In una location di prestigio, quale è sempre il Palazzo Municipale, ed in una cornice di partecipanti, ragguardevole se raffrontata ad una celebrazione destinata nel tempo ad un target élitario, si è svolta l’annunciata rievocazione, nel 147° anniversario, della presa di Porta Pia, che il 20 settembre del 1870 concluse, almeno territorialmente, il processo di unificazione territoriale, portando all’Italia scaturita dal Risorgimento la capitale storica.
Ricordiamo subito che l’iniziativa, assunta dal Partito Socialista Italiano in partnership con PRI, Associazione Mazziniana, PRI, Radicali Cremonesi, Associazione Zanoni e L’Eco del Popolo e con l’adesione del PD, è stata partecipata dai rappresentanti dei movimenti organizzatori e dai vertici istituzionali, il Sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, ed il delegato del Presidente della Provincia e Sindaco di Corte de Frati, Rosolino Azzali.
Va segnalato che, oltre agli esponenti politici (Giuseppe Ghizzoni ed il segretario dem Galletti), hanno partecipato il presidente del Consiglio Comunale Simona Pasquali, il Sindaco ed il vicesindaco di Persico Dosimo, Superti e Monica Zilioli, oltre noti dirigenti dell’associazionismo partigiano e della vita culturale cremonese.
La cerimonia, situata di fronte alla lapide che ricorda il sacrificio del bersagliere cremonese, Giacomo Pagliari, immolatosi nel combattimento di quel 20 settembre 1870, è iniziata con l’introduzione dell’avv. Paolo Carletti, segretario del PSI. Il quale, con un opportuno rimando all’epigrafe dedicata a quel combattimento “che fu ultimo ad atterrare la dominazione sacerdotale non voluta da Cristo e condannata dalla religione e dalla storia”, ha sottolineato che quell’evento liberò (o avrebbe dovuto liberare) l’Italia civile, unificata dal Risorgimento, da invadenze e la libera religione da incombenze temporali. Evidentemente non è stato così sempre e fino in fondo e la rievocazione di quella simbolica liberazione è finalizzata a cementare la testimonianza civile di credenti e non credenti.
Su tale linea, pur non condividendone un’eventuale piega laicistica, si è espresso, con un accalorato intervento, il Sindaco Galimberti. Il quale, dopo aver premesso che la lettura della storia è complessa, perché fatta di luci e di ombre, che costellano il suo divenire. Questo quasi secolo e mezzo trascorso dalla Breccia lo sta a dimostrare. L’importante è che, a prescindere dalla libera testimonianza delle ragioni della fede o del pensiero laico, credenti e laici restino saldamente ancorati al senso di laicità dello Sato.
Sergio Ravelli, referente dei Radicali Cremonesi e di Radio Radicale che ha trasmesso l’vento, ha sottolineato come gli accadimenti in Europa e nel mondo di questi ultimi anni impongano a tutti i laici un ampliamento del tradizionale concetto di anticlericalismo al fino di meglio orientare l’azione di chi si batte contro ogni ingerenza clericale nella vita dello Stato e nella politica.
Molto atteso, come ogni anni, è stato il contributo del prof. Mario Coppetti che, dopo aver onorato il sacrificio di Giacomo Pagliari e la testimonianza degli altri sessanta combattenti cremonesi, ha esortato a a non dimenticare o semplicemente a marginalizzare il pericolo insito in una temperie in cui un popolo, un gruppo dirigente, una classe intellettuale o dei pedagogisti rifiutano la storia. Quando ciò accade significa che non ci si sente parte di una comunità in cammino, che si sono persi la speranza, lo slancio, gli ideali, il futuro.
E, invece, noi vogliamo ricordare il nostro passato e lanciare un appello perché chi ama l’Italia si impegni a contrastare alcuni profili nefasti delle politiche sui flussi migratori, sostenute dall’invadenza vaticana, che ci fanno perdere la nostra identità e che stanno creando profonde e pericolose divisioni tra gli italiani.
In proposito, il professore ed artista partigiano, ha citato un passo del recente contributo dell’accademica concittadina Ada Ferrari: “L’Italia, città aperta, paga il prezzo più alto mentre l’emergenza terroristica, sanitaria ed economico-sociale mette all’ordine del giorno con urgenza la difesa dei nostri confini di Stato. Nessuno può chiamarsi fuori dicendo: la solidarietà impone di portarli qui, io sono un’anima bella, andrò in paradiso, il resto non è affar mio. Una carità svincolata dal senso di responsabilità verso le evidenze della ragione e dell’etica collettiva è ancora in diritto di chiamarsi virtù?”.
Ricordiamoci, ha concluso Coppetti, che Giacomo Pagliari non morì per conquistare una città, ma per dare agli italiani la libertà. A cominciare da quella di fare le leggi senza condizionamenti esterni.
Nei prossimi giorni L’Eco del Popolo svolgerà, dopo la cronaca dell’evento, una riflessione sul suo significato nei contesti attuali.