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Ospedale di Cremona

Tra eccellenze prestazionali e impulsi "like"

  06/05/2021

Di E.V.

Ospedale+di+Cremona

È di oggi la notizia data dal solo (per effetto di un rapporto esclusivo di cui la direzione generale dell'ASST dovrebbe dar conto) quotidiano locale che ripone sotto una luce rasserenante le potenzialità del presidio ospedaliero di Largo Priori. 

Un dream team di specialisti ha eseguito un intervento complesso su una paziente portatrice di una criticità significativa. 

Al tavolo chirurgico ha operato una équipe di quattro primari specialistici, il cui impegno ha traguardato un esito, a quanto si legge nelle interviste, sorprendente. 

Parlare di eccezionalità prestazionale in assoluto sarebbe esagerato; ma, indubbiamente, dopo anni di performances opache (quando addirittura inclassificabili), è una notizia rassicurante e potenzialmente edificante. 

Oseremmo dire in controtendenza con un consolidato contraddistinto più da casi di fuga dagli organici medici e da ricorrenti denunce di malasanità confluite al vaglio giurisdizionale che non in linea con un accreditato passato di perizia professionale. 

Ci compiacciamo con gli operatori medici e paramedici e con la paziente (cui auguriamo ogni bene) e formuliamo l'auspicio che il caso (finito non suo malgrado nel cono di celebrazione mediatica) funga da punzonatura di un ciclo resiliente di una struttura in caduta libera. 

Per molto di più (in termini di complessità clinica) l'intervento cui, nel maggio 1998, fu sottoposta la madre di chi scrive, non aveva guadagnato gli onori della cronaca. A quei tempi ai primari, agli “aiuto”, agli assistenti (arrivati negli organici di reparto con concorsi molto selettivi e con l'accredito di precedenti esperienze lusinghiere) bastava far bene il loro lavoro nella sanità pubblica. Il professor Palmiro Alquati veniva da una formazione molto impegnativa e da responsabilità validamente testate. 

Alcuni dei suoi collaboratori avrebbero potuto succedergli, se nel frattempo le conseguenze dell'”aziendalizzazione” non avessero rettificato percorsi selettivi e mission generale del presidio ospedaliero. 

Per completezza aggiungeremo che almeno un paio di loro avrebbe traguardato la direzione di presidi molto più importanti di Cremona. 

Mentre, come è noto, il vertice delle responsabilità dei reparti del nostro ospedale avrebbe inforcato un tourbillon di abbandoni (talvolta cumulativi), che, al di là di un giudizio sul saldo qualitativo del turnover (su cui non vogliamo entrare), ha comportato uno sconquasso evidente nell'accredito della struttura. 

Nessuno è insostituibile, si diceva un tempo. Vero è, pero, che i rimpiazzi (significativamente attinti dall'ASST di provenienza del Direttore Generale) dovranno dimostrare, con i debiti tempi, l'equivalenza col prestigio del passato. 

Il buon esito della “sfida col mostro” (di cui c'è solo da compiacerci) appare in ogni caso funzionale, una mano santa se si pensa alla cattiva (tutta da verificare processualmente) stampa costruita attorno alle prestazioni non infallibili della precedente direzione di reparto), ad una remuntada nelle percezioni dell'opinione pubblica e dal parterre degli utenti (sempre più motivati o costretti a trasmigrare). 

Come di tanto in tanto osserva il Direttore Generale Rossi, il turn over non è sempre da percepire come discontinuità negativa. Lo stesso ringiovanimento dei ranghi, l'immissione di nuove professionalità, la metabolizzazione di motivati entusiasmi possono rappresentare una ricetta vincente. 

Purché rientri in un progetto sostenibile di rilancio organico di un presidio che sembra aver, soprattutto per effetto dei danni collaterali della pandemia, toccato il fondo. 

L'evento di prevalente rilevanza clinica denota una sia pur episodica inversione di tendenza nella provenienza dell'utenza. 

Mentre resta sospesa e sostanzialmente irrisolta la contestazione del progressivo alleggerimento degli organici e dei posti letto effettivi, non viene data risposta a chi lamenta una preoccupante caduta dell'offerta di prestazioni non rinviabili, come sono quelle del monitoraggio post-oncologico. Che impone agli utenti o il rinvio sine die (con esiti potenzialmente letali) dei controlli o l'accesso ad altre strutture (preferibilmente in regime solvibile). 

Sorprendentemente si presenta un caso rovesciato. La notizia, però, non può non indurre a focalizzare la questione degli accessi ai percorsi ospedalieri. L'utente felicemente assistita sarà passata attraverso l'iter dell'ordinaria programmazione? Della visita specialistica? Del pronto soccorso? Della visita specialistica solventi? Della conoscenza personale tra paziente e primario? 

Un tempo (un'era geologica fa) era forte e strutturato il rapporto tra i vari segmenti dell'intelaiatura sanitaria. L'accesso al posto letto e alla prestazione in regime di ricovero (specie se impegnativo e urgente) era generalmente scandito dal rapporto collaborante tra la struttura ospedaliera, la specialistica pubblica e, soprattutto, la medicina di base. 

Questo era il rapporto filtro (verificabile) che scandiva tempi e modalità dell'accesso. 

Cosa questa di non poco conto, se si vuole operare per un generale riaccreditamento del Presidio Ospedaliero come riferimento di una sanità territoriale, ispirata dalla concreta pratica del diritto alla salute. Tutto è bene ciò che finisce bene. In alto i cuori per una vita salvata e per una rassicurante performance medica. Ma per un caso felicemente risolto quante situazioni restano a rischio per effetto di politiche ospedaliere incompatibili col diritto alla salute costituzionalmente affermato? Il cono di notorietà costruito su un'effimera (diononvoglia!) eccellenza può nascondere l'impulso a perseguire la logica dei like. Che si inserirebbe nella tattica ormai evidente di smarcamento rispetto all'opinione pubblica dalle cause e dalle responsabilità individuali e sistemiche del disastro della sanità lombarda.  

La critica severa (ed ineludibile) praticata dalla nostra testata non è, si sarà capito, dettata da contrapposizioni dogmatiche. Perché in ogni momento confidiamo in una sorte benigna propiziata dalla volontà feconda di autocorrezione. 

Che resta solo un beneaugurante auspicio se difetta di un documentato quadro di riferimento sulla situazione effettiva e sull'agenda dei potenziamenti. 

Se vuole accreditarsi come credibile interlocutore della comunità locale, il direttore generale accolga un consiglio: smetta un prevalente impulso comunicativo, infecondo per le sorti del presidio che dovrebbe guidare e incongruo per il suo ruolo, che resta affidato ai problemi. La smetta, ad esempio, di reiterare la cazzata a colori del nuovo ospedale (per il vero, capace di ipnotizzare anche larga parte del notabilato locale). 

Si applichi concretamente a definire, anche sul piano di una credibile relazionalità pubblica, un quadro effettivo sulla situazione del presidio: posti letto potenziali ed effettivi, organici medici e paramedici, percentuali di effettiva operatività dei reparti, tempi di attesa per le prestazioni non covid e di controllo oncologico. 

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