Eco-Rassegna della stampa correlata
La vendetta dell'acqua
Sergio Nesi, ingegnere idraulico di grande esperienza, dopo avere fatto la guerra nei reparti speciali della Regia Marina, quando assunsi l'incarico di vicepresidente del Magistrato per il Po (ormai sostituito dall'AIPO, agenzia interregionale del fiume Po, in sostanza gli assessori regionali al comando invece di collaudati tecnici di settore) mi spiegò: «Il fiume, qualunque fiume e il Po naturalmente, è come una bella donna, capricciosa, volubile e traditrice. Vuole essere curata con assiduità, gestita con delicatezza, osservata con amore.» Parole queste che mi sono tornate in mente leggendo del disastro romagnolo a opera di corsi d'acqua di limitata lunghezza, in bacini idrici di limitata estensione che, per queste ragioni, subiscono un andamento, nei momenti critici, torrentizio. Ora i telegiornali, nella loro funzione di sedativi manipolatori della Nazione pongono l'accento sulla natura eccezionale delle piogge di questi giorni concentratesi in Romagna. Una eccezionalità che, benché non così grave, s'era manifestata già un paio di anni fa. Il ripetersi delle alluvioni segnala che i provvedimenti (e gli investimenti) necessari non sono stati effettuati o non sono stati portati a termine nei tempi necessari per evitare che dopo 2 anni i territori fossero di nuovo in crisi. Un argine è crollato consentendo l'allagamento delle zone viciniori. Sul punto è bene ricordare che gli argini di Po, di Adige, di laguna debbono essere monitorati accuratamente. Il diffondersi incontrollato di lapin e talpe che fanno le loro tane proprio sui rilevati arginali ne determina la fragilità e la possibile frana. Dove ci sono argini ci debbono essere attività di controllo che, con le moderne tecnologie, possono esercitarsi anche per via aerea. Poiché è certo che un'autorità giudiziaria si occuperà del caso Romagna, essa dovrà affrontare, tra i temi cruciali, quello dello stato delle arginature, del loro monitoraggio e della loro manutenzione. La causa del disastro è politica, nel senso che la politica non ha posto i fiumi tra le sue priorità, facendo proprio quel vecchio detto attribuito a Giulio Andreotti: «La prevenzione non produce voti. L'intervento successivo ne produce in abbondanza.» Di tanto in tanto compaiono al proscenio, vari cirenei o esperti di settore che riprendono il concetto della prevenzione. Dal punto di vista istituzionale, il punto critico deriva dalla sostanziale abolizione del Genio civile, un'organizzazione a livello nazionale, che rispondeva alle esigenze di ingegneria civile del Paese. I vigili del fuoco, poi chiamati in causa, hanno una diversa cultura, una diversa preparazione, una diversa sensibilità rispetto alla prevenzione. Il Genio civile coordinava gli ispettorati forestali, i consorzi di bonifica, insomma l'attività di tutti coloro che avevano una qualche competenza in materia di acque. C'è da dire che negli anni '70 i magistrati per il Po di Parma e alla Acque (Venezia) avevano iniziato ad attuare un piano di saturazione del territorio con teleidrometri (segnalatori del livello delle acque) e di telepluviometri (segnalatori dell'intensità delle piogge): un sistema che connesso alle previsioni metereologiche avrebbe fatto guadagnare tempo prezioso nella previsione delle piene. All'evidenza, in Romagna non c'era nulla del genere: avrebbe permesso, se ci fosse stato, di guadagnare qualche ora per mettere in sicurezza le popolazioni. La difesa del suolo, concetto nel quale si inserisce il governo delle acque, fu oggetto di una specifica legge scritta e portata a termine negli anni '80 dal senatore socialista Achille Cutrera, avvocato e docente universitario di diritto. Egli immaginò di fare in Italia qualcosa di simile a ciò che era stato fatto in Usa dopo le devastanti ripetute alluvioni del Tennessee River. Come sempre però, la versione italiana della norma americana che dava alla Tennessee Valley Authority pieni poteri sul governo del territorio del fiume, dalla difesa alle edificazioni, agli emungimenti, alle funzioni irrigue, perdeva la precipua cifra dell'Authority e, diventando Autorità di bacino, perse i poteri per diventare un luogo della pianificazione idraulica, cogente per l'utilizzo dei fondi pubblici stanziati. La pianificazione idraulica in stile nostrano, però, è subordinata alle decisioni politiche del gruppo di comando: per il Po gli assessori di Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto. Quegli stessi personaggi che per ragioni di bottega politica potrebbero non scegliere le opere da realizzare secondo le urgenze tecniche, ma secondo i propri interessi elettorali. E spiace ritenere che gli uffici tecnici, per esempio, dell'AiPo (la citata Agenzia interregionale fiume Po) non hanno né possono avere la forza (o il coraggio) di scrivere ai predetti assessori: “Attenzione, gli interventi a difesa -per esempio- dell'isola di … hanno la precedenza sul resto. Perciò per due anni tutti le risorse disponibili vanno investite in quella situazione.” Un caso come tanti altri. E non si può nemmeno dimenticare che le nomine dei vari responsabili rispondono sempre alle logiche localistiche che ispirano l'azione delle regioni. Un circuito vizioso si chiude in modo inesorabile. Sarà difficile se non impossibile che il governo Meloni riordini il settore sottraendolo alle inadeguate responsabilità delle regioni, agli interessi degli amministratori regionali, a un sistema di potere che non riconosce al fiume la sua naturale sovranità.Sarà difficile se non impossibile che il governo Meloni metta fine -con una norma di difesa delle sezioni fluviali- alle pressioni degli ambientalisti che impedendo gli sfalci delle vegetazioni che crescono negli alvei ne riducono la sezione contribuendo in modo esponenziale ai disastri del presente e del passato. Dall'alluvione del Bormida in poi. Sarà difficile se non impossibile che il governo Meloni sottragga il governo dei fiumi alle attuali competenze politiche per conferirlo a chi ha le conoscenze tecniche per onorarlo. Così continueremo da una alluvione all'altra, imprecando contro il cambiamento climatico e le piogge battenti come facevano nel mesoarcheano gli uomini, incapaci di governare la natura, secondo necessità e opportunità.
Romagna mia – La Giustizia
La mia regione, l'Emilia-Romagna, sopratutto nel territorio romagnolo, é stata allagata. Sono 14 i morti, quasi 40mila gli sfollati, decine di migliaia senza elettricità. Danni incalcolabili, abitazioni invase dalle acque, strade divenute laghi, in cui i vigili del fuoco e l'esercito hanno nuotato per salvare intere famiglie, auto distrutte, seminagioni violentate, un'intera agricoltura in ginocchio, stalle infangate e contadini che continuano a spalare acqua per salvare le bestie, frutteti di pesche, ciliegie, albicocche interamente devastati. Si impone innanzitutto il rispetto per i morti, la solidarietà per le loro famiglie e il sostegno immediato per coloro che sono stati costretti ad evacuare e per i tanti che hanno perso il lavoro e la loro impresa. Mezzi busti televisivi, basta incrementare dibattiti sul riscaldamento della crosta terrestre, se sia o non sia responsabile degli effetti paradossali del clima, di un marzo che sembra maggio e di un maggio che sembra marzo e di una pioggia caduta in quantità che non se ne vedeva in un anno intero. Basta con la ricerca delle responsabilità dei governi, delle regioni, dei comuni. Servono pale e idrofori per prosciugare sperando che oggi e domani non piova. Servono volontari oltre ai militari, servono aiuti. E naturalmente risorse immediate. Non bastano certo i 30 milioni stanziati dal governo. Poi discuteremo della prevenzione e delle cause e dei soldi del Pnrr non utilizzati e di un piano nazionale contro il dissesto idrogeologico. Discuteremo dei motivi per cui 33 corsi d'acqua possono contemporaneamente esondare. Non é il momento. Gli emiliani romagnoli son gente concreta. Non sanno che farsene delle parole e delle promesse. Questa é una popolazione che proviene dai campi e ha ancora i calli nelle mani. Questa é la terra della musica (Verdi, Toscanini, Pavarotti, Bergonzi, Tebaldi, Dalla, Guccini, Ligabue e Zucchero provengono tutti da qui), é la terra delle automobili (la Ferrari, la Maserati, la Lamborghini), dei poeti (Carducci, Pascoli), dei registi geniali (Fellini, Antonioni, Bertolucci), ma soprattutto di un mondo impastato di lavori diffusi: dalla cucina, alle ceramiche, alla maglieria, alla meccanica e recentemente alla meccatronica, all'agricoltura appunto. È la terra delle più ardite sperimentazioni, pensiamo a quelle di Guglielmo Marconi, della capacità di fare impresa, gli imprenditori provengono generalmente dal nulla, e di trasformare in oro un mare tra i meno appetibili del mondo attraverso una micidiale macchina di turismo popolare. Verrà il sole e tra poche settimane le spiagge della Romagna si riempiranno di tedeschi e di tedesche a cui fare il filo e viaggeremo sulle onde al ritmo dei ferriniani pedalò della sua Cesenautica. E nelle pensioni di Cervia e di Riccione, oggi allagate, si ballerà il liscio di Casadei. E forse tutto sarà dimenticato dinnanzi a un piatto di tagliolini al pesce. Ecco, allora si dovrà impedire che questo disastro, questa apocalisse, sia passato invano. Allora si dovrà capire bene come tutto questo sia potuto avvenire, di come si possa morire di pioggia e perché una regione tra le più avanzate abbia conosciuto un evento estremo che non si verificava da secoli. Ma adesso per favore, silenzio e pale in mano. Il presidente della Regione Bonaccini si é presentato in tivù col giaccone dei vigili del fuoco e il ministro Musumeci col maglione tricolore. D'altronde non siamo in epoca di armocromia? Più che sceneggiate servono fatti. L'Emilia-Romagna non apprezza l'immagine. Qui l'abito non fa il monaco. Gli emiliano-romagnoli son gente concreta, appunto. E interi paesi attendono ancora di ritornare alla vita. Li conosco bene, mio padre alla guida di una spericolata 500 con le valige faticosamente legate sul tetto li attraversava con mia madre e me, a luglio, per raggiungere il mare, Bagnacavallo, Cotignola, Lugo e poi Faenza, la città di Pietro Nenni, e Predappio, comune in cui nacque quel suo amico che in gioventù chiamavano “Muslein al mat”, e Cesena che non si é voluta piegare al dominio forlivese e Forlì con la sua architettura fascista e infine l'accogliente e generosa Rimini di tanti straordinari Amarcord. E mi viene un brivido al cuore al pensiero che siano state parzialmente sommerse, e non dal mare che ondeggia poco lontano, ma dalle acque fredde dei fiumi. E che qualcuno, novello Noè, si sia avventurato tra le case a salvare i naufraghi custodendoli in tante piccole arche. No, non servono parole che, come si dice da noi, non fanno farina. Servono aiuti concreti, efficaci, subito. Mia cara Emilia-Romagna, alzati e cammina. Questo non sarebbe neanche un miracolo. È una tua consuetudine.
Eco-Forum
Crisi climatica e dissesto idrogeologico, Piloni (consigliere regionale PD)
Siccità e alluvioni sono due facce della stessa medaglia, urge un piano per mettere in sicurezza i nostri territori"
"Quanto avvenuto in Emilia-Romagna e nelle Marche deve riportare nel dibattito politico, in tutta la sua drammaticità e urgenza, il tema della cura del territorio e del rischio idrogeologico. Nel Def, Documento di economia e finanza del Governo, non c'è però alcun richiamo alla prevenzione e al dissesto idrogeologico. È inutile un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, se poi non si prevedono le risorse. Bisogna mettere qui i soldi, altro che ponte sullo stretto!”
“Lunghi periodi di siccità e intense piogge in poco tempo sono due facce della stessa medaglia: gli effetti della crisi climatica. Negarla, come fanno alcuni esponenti della destra, si pensi a Vittorio Feltri, non solo è sbagliato, ma soprattutto irresponsabile - sottolinea il consigliere dem -. In un'ottica di adattamento ai cambiamenti climatici, abbiamo il dovere di rimettere in cima all'agenda politica di Regione Lombardia e di tutto il Paese la necessità di mettere in sicurezza i nostri territori e l'avvio di questa nuova legislatura può esserne l'occasione. La legge 9/2020, il cosiddetto Piano Lombardia, si è rivelata, a tal proposito, una incredibile occasione sprecata dalla giunta regionale e dalla maggioranza di centrodestra che, invece di investire in una seria programmazione per la cura del territorio, ha preferito piccoli interventi, la maggior parte dei quali per nulla attinente alla prevenzione del dissesto idrogeologico. La nostra regione vanta, inoltre, un pessimo primato per quanto riguarda il consumo di suolo – perfino durante la pandemia, nel 2021, con 883 ettari consumati in più – e non ha ancora una normativa che regolamenti gli insediamenti della logistica che, lungo tutta la fascia pedemontana e la bassa, si stanno moltiplicando a dismisura”.
“Se quanto è avvenuto in Emilia-Romagna e nelle Marche fosse accaduto anche in Lombardia, saremmo, come minimo, nelle stesse condizioni, se non peggiori”.
Questa pioggia incessante...
...mi mette una malinconia e mi intristisce ho sempre nella mente le immagini dell'alluvione in Emilia Romagna, che devastazione!! Gli emiliani ed i romagnoli sono cittadini ammirevoli davanti a tanto dolore non si scoraggiano, si rimboccano le maniche sono positivi ricostruiranno più bello di prima. Riempie l'anima di immensa condivisione vedere tanto coraggio e sacrificio. Non si piangono addosso e ringraziano con un sorriso al minimo aiuto ricevuto, un esempio da imitare per tutti.
C.L. 22 maggio 2023, Vicenza
Ad nauseam…
Gli argini hanno tenuto, si dice. Ok! Ma Sono stati semplicemente sormontati dall'ondata. Dal punto di vista delle conseguenze pratiche, che differenza fa?
Non è il momento delle polemiche (specie quando riguardano l'operato del “nostro campo”) …assolutamente d'accordo!
“Certo di acqua ne è venuta giù tantissima” … Ma, come osservava Gian Antonio Stella su Corsera tre giorni fa, attribuire lutti e danni alla solita calamità naturale ingigantita dai cambiamenti climatici diventa quasi banale.
E, last but not least, “in Italia spendiamo per riparare a posteriore i danni e non prima per la messa in sicurezza.” (Bonaccini, Presidente dell'Emilia Romagna).
A tutto in questo momento di tragedia nazionale e di conseguente dovere etico morale di convergere verso un eccezionale sforzo comunitario, si dovrebbe pensare di spendere parole che distogliessero da questa mission.
Ma proprio per essere coerenti e conseguenti al monito del Presidente Bonaccini, che stimiamo molto come amministratore e leader politico (al punto, non pentiti oggi, di averlo votato alle primarie), l'esortazione a stringerci a coorte (gesto che ci fa attenuare l'istintiva repulsione a qualsiasi incrocio con i nuovi governanti destrorsi) non può, in nessun modo, sviare dal pericolo di ripetitività dell'abitudine a scavallare l'acuzia de lo giorno per gabbare, come si suol dire, lo santo.
Essere vicini a quel territorio-comunità (che per oltre mezzo secolo ha avuto la fortuna di essere decentemente amministrato), a tutti e ad ognuno dei suoi abitanti, alle condizioni aggravate di disagio dei fragili, al lavoro autonomi e dipendente (che ne fa una delle regioni più avanzate) non implica la rinuncia a coniugare la straordinarietà di una tragedia.
Senza minimamente distogliere dall'emergenza, è il momento di fissare lo sguardo sugli aspetti strutturali del problema. Affinché non si ripeta.
Ha ragione Michele Serra quanto osserva: “la cura quotidiana dei nostri luoghi, con un territorio come il nostro e di fronte ai mutamenti climatici drammatici ma stranoti e preannunciati dovrebbe essere la primissima sollecitudine nazionale”.
L'Emilia Romagna non sfugge alla regola di un dissennato consumo di suolo. (al terzo posto in Italia), accompagnato quasi sempre dalla neghittosità (e la mettiamo giù piano) a maturare una visione fattuale ed organica del combinato tra cura quotidiana e soluzioni strutturali.
Come quasi un secolo fa gli Usa fecero con il varo della Tennesee Valley Authority. O come avrebbe potuto fare anche l'Italia se avesse dato seguito alle intuizioni di qualche decade addietro in materia di gestione combinata tra sostenibilità dell'equilibrio idrogeologico e più compatibilità con lo sviluppo economico.
E nel caso in specie non si può attribuire in pieno allo Stato centralista tutta o la maggiore colpa di un default che si ripete ciclicamente. Nei contesti tradizionali in cui opera una sistematica irresponsabilità, di una cultura espansiva che fa premio sulla massimizzazione della speculazione dei suoli; ma anche nei contesti caratterizzati da una storica maggior cultura di governo avveduto.
Non che lo Stato centrale ha molto da rimproverarsi sul terreno di visioni strategiche e mancati investimenti strutturali, che accarezzano poco le pulsioni scambiste.
Queste tragedie con scadenze ricorrenti, però, chiamano in causa (come giustamente sottolineano i contributi di Cacopardo e Del Bue) la responsabilità dei territori e dei loro livelli istituzionali.
È solo di qualche settimana addietro la notizia dell'imbarazzante intoppo dell'AIPO. Ma sarebbe giunto anche il momento di chiedere se la gestione regionalizzata di competenze, manifestamente da vasta area o da area interregionale, abbia dato in materia risultati adeguati.
Un po' si cementizza, un po' si fa l'occhiolino al pressing dell'ambientalismo radical; per il quale la regimazione dei corsi e la bacinizzazione sono una bestemmia.
Salvo dedicare alternatamente metà del tempo a lamentarsi degli effetti siccitosi e delle esondazioni.
Si sono spese miliardate per il cosiddetto reddito di cittadinanza e per il Superbonus, il cui gettito è stato ininfluente dal punto di vista dell'efficientamento edilizio (salvo il vantaggio della proprietà).
Questa irripetibile iniezione di spesa pubblica avrebbe dovuto essere destinata, invece, ad invertire il dissesto idrogeologico.
Ma, come è ormai palese, si è pensato diversamente si continua, nonostante le evidenze, contrarie, a pensare, come abbiamo scritto qualche mese fa, all'elycopter money del PNRR (tra l'altro, senza neanche riuscirci).
Fortunatamente la tragedia, nella circostanza, ha graziato il nostro territorio. Ma usque tandem!? Vero che siamo messi orograficamente in termini diversi e abbiamo fatto tesoro delle esperienze del passato. Ma è giunto il momento per il nostro territorio per alzare lo sguardo in termini di visioni interdisciplinari?
E quando diciamo “nostro territorio” ci riferiamo alle consapevolezze comunitarie, di ogni singola coscienza, dei corpi intermedi sociali, delle istituzioni periferiche.
Le quali ultime intervengono ormai, come è successo nelle ultime ore, per lanciare la raccolta aiuti.
Ben diversamente in passato fu il profilo dell'impegno, ad esempio, della Provincia (per il vero, non ancora vandalizzata dalla geniale idea del ministro dem Del Rio) che rimase sul pezzo a lungo ed intensamente. Ne sia prova il dossier riportato dalla rivista Provincia Nuova nell'edizione del febbraio gennaio 1977, dedicata alla sessione del Consiglio Provinciale in materia di “dissesto idrogeologico regionale ed interregionale; di proposte su un vero riassetto idraulico del Po; di danni originati dalle alluvioni”.
Sessione nella quale intervennero il Presidente in carica Franco Dolci (il cui discorso riprendiamo qui), l'Assessore ai Lavori Pubblici Franco Sanasi e l'ing. Michele Tartaro, direttore del Genio Civile ed indiscussa autorità nella materia.
Tartaro, portatore di una denuncia che travalicava il ruolo tecnico-amministrativo di alto dirigente statale, sottolineava “consegue la necessità di una collaborazione tra tecnici e politici… Gli uffici tradizionalmente addetti vengono lasciati morire come fastidiosa ed inutile eredità dello Stato senza minimamente preoccuparsi della continuità dei servizi, che, indipendentemente dalla polemica Stato-Regioni, interessano le Comunità”.
E' passato quasi mezzo secolo… E ci sa tanto che gli ammonimenti trasmessi al nipotino dal nonno attento ai “capricci della natura” apparterranno ancora all'ordine delle emozioni.
Per quanto ci riguarda continueremo la nostra testimonianza di denuncia…ad nauseam…appunto!