Caro Eco del popolo,
in questi giorni alcune iniziative, locali e regionali, sul tema delle risorse idriche hanno riportato questa problematica in evidenza anche sulla stampa locale. Ho però l'impressione che la situazione richieda una attenzione ed uno sforzo corale ben maggiori di quello che ci è dato di percepire. Non pare che la grave siccità, che non abbiamo ancora nemmeno superato del tutto, si possa considerare un fatto eccezionale e transitorio. Pare proprio invece che, per la quantità e la qualità degli eventi climatici peggiorativi rispetto al passato, dovremo affrontare in modi nuovi il problema delle acque. Scelte date per compiute e scontate rispetto per esempio al regime del fiume Po, aspetto per noi assolutamente vitale, si dovrebbero riconsiderare. La bacinizzazione o comunque la creazione di invasi per trattenere l'acqua con portate sempre più ridotte non è cosa che come un tempo riguardi solo la navigazione. È diventata una inderogabile necessità di carattere complessivo.
Più in generale dai ghiacciai alla piovosità, dalla scarsità delle nevi ai caratteri torrentizi di molti corsi d'acqua, dai rapporti tra i laghi ed altri invasi ed il territorio alle falde superficiali e profonde, assistiamo ad un preoccupante accumularsi di novità poco rassicuranti. Tutto questo ovviamente non può riguardare solo l'agricoltura e gli enti di bonifica ed irrigazione, che stanno meritoriamente lanciando allarmi del tutto plausibili. E neanche può essere lasciato solo agli enti ed istituzioni tecniche specificamente preposte. La questione acque dovrebbe essere oggetto di priorità emergenziale con lo spessore di quella dell'energia e quindi vedere un impegno politico istituzionale coordinato di livello nazionale, regionale e locale di questo livello.
Giuseppe Azzoni (Cremona)
L'acqua? Trattenerla!
Un titolo, ma anche una sintesi di quanto chi scrive va dicendo all'unisono con Giuseppe Azzoni, alla cui testimonianza in materia siamo accomunati da una medesima visione e, soprattutto, da un non breve periodo di amministrazione attive (in Consiglio Comunale e nel Consiglio dell'Azienda Regionale dei Porti Lombardi).
Altresì, questo, un ricorrente oggetto di conversari, quasi sempre improntati dalla constatazione della completa sparizione dai radar politico-istituzionali.
Poi, più che la virtù potettero le evidenze.
Danni all'agricoltura per 2 miliardi. Si lancia l'allarme solo nelle acuzie del diffuso inquinamento, degli incendi e della carenza idrica che, anche per effetto dei due fattori appena richiamati, comincia a diventare strutturale ed allarmante. Normalmente il bene prezioso dell'acqua, fattore qualificativo della condizione di benessere elementare e di civiltà, viene sprecato (anche perché fornito a tariffe irrisorie) e disperso da gestioni assurde e da impianti obsoleti ed inefficienti. In tali evenienze, coincidenti con le sempre più frequenti temperie siccitose (che dovrebbero rimandare alla constatazione di mutamenti climatici di segno avverso), ci si appella ai riti sciamanici, alla protesta (come se nell'avversità non ci fosse la mano dell'uomo), all'invocazione “dello stato di calamità” (ovviamente postulando le provvidenze pubbliche). Come se, mettendo mano per risarcire, ad esempio, la produzione agricola compromessa, facendo scucire a Stato, Europa, Regioni i due miliardi stimati di danni, il problema fosse risolto. Giustamente lo è (per i produttori), ma per stavolta. E per le prossime? Il Po è sceso di tot metri sotto lo zero idrometrico… il fabbisogno comincia a scarseggiare preoccupantemente per l'irrigazione dei campi e delle colture…allarme per la continuità del flusso e per la captazione dai grandi bacini. Bisognerebbe realizzare razionali ed efficienti reti di distribuzione (come da oltre 50 anni hanno fatto la Provincia ed il Consorzio nel territorio cremonese) per l'uso civile. Od (a partire dal medioevo e dall'800) i Consorzi irrigui per le esigenze agricole. Ma come si sa l'Italia non è un aggregato uniforme. Eppoi puoi anche, come abbiamo fatto noi (e c'è da esserne consapevoli ed orgogliosi), affrontare e risolvere strutturalmente la captazione ed la distribuzione (ed, in una prospettiva ormai ineludibile) il recupero ed il riuso, ma se Giove Pluvio fa le bizze e, soprattutto, dopo aver tanto atteso eventi pluviometrici o rilasci dal disgelo favorevoli, non ti preoccupi di chiudere il rubinetto, che si fa? E, noi, come nel caso di un'oculata gestione delle riserve, siamo esattamente alla condizione di qualche secolo fa.
Si fa sommessamente presente che non è mai troppo tardi per prepararsi ed attrezzarsi di fronte agli eventi naturali.
Di fronte al ripetersi ormai costante delle cosiddette calamità naturali, rinforzati nei contesti attuali dai profondi cambiamenti climatici, diventa ineludibile sia un piano strategico di difesa idrogeologica sia un programma di interventi manutentivi delle sponde e degli alvei di tutti i corsi fluviali e specie quelli torrentizi. Nonché una profonda rimodulazione della legislazione urbanistica, che abbia come obiettivo il disinnesco delle ferite inferte alla sostenibilità dell'ambiente da un'urbanizzazione selvaggia imperniata sullo sfruttamento edilizio delle coste e dei rilievi collinari.
Il sempre bravo Gramellini esorta: la ricucitura del territorio e la tutela delle sue meraviglie.
Siamo un territorio fragile, ma ci sono tante e precise responsabilità della politica. Ci vuole un piano straordinario per la salvaguardia dell'equilibrio ambientale e per le infrastrutture. Ci vuole un piano nazionale di piccole opere pubbliche per rinforzare gli argini dei fiumi e dei torrenti, difendere le strade dall'incombere delle frane, proteggere monumenti e musei.
Recentemente il Presidente della (nostra) Provincia si è lanciato in un (per noi, stupefacente) endorsement: “Porto, nodo strategico”.
Già… e che non ce lo sapevamo! (avrebbe osservato Monica Vitti in uno dei suoi ricorrenti picchi di sagacia).
Diciamo subito che il volonteroso Presidente Signoroni è assolutamente incolpevole di responsabilità ascrivibili a contesti di trent'anni fa. Quando il territorio accettò il filotto della cancellazione del Consorzio per il Canale Milano Cremona Po e con esso l'idea strategica del collegamento idroviario dell'area metropolitana all'Adriatico (e da lì a tutto il mondo) e, soprattutto, la cancellazione dell'Azienda dei Porti (che aveva dato uno spessore sovra provinciale a alla portualità interna ed alla navigabilità come modalità trasportistica e opportunità intermodale.
Nel frattempo, la consorella Mantova faceva, lemme lemme, decollare il Porto di Valdaro, assurto negli ultimi tempi ad epicentro operativo di quel progetto visionario. Per il quale ai cremonesi resta un indotto residuale. Meglio che niente.
Care autorità territoriali, ben tornate a bordo!!!