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Focus Quirinale/4

Scheda bianca, fumata nera

  24/01/2022

Di Redazione

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Consapevoli della forzatura della metafora desunta dalla fattispecie di altra dinamica elettorale, procediamo, oggi che vengono aperti il maxi seggio elettorale e relativa cabina-catafalco (con annesso drive dedicato ai positivi e ai quarantenati) con il focus Quirinale. 

L'altro ieri l'avevamo inaugurato con un primo numero prevalente vocato alla ermeneutica dell'anomalia della discesa in campo del Cav. Ieri, cogliendo il sentiment ben presente nelle consapevolezze dei nostri elettori di oriento e/o militanza socialista, ci siamo permessi di lanciare una candidatura, quella del professor Valdo Spini, che è “di bandiera” (nel senso che le sue radici sono ben infisse nell'immutato bagaglio di idealismi e di cultura liberalsocialista) ma che è anche una chiave di interpretazione della possibilità di far rientrare nel perimetro delle ipotesi concrete di ritorno alla politica una candidatura, che racchiude in sé i profili di una testimonianza strutturata e di un curriculum coerente con gli imperativi del presente. 

Nulla, questa nostra “provocazione”, vuole togliere al valore e al realismo delle opzioni in campo racchiuse nella “rosa” dei “papabili”. La cui specifica sottende, al di là del profilo squisitamente personale, una stretta correlazione con l'”ingaggio”ai fini dell'assolvimento del compito. Per i prossimi 7 anni della più alta magistratura repubblicana e per una imprecisata, ma sicuramente non breve, temperia su cui si rifletteranno le conseguenze del progetto di governabilità e resilienza. Che ha come linee guida del prosieguo le opzioni rimesse alle decisioni dei 1008 investiti di causa. 

Se ne parla (non sempre apertis verbis e con animo sincero!) da qualche tempo. La fase prodromica dovrebbe essersi conclusa ieri. Oggi, con l'insediamento delle Camere riunite, ci dovrebbe essere stata la punzonatura dell'importante procedura elettiva. 

Ameremmo che non fosse persa, come molti aspetti della vicenda lascerebbero intravedere, che i “lettori” non perdessero l'occasione per dare un segnale didascalico alla Patria. Nel suo complesso di comunità nazionale e, se è consentito, nella sua scansione sociologico-culturale, rappresentata dal “popolo”. Un anno fa si cambiarono i cavalli nella sempre tribolata governance; che di tanto in tanto pretende una staffetta tra i titolari del mandato elettivo e servitori civili (senza dei quali i senior partners dei superiori poteri economici, finanziari, politici non rilasciano affidavit). OK, se proprio si vuole, si può dire “commissariamento”. Senza del quale dieci anni fa l'Italia, fortemente indiziata di default, avrebbe fatto la fine della Grecia. Un anno fa, il default sarebbe stato irrealistico, in pieno disastro pandemico; ma i “poteri” continentali non avrebbero assecondato né cordoni sciolti nella gestione economico-finanziaria né soverchie aspettative in materia di sostegno alla resilienza ed al rilancio di un partner (che, anostro parere, resta ancora fragile nei suoi fondamentali e nella sua dirittura). Come scrive Veltroni oggi sul Corriere, il governo di coesione nazionale è servito a garantire sostegni economici e a promuovere il recupero del prestigio europeo dell'Italia. In sintonia con la testimonianza civica del popolo, aggiungiamo noi. Giustissimo che questo civil servant, che funzionò bene ovunque abbia servito le istituzioni, venga confermato e, se possibile, consolidato in un ruolo magari più dilatato nel tempo. Ma est modus in rebus. O la politica cambia e si fa una ragione di replicare nelle sue condotte prestazionali il timbro dei “tecnici”. Oppure bisognerà rimodulare l'intelaiatura ordinamentale in modo che, a saldo immutato, si riformi profondamente la Costituzione. 

Molto più autorevolmente di me, l'editorialista della Gazzetta di Parma Domenico Caopardo, già presidente di sezione del Consiglio di Stato, scrive in proposito: 

Debbo, con serio disappunto, prendere atto che la politica italiana, a urne quirinalizie aperte, non si è posta il problema dei problemi dell'Italia 2022. Esso non è la pandemia che, in definitiva, è una subordinata, ma è costituito dal debito pubblico che grava sul Paese e che, a stime correnti, ha raggiunto la terrificante somma di 2.694 miliardi di euro (novembre 2021). I titoli emessi dallo Stato ammontano a euro 2.236.302,78, in relazione ai quali abbiamo pagato 61,7 miliardi (novembre 2021) per interessi e 66,6 (31 dicembre 2021).  

Il costo di emissione di questi titoli di debito italiano è passato dallo 0.59% del 2020 allo 0,10% del 2021. Anche se parliamo di numeri frazionali, dobbiamo sottolineare che nel 2021 i costi di emissioni si sono ridotti a 1/6.  

Per quest'anno, il programma di governo prevede che il rapporto Pil-debito pubblico si attesti sul 149,4% (in Francia il 113,5% in Germania al 71,1). Lo spread tra titoli italiani e tedeschi è oggi di 141 punti (i titoli spagnoli pagano uno spread di 74 punti). 

Questi, in sintesi estrema, i numeri italiani quelli che costituiscono il «Fattore D» (D come debito, secondo la felice definizione di Sergio Fabbrini) condizionante di ogni scelta di politica economica e sociale del bel Paese e altresì di ogni scelta di quadro politico, come l'elezione del presidente della Repubblica.  

Mi ricordava giorni fa un mio amico, già imprenditore del settore tessile, ormai da tempo in pensione, di quanto avessero pesato sulla sua azienda i costi degli investimenti effettuati negli anni '80 e di come e quanto le banche si fossero interessate alle sue decisioni quotidiane, tanto da impedirgli, per grettezza di visione, di andare avanti, in modo da poter risanare e ritornare agli alti profitti che potenzialmente erano alla portata delle sue mani. 

E, in qualche misura, questioni analoghe si ripropongono per gli stati: gli investitori istituzionali e non sono attenti anche a uno stormir di fronde e noi italiani non possiamo permetterci di turbare nemmeno in minimissima parte la fiducia che, attualmente, i mercati manifestano sull'Italia e sui suoi titoli di debito pubblico. Basterebbe appunto uno stormir di fronde, come l'elezione alla presidenza della Repubblica di un personaggio ignoto al grande pubblico internazionale, per aprire la questione debito pubblico e per dover affrontare un precipitoso rialzo dello spread, tale da affondare il rapporto Pil/debito pubblico. 

Ora, parlandoci fuori dai denti, come siamo abituati a fare, non ci possiamo nascondere che il «Fattore D come Debito» incroci pericolosamente il «Fattore D come Draghi» e induca a una breve riflessione sull'abortita candidatura di Silvio Berlusconi: se essa fosse andata avanti con una qualche probabilità di riuscita, sarebbe tornata alla mente degli investitori (il 20% dei titoli italiani è nelle mani di istituti di emissioni europei ed extraeuropei) la sua performance del 2011, quando con il suo governo lo spread superò i 500 punti. 

Ora, sappiamo bene come in questo momento ci sia un indissolubile legame tra la presenza di Mario Draghi alla testa del Paese (di cui è di fatto e di diritto una specie di «Ceo») e la credibilità di cui gode l'Italia (con i suoi titoli e con i suoi impegni connessi al PNRR) in Europa e nel mondo.  

E dobbiamo anche valutare quanto le irresponsabili parole di Matteo Salvini (più o meno: “Draghi rimanga a Palazzo Chigi a dispetto di quanto imposto dalla prassi costituzionale dopo l'elezione di un capo dello Stato. Dimissioni formali del governo in carica, con possibile apertura di consultazioni) che avrebbe fatto meglio a tacere e a riservare l'osservazione al proprio circolo più ristretto, come si fa in questi casi tra i soggetti che rivestono primarie responsabilità politiche e istituzionali. In qualche misura, il medesimo Draghi l'ha già detto nell'ultima conferenza stampa del 2021: nell'ipotesi di manifestazioni di insufficiente fiducia da parte della coalizione che sostiene il governo, avrebbe tratto le corrette e immediate conclusioni. 

Quindi, in queste ore cruciali, tutti dovrebbero muoversi con cautela, sapendo che la platea degli spettatori non è composta solo da italiani, ma da una più ampia schiera di osservatori di tutto il mondo, da Wall Street a Shangai, da Bruxelles a Londra, da Tokyo a Mosca. E la cautela imporrebbe di non giocare con i nomi, ma di gestire in modo autorevole e riservato i rapporti tra i partiti. 

Siamo consapevoli che le forze politiche italiane sono affette da grave «nano-leadership» (a eccezione di -piccoli partiti- Matteo Renzi e Carlo Calenda e di -partito medio- Giorgia Meloni), ma intendiamo continuare il nostro lavoro pretendendo da parte di chi ha parte rilevante nei processi politici di assumere comportamenti tali da onorare le responsabilità che il caso più che il merito gli ha conferito. 

Se il «Fattore D come Debito» è condizionante -ed è doveroso rendersene conto per evitare di trasformarlo in «D come Disastro», il «Fattore D come Draghi» rappresenta un'opportunità che non deve essere tralasciata. 

Ciò premesso, andiamo a pubblicare in questa rubrica i contributi provenienti da Clara Rossini e da C.L. (e.v.)

 

UN'OCCASIONE PER TORNARE AD ASCOLTARE LE VOCI DEL CUORE 

Caro direttore, continuando le riflessioni sulla presenza del Partito Socialista nell'attuale politica, sempre dotato di persone colte e liberali come il citato ex ministro Valdo Spini, ritengo che il coraggio, le buone intenzioni, i sacrifici e le lotte dei nostri compagni meritino un ascolto ben diverso del raglio dell'asino. Tanti di noi sembrano voler stendere un velo pietoso sulla parola “sucialista“, come veniva pronunciata dal compianto professor Mario Coppetti. Impietose infatti furono le critiche su chi si attirò dubbi, colpe, condanne agendo a livello governativo. Unire a chi sbagliò una presenza collettiva importante nell'arco di tempo di tutto un secolo e più, di che si adoperò per ottenere libertà e democrazia, facendo di tutta l'erba un fascio, non deve essere ancora accettabile. Io mi ritengo fiera di appartenere al partito in cui militò mio padre, primo sindaco eletto dopo la Liberazione. Vorrei che questo mio sentimento venisse condiviso da chi lo ha sempre portato in cuore. Il socialismo intendo. Non solo, i giovani dovrebbero essere informati sulle vicende intercorse tra le due guerre. Senza interventi di parte, ma chiarire fatti e conseguenze ad essi legate. L'avvocato Paolo Carletti si mise a disposizione degli alunni di alcune classi del Liceo cittadino per rispondere a domande riferite ad un personaggio che si sacrificò per difendere la povera gente, Attilio Boldori. Uno dei tanti che combatté per il popolo.  Ora è necessario continuare a sensibilizzare anziani e giovani per tornare ad ascoltare le voci del cuore. Il mondo non è così malvagio come sembra. Non è vero che chi più urla ha sempre ragione.  

Quando arrivai ad avere l'età per camminare da sola nelle vie di Cremona, mi imbattei in una scritta che spiccava sopra un grande locale: Circolo GINO ROSSINI. Fu grande l'emozione. All'interno la gente giocava a carte, parlava, mi pareva sorridesse. Un circolo ricreativo certamente, ma con la possibilità di esporre idee e rispolverare ricordi. Erano il frutto di quei tempi …perché ora non trovare accordi per parlare con la nostra gente, motivi validi per non sentirci soli ad affrontare tutte le notizie che ci piovono dalle trasmissioni televisive, che rimbalzano dai giornali, distinguere le falsità dalla verità.  

Grazie per aver raccolto questo mio slancio verso chi desidera collaborare, cooperare.  

Clara Rossini - Cremona 24 gennaio 2022 

I 7 ANNI DI GARANZIA PER L'ITALIA 

Buongiorno e buon inizio settimana, caro Direttore. Ho appena ricevuto la news lettre del settimanale de L'Eco del Popolo, che mi ha indotto a fornire un contributo, breve ma non di meno sentito nella sua dimensione idealistica, alla bella ed edificante rubrica del Focus Quirinale. 

I giochi iniziano oggi come dovrebbe fare una politica seria dovrebbe aver già scelto nomi all'altezza della più alta carica dello Stato. Non di parte e di indiscussa moralità ci sono tante personalità degne ma alla fine sono tutte di parte. Sono finiti i tempi di Pertini e Moro, i nuovi politici non sanno valutare la complessa operazione a cui sono chiamati. I cittadini cosa vogliono? Io dico che Draghi al Colle per sette anni sarebbe una garanzia. Le fondamenta per un governo democratico e capace ci sono e pure solide. Con il dovuto controllo si potrebbe continuare sulla stessa linea. Almeno per 7 anni saremo sicuri di essere ascoltati e considerati all'Estero. L'anno prossimo, alla fine della legislatura che succederà? Meloni, Salvini e company non vedono l'ora di governare e senza un garante sarebbe uno sfacelo per il nostro Paese. 

C. L. - Vicenza, 24 gennaio 2022 

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