E vabbé… accettiamo per scontata l'evenienza di essere additati come disfattisti, proprio adesso che la situazione della sanità appare meno disperata del recente passato.
A farla apparire tale non sono, secondo chi scrive, i dati obiettivi di uno scenario reso meno disastroso dal fatto che la pandemia ha alzato il piede dall'acceleratore (circostanza su cui l'establishment lombardo non ha peculiari meriti); bensì l'attivazione del cosiddetto Servizio P.
Per i pochi inconsapevoli tale Servizio (Propaganda) venne istituito, all'inizio del 1918, dal comando supremo militare italiano ai fini della vigilanza, l'assistenza e la propaganda sul prosieguo dello sforzo bellico, in quel momento giunto ad una fase cruciale.
L'esito di tale istituzione non sarebbe stato fondamentale, se non vi fosse stato l'eccezionale dispiegamento anche morale della nazione. Ma in qualche misura sarebbe servita, in sintonia con le nuove suggestioni comunicative, a fornire un sostanziale impulso nel suo sviluppo dopo la rotta di Caporetto.
Devono aver pensato a ciò gli oligarchi del centro-destra lombardo, di fronte ad un disastro biblico manifestamente correlato al loro quoziente di preparazione.
Si sono affidati allo stellone che il virus fosse poco più di un'influenza e che con una botta di …lo ed una sapiente campagna, appunto, comunicativa si sarebbe lestamente sfangata questa (sic) imprevedibile paturnia.
Diversamente non si capirebbe neppure un anno e mezzo dopo la ragione per cui affidarono le sorti del contrasto ad un certo Gallera (ritenuto, ad un certo punto della vicenda, talmente congruo da considerarlo potenziale sfidante del Sindaco Sala).
La sconfitta del sistema lombardo non era in grembo ad una malmostosa divinità o ad un destino cinico e baro. Pur essendo comune ad altre regioni italiane ed europee, zavorrate da alti tassi di impreparazione e dall'impulso di navigare a vista, la Lombardia, spavaldamente galleggiante con il vento in poppa di un'abusata e controfattuale nomea di “eccellenza” per un intero quarto di secolo, ha dimostrato fino in fondo che la pandemia ha morso qui più che altrove, anche e soprattutto a causa delle conseguenze dello sfascio del modello sanitario.
Poi sarebbe arrivato il reload con l'ingaggio della sciura Moratti sull'onda della prevalente, anzi esclusiva opzione derivante dalle logiche dettate dal Servizio P.
Per quasi 18 mesi hanno pensato di reggere una situazione da ordalia, mantenendo in piedi un vuoto pneumatico di saperi e una routine fatta di furbate di giornata nonché di un empirismo vocato all'improvvisazione e allo stellone inerziale dello speriamo che me la cavo.
Di fronte ai morsi implacabili della pandemia, sulle vite, sulla serenità, sulle relazionalità, sui semplici e consolidati gesti quotidiani, è stato lanciato fraudolentemente il proposito di invertire una tragedia con una impegnativa rimodulazione dei presupposti fondamentali, che la stavano aggravando.
In realtà si trattava solo di gesti di distrazione mediatica, intesa a stornare l'attenzione e le consapevolezze dagli errori e dalle responsabilità.
Perché le linee-guida e i padroni del vapore sarebbe restati tali. E, da questo punto di vista, non ci si lasci trarre in inganno dai turn over in qualche posizione apicale della sanità. Attuato da ragioni, più che di autocritica e di emendamento operoso, di svergognata continuità nell'occupazione del potere.
La Regione che, nella prima parte del mezzo secolo di punzonatura e collaudo del nuovo istituto legislativo territoriale aveva veramente (e, soprattutto, nel settore dell'anticipazione della riforma sanitaria) precorso le intuizioni e le testimonianze modernizzatrici, era caduta nella polvere facendo strame di quelle ansie di rinnovamento, approdate fino seconda metà degli anni 90 ad un elevato livello legislativo e pratico veramente di avanguardia.
Le vicende politiche e gli equilibri di forze favorevoli all'egemonia di destra del quarto di secolo successivo avrebbero, come abbiamo ripetutamente stigmatizzato, avrebbe imboccato un tornante esattamente opposto, di impronta controriformista, di assoluta volontà di smantellare il sistema sanitario dei diritti, a beneficio della sanità dei profitti. Più che dei capitali; considerando che l'apporto dei gruppi privati sarebbe stato (e continua ad essere) la conseguenza del collateralismo con la politica e delle politiche della libera opzione tra offerta pubblica ed offerta privata.
Ma su ciò non aggiungiamo altro, ritenendo di aver in proposito detto molto.
Qui azzardiamo che la congiuntura delle vicende pandemiche è giunta ad un cambio di fase. Il ciclo acuto del fenomeno sembra (grazie soprattutto all'arma segreta vaccinale ed alla flessione dei marcatori devastanti del fenomeno) indirizzato a quella fase in cui qualsiasi protagonista della vita istituzionale dovrebbe fare il punto della situazione. Un punto impegnativo delle consapevolezze dei limiti strutturali e degli errori del passato, in vista di una decisa linea correttiva per l'immediato futuro.
Ma, su questo punto, già si intravvede l'impronta della dezinformatsiya , del Servizio P, dell'oligarchia del Pirellone che anziché fare autocritica ed attivare una riflessione ampia a partecipata in vista di un profondo cambio di fase e di passo, indirizzato al recupero dell'impronta riformista del modello sanitario regionale, adotta (fraudolentemente) il linguaggio riformista. “Sarà la medicina di prossimità il nuovo pilastro”, titolava alcuni giorni fa il quotidiano locale (in questo ultimo anno molto impegnato ad accreditare le “performances” del governo regionale) rispetto ai propositi di un rilancio.
D'altro lato, se i cremonesi si sono bevuti la promessa di un ospedale nuovo zecca, perché non continuare sul terreno delle promesse demagogiche?
Ha pervicacemente asfaltato le preesistenze della virtuosa sanità pubblica di vera prossimità coi cittadini e col territorio. Hanno polarizzato la rete di assistenza medico-sanitaria nel modello ospedalocentrico. Hanno (incredibilmente) capovolto l'ordine dei fattori tra medicina preventiva (praticamente sparita) e medicina curativa, affidando i segmenti operativi che in passato rientrarono nella giurisdizione preventiva alla ASST. È capitato a chi scrive, un incredibile impatto in proposito. Oltre un anno per non approdare alla conclusione di un ciclo vaccinale ordinario (di cui la ASST non sa o non vuole dare conto). E più recentemente la disarmante constatazione della perdurante filiera propagandistica che fa premio sulla realtà prestazionale. Ricordate il piglio aperturistico del “cambiate medico per i lunghi periodo trascorsi in altre Regioni, così potrete vaccinarvi d'estate”?
Balle. Balle stratosferiche! Più per tigna che per intima convinzione. O forse per residuale speranza di vedere contraddetto un impulso sfiduciato. Per farla breve, tre ore di inutile, devastante attesa in una sala d'aspetto in vista della conclusione della pratica di cambio temporaneo del medico di base presso un ASL trentina. Chi scrive sarebbe ancora in quell'astanteria se non avesse preteso un chiarimento con la responsabile del servizio. Ebbene dopo tre ore di attesa, si è pervenuti alla constatazione del “pacco” della facoltà reclamizzata, ad usum delphini. La realtà è ben diversa. Il trasferimento del diritto alle prestazioni di base ad ASL fuori Regione, nient'altro è che la revoca del proprio medico di base. Al rientro non è garantita la continuità.
Avremo modo di tornare ad approfondire aspetti particolare della malasanità del nostro territorio. Per il momento avvertiamo il dovere civico di spronare l'opinione pubblica, gli utenti, i rappresentanti delle istituzioni locali, le rappresentanze del lavoro e degli utenti a contrastare ab origine questo supposto nuovo corso affidato alla prossimità.
In realtà, i padroni del vapore vogliono, come giustamente denuncia il consigliere regionale Piloni, mantenere un modello fallimentare.