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Fosse solo un problema di decoro…

  17/06/2023

Di Redazione

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Due nostri affezionati e valenti lettori (Matteo Tomasoni e Paola, entrambi impegnati sul fronte del decoro urbano e della sostenibilità ambientale) ci segnalano, con immagini e testi, una simulazione, un rendering, come si usa dire, di come si dovrebbe procedere per porre rimedio a due (dei tanti) obbrobri che caratterizzano la sciatteria del patrimonio edilizio cittadino.

La prima segnalazione riguarda uno dei rimedi all'intollerabile stato in cui versa un tassello piccolo, ma significativo, del cuore urbanistico della città. Si tratta, come descrive Tomasoni del fabbricato galleria Kennedy, intitolato alla memoria di Mario Coppetti.

Una memoria che fortunatamente è entrata da sé nei cuori e nelle consapevolezze dei cittadini cremonesi. Al di là e forse a dispetto di un riconoscimento toponomastico, non esattamente sostenuto da un adeguato apparato di decoro.

Vero che è tardi chiedersi le ragioni per cui è deragliato lo scombiccherato progetto della mediatica per cui si demolì, anni fa, il Supercinema. Ma sempre realistico sarebbe chiedersi la ragione per cui, dopo molte peripezie edilizie, legali, amministrative (di cui dovrebbero sentirsi di dovere di rendere conto i governi cittadini dell'ultimo trentennio) si è disinvoltamente scelto un taccone peggio del buco. Rimediando cioè ad un avventato gesto di distruzione edilizia (per di più pregiata, considerato il comprensorio in cui insisteva) produttore di un buco nero con una soluzione raffazzonata.

Ci poteva stare che non si potesse rimettere il dentifricio nel classico tubetto.

Ma c'è un limite anche per le più disinvolte neghittosità, specie se indotte dalla cattiva coscienza di scellerati comportamenti.

La conclusione è che si è demolito un importante volume edilizio e, alla fine, è rimasto un buco, dalla destinazione assai incerta, comunque, nei fatti effettivi, incongrua, poco decorosa, con un alto tasso di probabilità di peggiorare il decoro del comprensorio ztl già gravato da seri problemi.

Non era così quando quattro anni fa il “tavolo” degli estimatori dello scultore-partigiano chiesero alla Civica Amministrazione un gesto di riconoscimento del valore dell'estinto, intitolando la breve via Goito e arredando congruamente le poche decine di metri del largo. In modo che il medesimo, con la collocazione di un contenuto apparato verde e di minimale arredo, potesse diventare un'occasione di sosta anche di valore didascalico.

Si era pensato e si era proposto di collocare alcune delle realizzazioni (tra cui “la morte bianca” finita nel castigo dell'irrilevanza, insieme al monumento a Leonida Bissolati).

Si è preferito sulla base di insondabili percorsi cognitivi adottare la soluzione di un inverecondo aggregato di destinazione ludica e di ignobile corredo figurativo (percepibile nell'immagine che postiamo).

Ovviamente per la gioia dei perdigiorno e pure dei perdi notte.

Matteo, indefettibile testimone delle buone cause del decoro e della vivibilità urbana, propone minimalmente la realizzazione di un art street sulla facciata dell'incombente palazzo. Noi ci siamo permessi di suggerire un decoro forse graficamente meno suggestivo del murale ipotizzato. Meno suggestivo ma denso di valore didascalico: la raffigurazione, similmente a quanto le associazioni partigiani hanno, con l'intervento del Comune, realizzato, dei Sindaci della Liberazione.

Tutto tace.

Sulla seconda segnalazione (che riguarda il volume di edilizia terziaria in avanzata fase di realizzazione in Via Giordano- Via Ratti) giuntaci congiuntamente da Tomasoni e da Paola Tacchini, mettiamo le mani avanti. Perché, nonostante i nostri lettori l'abbiano presa un po' con ironia, noi non siamo disposti a fare sconti, nei confronti di una politica urbanistica ed edilizia al limite dell'assurdo.

Dice Paola “questa è una mia ironica soluzione. Il mostro ormai c'é. Si potrebbe fare un po' di street art con vernice antismog”.

Non è, al momento, dato sapere come il committente titolare della concessione intenda completare l'opera. La street art (che a dire il vero a Cremona non manca, anche grazie la sudditanza del Comune ai cultori del ramo) può essere una, tardiva, soluzione.

Ma, per quanto ci riguarda, prima del problema del decoro di questo importante comprensorio urbano, c'è la necessità di interrogarci e di interrogare una buona volta sui concept e sui sentiment che stanno alla base della politica edilizia di questo ciclo amministrativo.

n via Giordano inquietante non solo il muro, ma l'intero insediamento. Passato dalla seguente filiera: per decenni sull'area ci furono " i rut". Chiusi i quali l'area di proprietà comunale fu res relicta.  Avrebbe potuto essere riqualificata ad uso sociale e, anche parzialmente, a scopo edilizio. Invece, si è preferito uno sfruttamento, diciamo, intensivo. Coerente con la linea "palazzinara" del Comune.

Che, diciamo, non ha badato a spese nell'assecondare la linea del piccone risanatore e della cazzuola a gogo.

Soprattutto, per assecondare una strategia di ossessivi insediamenti terziari e commerciali, poco congrui rispetto alle reali esigenze della distribuzione e alla compatibilità col contesto cittadino.

Vero che le licenze per la grande distribuzione sono scaturigine delle competenze regionali. Vero, però che il coltello, dal punto di vista della destinazione urbanistica, è nelle mani comunali.

Vero che è tardi chiedersi le ragioni per cui è deragliato lo scombiccherato progetto della mediatica per cui si demolì, anni fa, il Supercinema. Ma sempre realistico sarebbe chiedersi la ragione per cui, dopo molte peripezie edilizie, legali, amministrative (di cui dovrebbero sentirsi di dovere di rendere conto i governi cittadini dell'ultimo trentennio) si è disinvoltamente scelto un taccone peggio del buco. Rimediando cioè ad un avventato gesto di distruzione edilizia (per di più pregiata, considerato il comprensorio in cui insisteva) produttore di un buco nero con una soluzione raffazzonata.

Ci poteva stare che non si potesse rimettere il dentifricio nel classico tubetto.

Ma c'è un limite anche per le più disinvolte neghittosità, specie se indotte dalla cattiva coscienza di scellerati comportamenti.

La conclusione è che si è demolito un importante volume edilizio e, alla fine, è rimasto un buco, dalla destinazione assai incerta, comunque, nei fatti effettivi, incongrua, poco decorosa, con un alto tasso di probabilità di peggiorare il decoro del comprensorio ztl già gravato da seri problemi.

Non era così quando quattro anni fa il “tavolo” degli estimatori dello scultore-partigiano chiesero alla Civica Amministrazione un gesto di riconoscimento del valore dell'estinto, intitolando la breve via Goito e arredando congruamente le poche decine di metri del largo. In modo che il medesimo, con la collocazione di un contenuto apparato verde e di minimale arredo, potesse diventare un'occasione di sosta anche di valore didascalico.

Si era pensato e si era proposto di collocare alcune delle realizzazioni (tra cui “la morte bianca” finita nel castigo dell'irrilevanza, insieme al monumento a Leonida Bissolati).

Si è preferito sulla base di insondabili percorsi cognitivi adottare la soluzione di un inverecondo aggregato di destinazione ludica e di ignobile corredo figurativo (percepibile nell'immagine che postiamo).

Nella fattispecie, l'area ex SNUM era originariamente comunale, poi fu ceduta ad una partecipata (se non sbagliamo), per essere definitivamente venduta ad un privato. Che ha pensato bene di massimizzarne il valore con la realizzazione di un ennesimo supermarket. Con un progetto, come si vede dal nostro apparato fotografico, ben oltre i limiti della decenza. Vero che, alla fin fine, nell'animo dei cittadini alberga, in materia di vivibilità comunitaria, un senso di compiacenza verso la postura nimby. Ma le immagini che pubblichiamo sullo stato del cantiere e quelle acquisibili de visu sono ad un tempo illuminanti e raccapriccianti. Perché per la prima volta la politica realizzativa del terziario commerciale, fin qui confinata (si fa per dire) in periferia, con la realizzazione di Via Giordano giunge a ridosso del centro. E' questa la “riqualificazione urbana”, griffe del ciclo di consiliature incardinate all'insegna del motto “fare nuova la città”?

Possiamo capire le pressioni (tra cui l'acquisizione degli oneri di urbanizzazione, tanto cari alla sostenibilità di bilanci sempre periclitanti). Ma a tutto c'è un limite. Che, evidentemente, la governance municipale (rivelatasi, tra l'altro, incapace di riqualificare il proprio patrimonio, a principiare da quello a destinazione abitativa) ritiene di poter oltrepassare.

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