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Focus Ponchielli/7

EXACTA CORRIGE…in materia di…

  31/12/2021

Di E.V.

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Giusto perché si tiri in ballo la nostra supponenza e si impugni eventualmente una nostra propensione, quando veniamo colti in fallo, a praticare il depistaggio, poniamo in evidenza facilitata il linkage agli argomenti (Focus Ponchielli/6La paura fa 90!... e il “divertissement” quanto fa? - ndr) che abbiamo trattato e a cui intendiamo riferire il prosieguo. 

Trattasi di un aggiornamento del dossier Teatro Ponchielli, con cui avevamo dato conto (forse con un eccesso di ottimismo, almeno nel titolo del pezzo!) di una situazione in progress e di un'interlocuzione con una nostra lettrice, manifestante riserve sulla deriva degli spottoni con cui da otto anni procede imperturbabilmente il comparto comunale delle politiche di promozione turistica. 

Riserve, nei confronti delle quali questa testata non solo ha manifestato piena condivisione, ma anche accentuato le perplessità. 

Senza che altri lettori si incomodino a replicare, ci assumiamo in prima persona l'esternazione di una nostra visuale allargata, in materia di politiche culturali e turistiche del Comune di Cremona.  

Vero che, almeno sul piano della comunicazione, i due segmenti in certo qual modo contigui appaiano sovrapposti; finendo per ingenerare l'equivoco che i programmi culturali siano funzionali quasi esclusivamente all'appealing turistico. 

Cosa che non deve essere; anche se non è sbagliato ritenere che in qualche misura il rango del combinato tra patrimonio storico-monumentale-artistico-culturale debba essere diretto alla fruizione dei cittadini residenti, oltre che capitalizzato ai fini dei dividendi (e non solo di immagine) di una città, ricca di asset e potenzialmente candidata ad uno sforzo di ulteriore arricchimento e promozione. 

Si deraglia, come abbiamo scritto nei due pezzi citati, quando si tende ad affievolire la distinzione dei due campi e, quando soprattutto, si vandalizza il progetto culturale con incessanti sconfinamenti di campo. 

Che fanno doppiamente male al rango della città della musica, del violino e, aggiungiamo noi, di tanti invidiabili gioielli. Soprattutto, quando (non si sa quanto consapevolmente) ingenerano, la buttiamo lì, che non ci sia soluzione di continuità tra l'offerta turistica e l'offerta culturale. 

Ben lungi da noi l'idea mal mostosa nei confronti dell'aspettativa di sviluppare il ritorno del terziario turistico. Ma, anche nei particolari, est modus in rebus. Si coglie, da tempo ed in dosi industriali, un eccesso di trasporto convivialità; quasi che la mission fosse indifferenziatamente attrarre numeri, di presenze e (forse) di consumi. 

A tale cifra si iscrivono le ansie dell'assessore al Turismo e City Branding (omettiamo la Sicurezza, che sarebbe sinistramente evocata dal ricordo dei fatti di 5 anni fa), di voler massimizzare calendari di attività ed opportunità in itinere nella logica di una ammuina permanente, che generi convivialità finalizzate, appunto, all'esaltazione del branding, del marchio. 

Che, inevitabilmente per effetto della legge del Gresham (“la moneta cattiva scaccia dal mercato quella buona”, se gira più velocemente della seconda), finirà per far fagocitare i piani alti e virtuosi dei progetti culturali. 

Già separatamente i piani di una arbitraria incollatura non starebbero indistintamente insieme. Che senso ha, infatti, appesantire le ali di uno sforzo dagli esiti non scontati teso ad intercettare (esclusivamente sui numeri!) ogni input che abbia come destinazione l'organizzazione di eventi di convivialità (per lo più a beneficio commerciale e prescindendo dalla compatibilità con la qualità del superiore branding di città di alta qualità). 

Tanto in materia di esternazione di perplessità nei confronti della debordanza dai giusti confini del segmento, che, per qualità e reale finalizzazione, può essere ascritto alla fattispecie dei “panem et circenses”. 

Quanto all'altro segmento in cui si articola il nostro approfondimento, non si adonterà l'assessore alla Cultura se rendiamo pubblico l'intercorso, prima occasionalmente verbale e poi epistolare, su alcuni aspetti della gestione culturale. 

Che ad esso non guardiamo in termini negativamente prevenuti è dimostrato, oltre che dal recente articolo sul Cartellone della Stagione del Ponchiellli, dalla serie dei numerosi precedenti. 

Forse siamo stati un po' precipitosi sulla metafora del sole che esce (dopo il tuono). Ma non abbiamo motivo per ridimensionare il nostro sostanziale apprezzamento per il superamento dell'impasse che ha vilipeso e tenuto bloccata la vicenda del Teatro Comunale. 

Abbiamo scritto che, da parte di alcuni amministratori, c'è il caparbio impulso, anche quando nella fattispecie, fanno cose buone, a fare il contrario del Re Mida. Il passaggio del testimone al vertice si poteva-doveva fare molto tempo prima; con un diverso piglio suscettibile di integrare il giusto lato motivazionale e ad un tempo una più stretta aderenza ai doveri di indipendenza. Siccome, come noto, cosa fatta capo ha, non c'è nessuno che più di noi saluti positivamente l'approdo ed auspichi quanto abbiamo già considerato nella precedente riflessione. 

Conclusa con una domanda retorica: “Che senso ha aver un Teatro cittadino stimato (nonostante…), un impareggiabile Museo del Violino/Auditorium, un Teatro Filodrammatici (forse l'unico sodalizio artistico impegnato nella formazione), un Teatro Monteverdi, se …” non si riesce a fare sistema, nel senso dell'armonizzazione, della convergenza, dell'ottimizzazione. 

Alleghiamo il pdf (in calce a questo articolo - ndr) del panel, inviatoci dall'Assessore Burgazzi, concernente le attività museali di Cremona. Riconosciamo il merito e ce ne compiacciamo, soprattutto per i “PICCOLI MUSEI (declinati come, ndr) UN LEGAME CON IL TERRITORIO”. Che esprime, sol se si pensi alle dinamiche del Museo Diocesano (sorto dal risultato della pesca a strascico esercitato sulle dislocazioni diffuse sul territorio), l'indirizzo esattamente opposto. 

Indubbiamente si potrebbe (si dovrebbe!) fare di più e meglio in materia di visioni e progetti unitari delle politiche culturali del Comune. Rispetto a cui pesa come macigno ostativo e circostanza (politicamente ed operativamente) condizionante la circostanza del frazionamento in tre segmenti del settore cultura. 

Ne scapitano la visione di insieme e, diciamolo pure, l'unitarietà del progetto e l'autorevolezza erga omnes degli investiti di mandato. Altro che frazionare l'assessorato; bisognerebbe potenziarlo, come perno delle politiche culturali del governo cittadino e vero branding della città. 

Non siamo vecchi brontoloni supponenti, inclini a ipercriticare i venuti dopo. 

Invecchiare e disporre di capienti bacini mnemonici è ad un tempo una responsabilità da gestire cum juicio ma anche un'opportunità per ragguagliare coloro che non sono stati testimoni diretti. 

Senza offesa per nessuno, non è che, a dispetto dell'autorevolezza del rango e diciamo di risultati maturati in automatico, ci siano stati a Cremona sovrabbondanti assessori alla Cultura, in passato. In certi passati periodi alla Cultura non venne fino ad un certo punto riconosciuto il rango di assessorato. Però, ricordiamo il prof. Fresco e il prof. Persico (docenti del Manin) che oltre all'istruzione presidiarono di fatto anche la cultura (che già si avvantaggiava di Sindaci “intellettuali”, come Lombardi, Vernaschi, soprattutto Zanoni e più tardi Corada) In anni più recenti sarebbero arrivati due assessori, “organici” e molto apprezzati, l'avv. Magnoli e il prof. Berneri. Poi avrebbero imperversato (a dimostrazione che l'impulso al ciarpame vive e lotta con noi) il Recitarcantando e il trentennio del Ponchielli. La nostra idea-progetto per la Cremona del futuro ha come perno il binomio scuola-cultura. Basterebbe, ripetiamo, crederci, ottimizzare le sinergie tra i gioielli che abbiamo e non scantonare. E smetterla con questa smania della convivialità borgatara; che esalta gli animi dell'autoreferenzialità ad usum delphini, ma che sminuisce la causa. 

Perché, e lo diciamo fuori dai denti, ci sono ambiti di convergenza e sussidiarietà tra cultura stricto sensu e promozione dell'immagine della città, in grado di intercettare quote di avventori. 

Ne ha fatto cenno, nella recente accorata lamentazione contro il destino cinico e baro delle conseguenze pandemiche, l'assessore al branding, quando parla, con scarsa cognizione, non di causa, bensì di consapevolezza dello stato dell'arte, del “turismo di vicinato”. 

Scusi, Assessora, ma a chi …zo di turista per caso può venire in mente di infrattarsi in un centro storico che, oltre ai tanti gioielli, denuncia un intollerabile stato di trasandatezza, equivalente ai profili borgatari. Si può ritenere giustificato lo spot del "venite a Cremona" se non ci si rende conto delle brutture e dell'incuria. Dei buchi neri, come il biglietto da visita del Foro Boario. 

Sicuramente l'indotto delle puntate di prossimità riveste una sua sostenibilità. E anche su questo terreno Cremona avrebbe carte da giocare, in termini di complementarietà. Azzardiamo: una visita guidata al cimitero monumentale; un percorso alle vestigia della scuola razionalista… 

Ma, se non ci diamo una mossa, il richiamo del mordi e fuggi della prossimità può ritorcersi al contrario; incentivando i flussi in uscita. 

Facciamo outing: di tanto in tanto lo pratichiamo anche noi. Con non rare visite a Mantova che presenta livelli per noi irraggiungibili di offerta. 

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