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Campagna vax

Criteri ispiratori e approcci umanitari

  03/03/2021

Di Redazione

Campagna+vax

Lunedì 1° marzo quasi tutto Pizzighettone, quello over 80, era a Soncino rispondendo alla chiamata alquanto impersonale di un call center che li "invitava” a presentarsi presso l'Hub appositamente attrezzato per sottoporsi all'agognata vaccinazione.  

Tutti abbastanza arrabbiati per aver scomodato figli, nipoti e amici; impauriti per dover affrontare questa avventura dopo mesi chiusi in casa per difendersi dalla pandemia; allarmati perché le notizie sulla pandemia a Soncino, arancione rafforzato quasi rosso, non erano rassicuranti; timorosi per le previste lungaggini burocratiche che ci si attendeva; delusi dal proprio sindaco che sulla stampa, da mesi, rassicurava che “tutti i suoi sforzi e le attenzioni sono dedicati alla gestione dell'emergenza sanitaria, sociale ed economica” e che quindi avrebbe provveduto a far si che dette operazioni potevano essere svolte senza eccessivi disagi per gli anziani. Magari a Pizzighettone. 

Nell'approssimarsi al famigerato Hub, ecco una serie di segnali e pannelli che indicano il percorso, personale della polizia locale, dei volontari (Protezione Civile, Croce Verde, etc) che indirizzano proprio davanti all'ingresso. Personale che si avvicina e aiuta le persone in difficoltà, che indica ai conduttori delle auto le aree del parcheggio, che accompagna i pazienti a misurare la temperatura e a fare l'igienizzazione delle mani, che, all'interno della struttura e in appositi box provvede a chiedere informazioni sullo stato di salute, di conoscere medicinali che vengono assunti, che compilano moduli. E personale medico ed infermieristico che, in tempi molto brevi, viene a somministrarti questo benedetto ed tanto invocato vaccino.  

Il tutto con estrema chiarezza e, soprattutto, gentilezza. 

Poi c'è il momento di “attesa” con il personale medico che ogni cinque minuti viene a chiedere come ti senti, se hai problemi e, dopo circa venti minuti, ecco che vengono a darti il prossimo appuntamento ed a salutarti. 

Si esce seguendo percorsi diversi dall'ingresso sempre accompagnati da questi meravigliosi volontari. 

A questo punto non si può che ringraziare il comune di Soncino, Fondazione RSA di Soncino, Ats e Protezione Civile che sono riusciti, con l'aiuto delle altre Associazioni di Volontari, a dare una ottima dimostrazione di efficienza per rendere più agevole e meno traumatizzante questo atteso, ma pieno di incognite, appuntamento. 

Naturalmente questa non è stata una gita fuori porta e le scuse chieste dal Consigliere Bissolotti, consigliere comunale di Pizzighettone, gli over ottanta di Pizzighettone le aspettano ancora.

 

 Luciano Capretto

Questo è il report che abbiamo ricevuto (anzi abbiamo sollecitato) da Luciano Capretto referente del raggruppamento civico “Pizzighettone al Centro”, che, da punto di tempo, funge da referente per i nostri approfondimenti preliminari indispensabili per scrivere note documentate. 

Ai nostri lettori (quelli meno saltuari) non sarà certamente sfuggita la continuità con cui, da un po' di tempo, diamo conto degli eventi, connessi alla questione sanitaria ed assistenziale, accaduti nell'ultimo anno nel borgo sulle sponde dell'Adda. 

Si può dire che nulla sia stato risparmiato dei picchi che hanno contraddistinto sia la vicenda pandemica sia i livelli prestazionali in capo agli investiti di mandato istituzionale. 

Abbiamo dato conto dettagliato di tutto. Tra cui i riflettori accesi sulla vicenda tutta da indagare e chiarire delle modalità con cui è stata praticata la punzonatura della campagna vaccinale riservata alla degenza del Mazza e all'apparato operativo. 

Nelle ultime settimane, in corrispondenza con l'ormai evidente sproporzione tra gli annunci taumaturgici della campagna e le effettive risorse disponibili, è andata accentuandosi la pressione (oltre che mediatica) sociale delle aspettative intorno alla sollecitudine dell'inoculazione. 

I maggiori indizi, non diciamo di avventatezza ma di faciloneria, ricadano sul livello istituzionale, investito di ruolo primario. La Regione e con essa la struttura sanitaria territoriale. Sua sponte e motu proprio la vera intelaiatura civile del territorio (vale a dire i Comuni), si è mossa, come sempre, in termini di raccordo (in materia non avendo ruoli riconosciuti) e di facilitazione. 

Non che si sia obbligati a nascere imparati (anche se sei avulso, meglio che ti occupi d'altro). Ma se devi attrezzare programma e strutture per fronteggiare il segmento propedeutico alla  

sconfitta sistemica del Covid, non è che puoi affidare i fatti all'indeterminatezza. 

Se, dando seguito alla declaratoria dei criteri ispiratori della campagna, decidi di occuparti preliminarmente delle fragilità e delle esposizioni, assolutamente non puoi trascurare la logistica. Certamente sarebbe auspicabile un servizio chiavi in mano e home service, per tutti. Caratteristica questa che pure dovrà essere estrapolata per la numerosa fattispecie degli intrasportabili. Stanti i numeri ed i limiti operativi, è pure logico che sarà necessaria una programmazione ispirata da un inoppugnabile criterio di hub territoriali, che sappiano garantire efficienza, sicurezza ed accettabili tempi e modalità di confluenza. 

La parcellizzazione non è perseguibile. Un tempo i poli concentrazionari sarebbe coincisi con otto Comuni capo-comprensoriali, per di più prevalentemente sede dei vecchi ospedali di carità. Avrebbero potuto costituire l'intelaiatura basica per la strutturazione del servizio. Ha voluto, invece, decidere sostanzialmente la Regione, attraverso l'ASST. Che non avrebbe, se non ci fosse il supporto comunale e del volontariato locale, neanche gli occhi per piangere. 

Sia come sia, ne è uscito uno schema, le cui conseguenze, pur prodotte da limiti obiettivi, non appaiono pienamente consapevoli dei disagi creati ad un'utenza fragile. 

Ne è rivelatore il report di Luciano Capretto. Nel precedente articolo avevamo convenuto pienamente con la denuncia del Consigliere Comunale Giancarlo Bissolotti, sullo stato cachettico del vertice comunale, più propenso alle smargiassate propagandistiche che all'obbligo della testimonianza istituzionale nell'interesse degli amministrati. 

La morale tratta dalla comunicazione di Capretto non può, pur nel doveroso accertamento della grande prova civica ed umana impartita dall'hub di Soncino (di cui i vaccinati ed accompagnatori provenienti da Pizzighettone conserveranno riconoscente pensiero), accreditare una conclusione da “tutto è bene quel che finisce bene…”. 

Perché deve essere ben chiaro che le criticità fin qui emerse costituiscono iceberg di problematiche di valenze sistemiche. 

Il vaccino, apripista degli approdi salvifici dello tsunami inaugurato un anno fa, in realtà costituisce uno dei segmenti in cui è strutturata la strategia antipandemica e della resilienza. 

Manca tutta la filiera del trattamento terapeutico delle insorgenze, dell'adeguamento della struttura sanitaria ed ospedaliera, dell'autosufficienza dei presidi, tecnici e farmacologici. 

Un'area questa, di consapevolezze che l'affastellata risposta all'emergenza e, soprattutto, la furbizia del ceto politico ed istituzionale ha bellamente accantonato. 

L'Italia un anno fa era priva di mascherine e presidi tecnico-igienici primordiali. Perche la loro disponibilità, in omaggio al manifatturiero iper-profittevole, è stata affidata alla delocalizzazione in contesti in cui la retribuzione del lavoro costituisce una sine cura. 

L'Italia trent'anni fa aveva un'industria farmaceutica da vertici continentali e mondiali. Dove sono finite quelle industrie, che, oltretutto, garantivano il fabbisogno strategico? Non abbiamo i vaccini perché non abbiamo industrie farmaceutiche e la ricerca, per quanto affidata in solitudine a scienziati valenti, costituisce retrovia delle sollecitudini. 

La valutazione non risparmia le prestazioni dell'UE, le cui essenziali politiche pandemiche  

fanno giustizia dell'ultradecennale elevazione agli altari di oligarchie, che, in materia di gestione dei piani vaccinali, si sono rivelate sussidiarie dei poteri economici. 

I vaccini non ci sono per questi motivi. 

Ecco noi, in aggiunta a queste controindicazioni sistemiche, abbiamo l'aggravante di una sala di regia non esattamente all'altezza dei requisiti minimi di decenza. 

Cominciamo col premettere che il vaccino, come risposta propedeutica al debellamento dello tsunami pandemico, è un diritto universale e deve essere gestito in un'ottica assolutamente pubblica. Se si potesse premere un pulsante, andrebbe praticato a tutti in un istante. 

Bisognerebbe avere il coraggio di interrogarsi sull'opportunità/produttività di una massa di esternazioni, prevalentemente affidata a depositi cognitivi inversamente proporzionali al fabbisogno. 

La considerazione, promoter di una comunicazione responsabile e, se non univoca, ispirata dalla coesione, riguarda in primis il ceto politico e l'ambiente scientifico. 

Look my mask: basta con questa fiera di profluvi mediateci. Anche gli organi responsabili di stampa avvertano il dovere di severità etica e si astengano dal sollecitare “contributi” lacrimevoli e ad effetto sugli audiences. 

All'hub di Sincino, recita oggi il quotidiano locale, sono iniziate le iniezioni anche per la fascia dei residenti che va dai 60 ai 79 anno. Entro la settimana tutti gli over 80 avranno ricevuto la provetta Pizer. Fiducia anche in città, dopo il sopralluogo al padiglione della fiera. 

Notizie (ripetiamo tutte da verificare) cui ci sentiamo in obbligo di aggiungere un'altra tipologia mediatica. Edificante, magari, negli intenti e nell'opzione giornalistica, ma foriera di incasinamenti. 

Eccone un campione: “Il 90enne Giancarlo dell'amico di Carrara si chiede perché non offrire il vaccino a una mamma disperata che ne ha più bisogno di me”. Oppure l'incazzata vegliarda che gagliardamente protesta perché i pubblici poteri non riservino la “sua dose” alla nipotina. Dal che traspare un quadro che, se vuole essere rasserenante, costituisce un concentrato di notizie da verificare e da correlare all' effettività dell'agenda operativa. E un deamicismo inappropriato e sdrucciolevole (le dosi vaccinali non sono proprietà dei fragili ma vengono prioritariamente riservate a loro e non sono cedibili) 

Un quadro che si presenta come un un rompicapo regolatorio, in cui sarà difficile trarre indirizzi comportamentali (attivi e passivi) netti e, soprattutto, in contesti trasparenti. 

Si era partiti dalla priorità per gli operatori (sanitario, della protezione civile, della sicurezza e via cantando) e per le fasce fragili. 

A mettere in discussione questo ordine sensato dei fattori (forse di fronte all'accertata mancanza sia della massa necessaria dei vaccini sia della filiera operativa) è arrivato in Lombardia un deus ex machina, che a capo della Protezione Civile nazionale aveva (dicono ovviamente gli estimatori e sodali politici) risolto tutto. E che a capo della filiera vaccinale avrebbe dovuto fare sfracelli e macinare performances. Al momento di ciò non si ha traccia, essendo tutto in sospeso e, a quanto obiettivamente percepibile, in discussione. 

Non sono accettabili dogmi e tutto, soprattutto per i testimoni del pensiero critico e della teoria relativista, è rivedibile e migliorabile. Ma se cominci non col rettificare, ma a capovolgere l'ordine dei fattori delle priorità (soprattutto, sulle fasce d'età), non puoi aspettarti di fluidificare l'agenda operativa. 

Ciò premesso, dovendo selezionare tra effettive disponibilità della materia prima e criteri di opportunità e priorità, è bene porre dei paletti; onde evitare che nella prefigurazione delle opzioni, più che necessarie obbligate, allo scopo di evitare surrettizie suggestioni dettate in realtà da conflitti di interessi e, soprattutto, da retro pensieri aberranti. Come sarebbe l'idea di Bertolaso, espressa in prima nazionale e senza pudore (tra cui quello dell'onere della prova di dover invertire una gerarchia di priorità universalmente proposta e accettata), di collocare nella coda della fila i portatori di fragilità per fascia anagrafica (una sorta di esodati dal vaccino). La cui aggredibilità virale sembra essersi attenuata per, si dice, effetto di un lockdown, più autoaccettato che imposto. Ok, ma a parte il fatto che è impensabile di ghettizzare a tempo indeterminato le fasce anagrafiche suscettibili di non avere (per ragioni naturali) residui esistenziali illimitati, va da sé che le pantere grigie, se non protette dal vaccino, arrischiano di infettarsi e, come giustamente osserva Schirinzi sul Corsera, intasare i reparti Covid e bloccare i reparti officiati alla cura delle patologie ordinarie (si fa per dire, perché ci riferiamo alle cronicità e a quelle oncologiche). 

Il bello del super Commissario è che ha fatto di questa illuminazione rivoluzionaria un'occasione di esternazione; neanche percependo il pericolo di veicolare principi eutanasici, per cui se c'è qualcuno da sacrificare è meglio partire da chi costituisce piombo per le ali dell'efficienza comunitaria. 

Uno che teorizza principi del genere andrebbe immediatamente messo, attraverso il sollevamento da delicati incarichi, nella condizione di non nuocere. 

Ovviamente, pur condividendo il massimo sforzo di indipendenza e di impermeabilità al conflitto di interesse, avremmo qualche perplessità di fronte all'ultima trovata di distribuire le dosi con l'algoritmo ai fini delle priorità.

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