Il prossimo 20 e 21 settembre gli elettori saranno chiamati a esprimersi sull'entrata in vigore della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. Se la riforma verrà confermata, la Camera sarà composta da 400 deputati (rispetto agli attuali 630) e il Senato da 200 senatori elettivi (rispetto ai 315 di oggi).
Chiariamolo sin da subito: il taglio del numero dei parlamentari non è di per sé un qualcosa di negativo. Tuttavia fatto in questo modo e in misura così eccessiva, slegato, per di più, da un più ampio piano di riforme di riassetto istituzionale, può comportare una serie di rilevanti problemi all'organizzazione e al funzionamento complessivo della macchina democratica.
La riduzione del numero avrebbe dovuto essere la diretta conseguenza della riforma del Senato. Purtroppo non vi è traccia di alcun cambiamento: la riforma, infatti, mantiene il sistema bicamerale perfetto e lascia irrisolti tutti i problemi che derivano dall'avere due camere fotocopia: un iter legislativo lungo e farraginoso, che ha dato prova di scarsa “produttività” e altresì molteplici esempi di leggi approvate in un ramo del parlamento e poi completamente dimenticate nell'altro. Cosicché, l'unico modo che si è trovato per rendere più efficiente il processo è quello che, di fatto, impedisce la piena funzione legislativa del singolo parlamentare, ovvero l'abuso da parte del potere esecutivo, della decretazione d'urgenza e del ricorso al voto di fiducia.
Un cul de sac che rischia di restringersi ancor di più nella misura in cui il minor numero di parlamentari renderà molto difficile il lavoro nel luogo più importante dei processi decisionali, ossia le commissioni parlamentari, soprattutto al Senato, dove sarà necessario ridurre, delle commissioni, numero e componenti, con ulteriori effetti negativi sul rendimento.
Tale riforma, incardinata su una legge elettorale, presumibilmente proporzionale, che prevede ampi collegi a liste bloccate, immancabilmente diminuirà gli spazi di rappresentanza a livello territoriale e politico, riducendo il rapporto tra elettori e eletti e concentrando il potere nelle mani di pochi capi partito sempre più intoccabili.
In nome di pochi soldi risparmiati, di un'irrisoria diminuzione dei costi della spesa pubblica, si restringono gli spazi già esigui della vita democratica del paese e si fa, nel contempo, un grosso regalo ai partiti e alla partitocrazia. Una vera e propria “contro riforma” rispetto alla domanda di più democrazia, più trasparenza e più partecipazione da parte della società civile.
Meglio sarebbe stato, secondo quella che è la nostra visione politica, ridurre il numero dei parlamentari a 600 e farli insediare in una unica camera, superando il bicameralismo mediante l'abolizione o, tutt'al più la trasformazione del Senato in camera di rappresentanza delle Regioni e delle Autonomie Locali, insieme a una legge elettorale di tipo maggioritario, all'americana, uninominale con collegi piccoli, per favorire il rapporto e la vicinanza tra elettori e eletti. In questo modo sì il taglio del numero dei parlamentari avrebbe potuto generare un meccanismo virtuoso e non le ripercussioni negative alle quali si rischia di assistere oggi. Ma, evidentemente, mancando di respiro organico e senza alcuna chiara prospettiva di percorso, tale riforma si dichiara per quello che è: un'operazione demagogica che erode il già scricchiolante edificio democratico nostrano, a favore del potere sempre più “oscuro” e intoccabile dei partiti.
Per tutti questi motivi venerdì 4 settembre dalle ore 18.30 alle ore 20.00 in Piazza Roma (davanti alla Caffetteria Chocolate) e sabato 5 settembre dalle ore 11.00 alle 13.00 (Galleria XXV aprile, angolo Via Gramsci), saremo con i nostri banchetti in mezzo ai cittadini con la convinzione e la speranza di rompere, con il nostro NO, il muro del populismo.