Beppe era comunista e antifascista. E questo non era in discussione o trattabile. Tutto il resto era importante ma non irrinunciabile. Nato a Torino, era milanese ed era orgoglioso d'esserlo, un simpatico ganassa quando sottolineava la superiorità dei meneghini sui cremaschi. Era spiritoso e acuto, ma non gradiva le battute sui compagni. «I tuoi amici del pidi – lo stuzzicavo – sono diventati uguali ai democristiani». «Fanculo Antonio».
La barba, la sciarpa rossa, il baschetto alla francese, gli occhiali con una montatura leggera da intellettuale lo rendevano riconoscibile. Dicevano molto sulla sua personalità e il suo pensiero. Fumava. Non le Nazionali semplici o le Gauloises. «Sei imborghesito». «Fanculo Antonio».
Non passava inosservato. Era iuventino fino al midollo. «Beppe sei una vergogna, la squadra degli Agnelli, dei padroni!». «Fanculo Antonio».
Faceva il giornalista. Scriveva bene come pochi, conosceva la storia, verificava le notizie, non parlava a vanvera.
Ha lavorato a La Provincia quando io ero responsabile della redazione di Crema. Un professionista ineccepibile. Non ho mai avuto una discussione con lui, ogni tanto un bonario avvertimento. «Beppe ricordati, non lavori per l'Unità, ma per il giornale degli agricoltori». Lui abbozzava un sorriso. Ha lasciato la redazione all'improvviso. Una mattina mi dice. «Me ne vado. Da domani non lavoro più qui».
Non mi ha dato spiegazione della scelta e io non ho mai capito bene il motivo di questa decisione.
Dopo questo episodio abbiamo continuato a frequentarci e lui non ha smesso di correggere le bozze dei miei romanzi. Pignolo all'eccesso, sui segni di interpunzione mi metteva in croce fino all'esasperazione e allora ero io a mandarlo a quel paese. «Fanculo Beppe, tu e le tue virgole e trattini». Ma non si limitava a corregger i refusi. Controllava le concordanze dei verbi, le ripetizioni ed eventuali contraddizioni logiche e temporali. «Le tue storie sono troppo lunghe». Non voleva il file, ma il cartaceo. Ci davamo appuntamento in un bar di via XX settembre, lui un giallino e io un caffè. Parlavamo poco del romanzo e molto di Crema e della politica. Lo ammiravo. Gli sono grato: mi ha fatto capire cosa sia la passione politica vera. Mi ha ridato la fiducia e la speranza in un mondo migliore e credo che a lui Vasco Rossi piacesse, anche se non ne abbiamo mai parlato. Sicuramente apprezzava gli Inti Illimani.
Poi sono stato io a leggere le bozze di un suo lavoro. Raccontava episodi di vita della Milano di una volta.
«Bravo Beppe. Sono poetici e rendono bene il periodo. Meritano d'essere pubblicati».
«Non mi pigli per il culo?». «Cazzo, Beppe la smetti di fare il funzionario del Kgb. Se ti dico che sono belli, fidati! Sono migliori di tante porcate che si leggono oggi».
Aveva sorriso. Era felice. Anch'io lo ero, fortunato d'avere incontrato un uomo così. Semplice e tutto d'un pezzo. Genuino e sicuro delle proprie idee. Sincero. El Hombre vertical. Tu che parlavi spagnolo sai cosa voglio dire. Riposa in pace Beppe. Dove sei ora il comunismo è garantito. Lì sono tutti compagni. Pugno chiuso e Internazionale. Un abbraccio.
(A.G.)
A riprova del timbro umanitario della testata e dell'intimo convincimento che, di fronte al conclamato gesto della “livella” cade in prescrizione qualsiasi remoto “dialettico”, ospitiamo, capendone lo spirito, il ricordo che Antonio Grassi dedica al collega Cerutti, recentemente scomparso. Un nostro collega; come noi “schierato”, ma non nella medesima parte. Il che, si ripete, non conta assolutamente niente, quando la scolaresca (del film di Pupi Avati) arriva al lago di fine gita.
Ci farebbe piacere che Beppe da dov'è non si adontasse di vedere il suo profilo, tracciato da mano amica, sia finito su una testata socialista. Da lì non gli sarà difficile capire lo spirito.
Ciao Beppe, anche da noi, pur se non Ti abbiamo incrociato.
(E.V.)