Egregio direttore, leggo sempre volentieri il Suo giornale e noto con rammarico una sempre viva contrapposizione tra cattolici e laici.
Tralasciando il fatto che da un punto di vista etimologico laico è colui il quale si contrappone a chierico e non a cattolico si può affermare che il senso della laicità può trovare la propria origine proprio nel cristianesimo.
Il vecchio brocardo date a dio ciò che è di dio e a Cesare ciò che è di Cesare non è certo stato enunciato nel 1946 ma ha origine molto più lontana.
Noi siamo figli della nostra storia, non siamo una pagina di un libro bianco, ma siamo l'ultima pagina di un testo che è sempre in fieri.
Siamo contemporaneamente figli della cultura giudaico cristiana e greco latina e anche la più ortodossa laicità trova in quelle radici la propria origine.
Solo la religione cristiana contempla dunque il concetto di laico.
Addirittura direttore le critiche al cristianesimo, come la scarsa considerazione delle donne nella chiesa, trovano radici nel senso del cristianesimo stesso, come la parità uomo donna.
Un cristiano sembra ormai debba trovare giustificazione del suo essere tale.
Manca, direttore, gente come Gennaro Acquaviva, Livio Labor, Luigi Covatta e tutti quei compagni che hanno portato all'interno del vecchio Psi valori cristiani.
Noi dobbiamo saper accogliere anche chi ha una visione cristiana del socialismo e accettare quei cattolici che accoglieranno l'appello di papa Francesco di un nuovo impegno cristiano in politica e che non devono trovare la loro casa esclusivamente nelle destre.
Questa sarà la nuova sfida da affrontare con meno prevenzione e molta più attenzione.
Cordialmente
Matteo Bettini
A voler essere sincero la missiva del nostro lettore ci è giunta da qualche giorno. Ma non è stata in lista d'attesa a causa della fisiologica difficoltà operativa della testata a tenere il ritmo dell'allestimento editoriale (talvolta dovendo scegliere in base alla highest precedence dell'attualità) bensì per il combinato tra questa e lo spessore dell'argomento.
È d'uopo, preliminarmente, inserire una distinzione tra i due campi in cui veniamo ad operare. Una cosa, infatti, è il riferimento “militante” in capo alla Comunità Socialista; altra è la testata, che, pur rivendicando continuità di cultura politica, non è entità sovrapponibile. A prescindere e, forse, a dispetto della coincidenza di alcuni comparenti.
Ferma restando tale coincidenza fisica, ispirazione e mission restano distinte. Ben distinte!
Nella fattispecie rispondiamo ed interloquiamo con Bettini come editore/editore della testata che vide la luce il 4-5 gennaio 1889 (anche per celebrare il centesimo anniversario della Rivoluzione per eccellenza e il trentesimo della seconda guerra di indipendenza.
Il suo direttore, forse il più quotato politico cremonese dell'era contemporanea, era figlio di un'infermiera molto acculturata e di un, detta un po' frettolosamente, prete di larghe vedute illuministiche e di culture anticipatrici della modernità, oltre che civile anche sociale.
Più che l'attrazione affettiva dovette aver giocato un ruolo non secondario nell'unione, foriera di un talento quasi irripetibile, una forte comunione di intelligenze.
Figurarsi se con tali precordi in capo al nostro fondatore, i suoi esegeti si lasciano impacchettare in una polemica che non ha senso e chi si lascerebbe giocare sul terreno di una contrapposizione, di cui l'immagine dei due antagonisti/amici sarebbe falsamente rivelatrice.
Ancorché arruolato, dopo il trapasso di Bissolati e dalla ripresa dopo la Liberazione, non più per assolvere ad una prevalente visione di cultura politica ma come strumento di dibattito interno e, diciamolo, di diffusione della linea (se non proprio di propaganda), la testata, soprattutto, grazie allo spessore dello storico direttore di quel lungo ciclo (Emilio Zanoni), seppe conciliare tale funzione operativa con un decente spessore di ricerca e di confronto.
Così abbiamo voluto rilevarla noi per due volte. All'inizio degli anni 80, allo scopo di dare una consistenza al rinnovamento progettuale di quel corso riformista e, successivamente, un quarto di secolo fa, quando, venuta meno la “cinghia di trasmissione” con il dante causa finito nella polvere e nella dissoluzione, la resilienza e l'attualità di una rivista, non schierata e non discendente dal campo partitico, furono orientati nel senso del recupero del profilo delle origini.
Indubbiamente, L'Eco del Popolo qualifica la propria griffe come prevalente richiamo alla dottrina del socialismo liberale. Ma, nella riformattazione del proprio modus operandi, ha opzionato innanzitutto l'obiettivo di essere uno strumento di agibilità di contributi, privi di diritto di tribuna, e quindi di confronto dialettico.
Alle spalle, indubbiamente, abbiamo un retroterra strutturato: l'aggancio ai perni dell'illuminismo, del pensiero critico, della laicità (nel senso della netta distinzione tra pensiero politico e intimo convincimento in materia di spiritualità e di fede religiosa).
Sarebbe reticente e omissivo sorvolare o addirittura negare che questa piattaforma coincida talvolta con l'esigenza di una testimonianza molto scandita delle ragioni di un'assertività netta con le intromissioni del campo religioso nella spera civile.
Così come non si nega il fatto che anche frequentemente, come obiettivamente ha rilevato, Bettini, viene dato spazio anche ad espressioni innegabilmente anticlericali.
È la nostra storia, bellezza, che ce lo impone.
Quanto agli incroci tra questo substrato, innegabilmente schierato sul terreno delle ascendenze teoriche e filosofiche, e un certo parallelismo di richiami civili e sociali con la dottrina cristiana non c'è dubbio alcuno. Ricorderà Bettini che un anno fa abbiamo (insieme all'Avanti di Milano diretto da Claudio Martelli e all'Avanti on line diretto da Mauro Bel Bue) azzardato un Santo Natale socialista, facendo il verso al massimo cultore di questo azzardo Prampolini e riproponendo una suggestione mai definitivamente dismessa nel campo socialista. Le biciclette sono distinte (quelle di Peppone comunista e del prete padano don Camillo). La competitività è nelle cose della passione. Ma, come suggerisce il messaggio di coda di Guareschi, l'attrazione dei personaggi e delle loro idee è forte e prevale su molte controindicazioni.
D'altro lato, ci sono state innegabili tracce in tal senso nel percorso politico delle due testimonianze. Se è vero il fatto che i socialisti si opposero all'inclusione nel format repubblicano dei Patti Lateranensi (diversamente dal cinismo togliattiano che contribuì a metabolizzarli in un'Italia (che avrebbe dovuto essere nuova), è vero anche il fatto che alla base del nuovo corso riformatore iniziato negli anni sessanta ci fu la manina ispirata del corso giovanneo. E andrebbe aggiunto che tale percorso avrebbe dato il meglio della spinta sul terreno della modernizzazione e dell'evoluzione sociale.
Per quanto le pulsioni vaticane non avrebbero mai cessato di esorbitare dal campo della spiritualità per acquisire prerogative terrene, quella stagione di incontri (tra cattolici e socialisti, come si continuò a ripetere) fu eccezionale.
In essa, si sarebbero ricavati spazi di innegabile levatura individuale. Fa bene Bettini a ricordare il contributo di “socialisti” di fede cristiana, come Gennaro Acquaviva (tuttora vivente e lucidissimo osservatore anche dei contesti attuali), come Livio Labor e Gigi Covatta (recentemente scomparso). Il loro rating di interpreti delle più avanzate linee di emancipazione sociale e di formalizzazione di avanzate politiche del lavoro li colloca ai piani alti del riformismo.
D'altro lato, come ho avuto modo di far presente personalmente al mio apprezzato interlocutore, la maggioranza dei componenti la segreteria del PSF, guidata da Mitterand, era di fede cristiana. Circostanza mai negata e, per qualche verso, stupefacente se si pone attenzione allo specifico francese.
È assolutamente fuori discussione il fatto che in materia di cardini costitutivi di una teoria di socialismo liberale e riformista contino i reali contenuti e non se i testimoni siano credenti od atei.
Fermo restando che nell'indifferenza degli approdi individuali la professione di spiritualità deve essere veramente tale e non, come è accaduto e accade frequentemente nei percorsi terreni della Chiesa, della vonclausewitziana guerra in altri modi. Sarebbe anche qui omissivo stare leggeri nella rilevazione di distanze anche rimarchevoli tra chiesa e laici su questioni nodali, come, ne citiamo una, la libera opzione di fine vita.
Volendo, ovviamente, tralasciare, per ragioni di stringatezza, molto altro.
L'argomento è tutt'altro che secondario nelle nostre visuali. Stimoli come quello di Bettini sono fecondi. Speriamo che il confronto continui. (e.v.)