguenze dei macro-processi mondiali e continentali, che, per la loro intensità e permeabilità delle consolidate coscienze collettive, hanno (ad eccezione del contesto iberico in cui avveduti gruppi dirigenti stanno realisticamente prendendo le misure) in qualche misura assottigliato l'undergroud di una lunga stagione performante.

Se i fratelli maggiori della variegata famiglia socialista europea (in cui il PD figurativamente appartiene, senza di mostrarne il pieno titolo in patria), dimostreranno (come in parte stanno abbozzando) una coerente determinazione a correggere il taglio governista, ad accantonare le eccessive suggestioni importate dalle contiguità interessate ai ruoli di potere, a ristabilire, soprattutto, una indispensabile premessa “ideale” (con una minimale intelaiatura teorica), per la famiglia potrebbero anche riaprirsi le condizioni di un cambio di passo incardinato lungo un pragmatico percorso (ripristino di un welfare raccordato al recupero dei diritti universali ma sterilizzato dalla spesa pubblica facile e dal parassitismo individuale e collettivo; di una lettura realistica delle garanzie civili depotenziate dai radicalismi (soprattutto, in materia di domanda di “sicurezza”); di una forte riappropriazione/esposizione sul progetto del potenziamento dell'appartenenza occidentale e del completamento dell'unità europea.

Tali appaiono a noi le linee-guida di una riflessione in capo al socialismo europeo, che sono troppo velocemente uscite dal palinsesto delle analisi post elettorali del giugno scorso.

Sarà difficile prevedere un giustificato posto a tavola per la sinistra italiana, che non c'é.

Potrebbe essere questa l'occasione (per ciò che resta in termini di motivazioni ideali, testimoniate individualmente e collettivamente, di quello che un po' irrealisticamente potrebbe essere definito aggregato socialista italiano) per partecipare a questo indispensabile re installazione nell'asset politico continentale (e nazionale).

Ma, a prescindere da una mai sopita ed interessata spocchia nel riavvolgere e ri-proiettare la pellicola di un film che non c'è più, non si intravvedono, se non nei lembi di sopravvivenza di testimonianze ideali in capo a realtà associative e territoriali (alcune, anche importanti) realistiche prospettive.

Non può esserla la pretesa, ingiustificata e per molti aspetti irritante, del sedicente PSI, che, in realtà, ha dimostrato, insieme ad un azzerato rating di capacità aggregante delle potenziali risorse e di offerta di progetto, tutte le caratteristiche di voler resistere solo come “ditta”, prerogativa di esercizio di un'offerta politica di utilità marginale (si direbbe nella dottrina economica), manipolata da una piccola oligarchia di motivati, attraverso l'agitazione dei soli impulsi militanti, ad ottimizzarne la presa sulla capacità di raccolta. In modo che l'indotto si presti ad accreditare l'esistenza, meglio sarebbe dire la improbabile sopravvivenza, di un aggregato mobilitabile nelle dinamiche della testimonianza politica ed istituzionale.

Se questo fu il dato in scenari pregressi (in cui SDI e PSI potettero mettere a frutto un tasso di militanza ideale non ancora frustrato e, soprattutto, “trapassato”, in non edificanti “scambi”, in cui la collocazione della rappresentanza socialista nelle alleanze oltre che “mutevole” appare talmente anomala e umiliante da peggiorare la già difficile e pregiudicata preesistenza della stagione craxiana.

Senza in alcun modo infierire, ci pare di poter dire che le voci fuori campo da questa logica “micro-partitocratica” mercantilistica e assurdamente oligarchica intervengano decisamente a mettere con le spalle al muro e a togliere qualsiasi alibi e ad avviare, come sosteniamo da tempo un serio processo di armonizzazione e convergenza in vista di una seria riattualizzazione del progetto della convenzione di Bertinoro del 2008. Solo uno snodo, deciso e chiaro, come questo può riaccreditare la permanenza nelle dinamiche dialettiche e, si sa mai, nello schieramento politico-istituzionale (a cominciare dalla sinistra lato sensu) di una “voce” socialista. Di tale auspicio, senza farci inebriare dal nostro impulso idealistico, esistono seri presupposti. Come risulta dalla coerente editorialistica dell'affratellata La Giustizia prampoliniana, del suo direttore Del Bue, dalla generosa ma obiettivamente non facile attività dell'Associazione Socialista Liberale e, come auspichiamo da tempo, dalla scesa in campo del Circolo Rosselli, che, detto tra noi, mostrerebbe più di molti altri requisiti di autorevolezza e coerenza.

Dopo di che aggiungiamo che anche se ci infastidiscono ed in qualche modo rendono più complicata attualizzazione della testimonianza socialista, in quanto la macchiano sia con l'assenza di un'offerta politica sia, soprattutto, con la reiterazione di modalità talvolta da sklaven-partner e talvolta da percettori di honey trap.

Il cui esercizio, per effetto delle consapevolezze attorno al bassissimo indotto sui concreti rapporti di forza, diventa vieppiù ininfluente ed umiliante. Essendo passati, in trent'anni, dall'alleanza targata Dini, Radicali e, ultimamente, Prodi, alla mostruosa collocazione (avvenuta anche alle comunali di Cremona) nelle liste con AVS (Soumahoro, Salis…).

Con evidente approdo alla marginalizzazione del contributo politico-ideale e della percezione che questa mutevolezza derivi dall'impronta discendente dal “o de Franza o de Spagna…”.

Diciamo, noi che rappresentiamo la “riserva” dei socialisti che non disertano, anche senza bisogno di simboli, bandiere, brand, la testimonianza del socialismo umanitario, liberale/labourista e riformista, siamo ancora qui. Un po', come direbbe Gassman, solitari, ma ben decisi a partecipare con le modalità che sono restati nei nostri archi.

Alla ripresa autunnale, come esplicitamente propone Virginio Venturelli, che resta un lucido e generoso punto di riferimento di quella che definiamo Comunità Socialista Territoriale, riattiveremo i percorsi che hanno come approdo l'armonizzazione e la convergenza.

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