Il titolo, forse un po' criptico per i poco avvezzi alle triangolazioni tra “precedenti” e contesti attuali, racchiude e sintetizza la filiera cronologica della gestione pubblica di un bene comunitario per eccellenza. Su cui, si dovrebbe (cosa che facciamo nelle premesse e con molta severità) evitare la tentazione a farne oggetto di uno dei tanti starnazzamenti (favoriti non si sa se più da irresponsabilità civica o conoscenza attenuata). di cui si pasce la quotidianità politico-istituzionale.
E veniamo così alla presentazione del dossier che, per immediatezza semantica, definiremmo “case dell'acqua”. Un modulo di servizio, diciamo, di ultima generazione delle progenitrici “vedove”.
Gli è che l'Azienda erogatrice, a sua volta erede del Consorzio Provinciale per gli Acquedotti, da qualche anno le sta realizzando, un po' come i funghi, su quasi tutto il territorio di competenza. Fin qui, a quanto è dato a sapere, in regime di economia “sovietica”. Nel senso che, essendo l'acqua pubblica (anche dal punto di vista della fruizione) ed essendo (per alcuni versi, giustamente) preferibile il consumo nature rispetto alla concorrente offerta consumistica, ça va sans dire, il modulo gestionale appare improntato dal criterio della libera e gratuita elargizione.
Come si faceva con le “vedove” antesignane, si fa con i semplici apparati della “case dell'acqua”. Dotate, sempre gratis et amore dei, di un'offerta optional, che rende il prodotto (soi disant) equivalente alle caratteristiche della concorrenza “termale”. Come qualità e garanzie igieniche ed organolettiche. Che integrano il vantaggio diretto della gratuità e il vantaggio indotto di evitare l'imbottigliamento, il packaging ed il relativo smaltimento.
Non abbiamo difficoltà ad ammettere, ove tali requisiti fossero effettivamente testati, che il modello presenterebbe indubbi, fecondi vantaggi; a cominciare da una certa coerenza ambientalistica ed anticonsumistica.
Ma evidentemente questa virtuosa filiera (oggetto di una campagna “promozionale” lontana dagli standards della sobrietà, se si considerano annunci quasi quotidiani, promozioni pubblicitarie, inaugurazioni…ecc) non deve essere stata sottoposta a verifiche gestionali e finanziarie, rigorose e condivise.
È, infatti, di questi giorni una baruffa tra vertice aziendale e interlocutori comunali (che, a voler essere espliciti, sono i “partecipanti” dell'azienda consortile) in materia di imputazione degli oneri di sostentamento del servizio. Si sono levati alti lai, a mezzo plurimodalità. Insomma tuonò; ma allo stato attuale della progressione dialettica tra, appunto, Padania Acque e Comuni, c'è stata una dissolvenza. Il punto di partenza era: chi paga il conto della costruzione e della gestione delle “case”?
A quanto è sembrato, almeno all'inizio, si sarebbe detto l'indiscriminato “pantalone” dei soci partecipanti, a prescindere dall'ubicazione delle “vedove” sempre più sofisticate, di ultima generazione) ed, in definitiva, nell'ottica di un servizio on demand, ma a titolo gratuito.
Poi, è subentrato un silenzio stampa; che non fa presagire né imbarazzata, tardiva consapevolezza del busillis né feconda pausa di riflessione.
Insomma, lo sbocco di una querelle, tutt'altro che destituita di fondamento, è in grembo a Giove. Ciò che si può dire è che la filosofia dell'acquam et circenses è ben lungi da una condivisione generalizzata.
Avendo già assolto il pedaggio delle preliminari dichiarazioni, in assenza delle quali si è iscritti sulla colonna infame dei rigoristi e degli insensibili ai beni comunitari primari, desidereremmo fare una riflessione terra terra.
Questo bene, come abbiamo detto e ripetuto, primario giunge, diversamente da un passato neanche tanto lontano, direttamente nelle case; è comodamente accessibile, tutelato igienicamente, a tariffe eque. Tutto giusto! Se vuoi l'acqua in modo da non caricarti come un asino al market; non vuoi smaltire la bottiglia; in soprappiù la vuoi frizzante, hai una serie di opzioni alternative e conseguenti. Ti rivolgi alle residue “vedove”, ti munisci di un adeguato impianto individuale di desalinizzazione, o minimalmente citofoni al cavalier Gazzoni che è ben contento di venderti le bustine di Idrolitina.
Gli stracci sono volati nei ballatoi su malfermi presupposti: Padania prima o poi dovrà rientrare. Imputando la spesa a chi? Indifferenziatamente sarebbe una cosa da reazione da forconi! Ma, quel "per ora paga Padania" suona ancor più sinistro. Perché è un paga Pantalone differito. Alias gli utenti. Infatti, Padania prima o poi dovrà rientrare. Imputando, se è lecito chiedere, la spesa a chi?
Tutto tranne che il sia pur modesto controvalore del servizio on demand sia spalmato indiscriminatamente sui 113 Comuni (la maggior parte dei quali non è dotato di “case” e, quel che è più inaccettabile, su tutti gli utenti, a prescindere dalla fruizione.
Ma mancheremmo ad un dovere di chiarezza verso i lettori e ci priveremmo, diciamolo francamente, dell'occasione per svuotarci il gozzo, trattenuto per troppo tempo, se non argomentassimo ulteriormente.
È giunto, infatti, il tempo di dire qualcosa di dritto e secco sulla deriva della testimonianza di Padania Acque. Di cui, tra le tante altre cose, non si comprende l'irrefrenabile metamorfosi da originario consorzio di scopo, nato a metà anni 50 a seguito delle sollecitazioni del Consiglio Provinciale, in kombinat evocante la filosofia, gli splendori, si fa per dire, e le gesta dell'economia sovietica. Si potrebbe azzardare, un kombinat, appunto, di apparati mastodontici, prevalentemente addetti alla comunicazione ed alla voluttuarietà. Negli anni 60 il Consorzio, che avrebbe dotato tutto il territorio di adeguata rete, aveva come unico management politico una presidenza (coincidente con il presidente della Provincia o suo delegato), un ristretto Consiglio, un segretario (per alcuni anni il segretario particolare del presidente della Provincia). Nessuno di loro era prebendato. Negli scenari correnti è nata una vasta nomenklatura. Seguita allo sdoppiamento del Consorzio in una società patrimoniale ed una società gestionale. Due presidenti, due amministratori delegati, due direttori, organici adeguati (tra cui la”comunicazione”)…ecc… ecc…
Fare l'amministratore di Padania è un buon e ben remunerato mestiere. Per di più, siccome da cosa nasce cosa, diventa necessario un servizio dedicato, più che alla comunicazione, all'autoreferenzialità mediatica e un panel di riti tipicamente partitici; che costano e che, alla fine dei conti, pesano sulle tariffe. Stupisce (non più di tanto) che tutta l'attuale partitocrazia sia partecipe di un aggregato deviato. Ma anche questo non stupisce, considerato che, al netto di qualche intemperanza (dovuta quasi sempre a Sindaci fuori dal coro), il modulo è trasversale.
LE PREMESSE
Del fervore riformatore e modernizzatore, attraverso cui sviluppare e riequilibrare socialmente il territorio, si comincia ad avere percezione già a partire dei prodromi del 25° Congresso Nazionale Socialista adunato in Roma nei giorni 9-13 gennaio 1947. Anticipato in sede locale dall'Assemblea Provinciale, articolata in tre mozioni dalla forte impronta “dialettica”. Talmente dialettica che, come è noto, le sorti congressuali sarebbero deragliate, appunto nella scissione di Palazzo Barberini. Ma al di là di questa insopprimibile tendenza socialista di far approdare, di tanto in tanto, il loro pensiero critico, ai traguardi delle rotture masochistiche, era già molto ben presente nella discussione preparatoria un'ampia ed universale testimonianza a favore delle linee, che sarebbero state organicamente definite nel “Piano del Lavoro”. Linee che partivano dalla perfetta aderenza della situazione socioeconomica territoriale. Uscita da poco dalla tremenda prova bellica, che aveva aggiunto al pregresso stato di arretratezza ed iniquità le conseguenze della distruzione. Ovviamente, al di là del gioco politico delle parti, c'era sul punto una forte coesione d'intenti, soprattutto, nel campo dell'aggregato CLN. Noi abbiamo sondato il deposito documentale del movimento socialista locale, in cui tale indirizzo risultava manifestamente determinato. Dalle pagine de L'Eco del Popolo si evince la seguente declaratoria:
Tutti questi sviluppi di comunicazione creeranno un aumento demografico di tutta la zona, quindi la necessità di costruire case, scuole, acquedotti, fognature, lavoro e benessere per tutte le categorie, operai, artigiani commercianti e piccoli industriali. La nuova opera viene costruita con criteri tecnici moderni e con un'estetica del tutto nuova, ed io credo che sia la prima costruzione di tale tipo in Italia, quindi avremo un'opera meravigliosa in tutti i suoi aspetti.
Su tale indirizzo, condiviso da tutto il gruppo consiliare socialista, si era particolarmente speso il consigliere casalasco Augusto Bernardi. Il piano di resilienza postbellica, particolarmente indirizzato ad invertire le condizioni di degrado e di assoluta inadeguatezza rispetto a sia pur minimali standards, in materia di tutela della salute e di condizioni igieniche, avrebbe orientato un vasto fronte politico e sindacale di impronta progressista. In particolare relativamente a alle condizioni di vita dal punto di vista abitativo e dei più elementari servizi. A cominciare dall'igiene delle acque. Fin lì emunte (e scaricate), a parte il Capoluogo ed i maggiori Comuni di rango comprensoriale, da pozzi sparsi in tutto il territorio e privi dei minimali requisiti di continuità del prelevamento, di diretto collegamento alle abitazioni, di controllo chimico-batteriologico. Tale primaria sollecitudine sarebbe diventata ancor più manifesta e costante a partire dalla metà degli anni 50. Nell'edizione dell'EdP 2/54 c'è qualcosa di più di una semplice traccia. Là dove si informa che
si sta lavorando per il Consorzio Provinciale per la costruzione in ogni comune di impianti di acquedotti, se si dovrà come si deve arrivare alla costituzione di un Consorzio per dare ad ogni comune l'impianto di fognature e di spurgo delle acque e dei detriti”. I tempi, qui tempi connotavano modalità di confronto politico ed istituzionali non esattamente consoni alle educande. Ma, diversamente da adesso i muniti di mandato popolare anteponevano il superiore interesse comunitario alle aspettative di consenso.
Al punto che la testata socialista avrebbe concluso l'esternazione con un bel
…dopo la stentata e vuota replica della Giunta, il Consiglio all'unanimità è stato chiamato ad approvare due ordini del giorno presentati per il gruppo socialista, dai compagni On. Ricca, Ghisolfi, Zaffanella. (…).
L'approdo a tale conclusione fortemente innovativa e egualitaria, dimostratrice, ribadiamo, di una lucida visione attorno alla priorità di dotare un territorio, che già allora prospettava la tendenza ad essere emarginato dalle grandi innovazioni in corso, di un strumento capace di pianificare la modernizzazione, lo sviluppo, il riequilibrio territoriale e sociale, costituì il proverbiale primo passo di un lungo percorso di modernizzazione e di socialità. Destinato ad essere ancor più sollecitato e favorito dall'incontro tra le culture riformiste socialiste e cattoliche. Ed accelerato dalle premesse e dalle prime prove della Giunta Ghisalberti (DC, PSI, PSDI). Di cui la costituzione del Consorzio per gli Acquedotti della Provincia di Cremona rappresentò, senza ombra di dubbio, un traguardo fortemente anticipatore di una stagione ispirata dalla giustizia sociale e dall'innovazione delle comunità territoriali. Al punto che il primo presidente consortile sarebbe stato l'avvocato Ghisalberti. Cui in breve tratto sarebbe succeduto il socialista Zaffanella.