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A dieci anni dalla scomparsa Giacomo Carnesella nel ricordo dei socialisti cremonesi

Un crepuscolo esistenziale segnato dalla rarefazione dei rapporti, che non fossero quelli telefonici con i compagni più vicini, rende temporalmente ancor più remoto il senso del distacco. Da una consuetudine di militanza comune e di impegno pubblico, ma, soprattutto, di rapporto amicale

  02/11/2015

A cura della Redazione

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Sono trascorsi già dieci anni dalla scomparsa di Giacomo Carnesella, chiamato universalmente Mimino.

Nato a Soncino nel 1932, una classe anagrafica che lo accomunava ad altri esponenti socialisti (Fiorino Bellisario, Bigio Bonezzi e, sia pure per arrotondamento, a Felice Majori), il futuro senatore si era iscritto al PSI nel periodo degli studi universitari a Milano; in cui aveva incrociato Bettino Craxi, nella giovanile socialista e nell'UGI.

Ma, il primo contatto importante fu quello con il socialismo soncinese, animato, tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio dei sessanta, dalle significative personalità di Peppo Grossi e del m° Franco Occhio.

Approda alle prime responsabilità nel 1962 a Reggio Emilia con il congresso nazionale della Federazione Giovanile Socialista, nel cui Comitato Centrale viene eletto.

Si fa le ossa nella zona cremasca, prima, come sindacalista della CGIL e, poi, come responsabile del PSI. Chiuse queste due esperienze, per qualche anno, insegna come supplente presso la scuola media e, parallelamente, viene eletto Vicesindaco del borgo.

Nel 1968 approda all'apparato organizzativo della Federazione Provinciale, assumendo l'incarico di vice di Emilio Zanoni, allora segretario provinciale.

Alla sua elezione a Sindaco del Capoluogo, ne rileva il testimone e resterà segretario fino all'elezione al Senato nel 1976. Nel frattempo, però, aveva svolto rilevanti ruoli amministrativi, come presidente del Consorzio provinciale dei Comuni per l'acqua potabile e come consigliere dell'ospedale.

Due importanti segmenti dell'azione amministrativa locale di quell'epoca. Il primo fondato dallo storico presidente Giuseppe Ghisalberti, avrebbe, nel volgere di pochi anni, civilizzato l'approvvigionamento idrico per tutto il territorio provinciale, sin lì tributario della poco evoluta ed igienicamente poco sicura rete dai pozzi. Il secondo, da poco trasferito ed edificato alla prima periferia sull'asse della via Giuseppina, muoveva i primi passi verso l'eccellenza.

Questo invidiabile curriculum lo porta, con le elezioni legislative del 20 giugno 1976, inizio della 7° Legislatura, a Palazzo Madama, al Senato della Repubblica.

Lì opererà dal 27 luglio 1976 al 19 giugno 1979come Segretario della 1ª Commissione permanente Affari Costituzionali e dal 5 agosto 1976 al 19 giugno 1979 come membro della Commissione permanente per le questioni regionali.

Contestualmente alla funzione legislativa continua ad essere attivo nella vita del PSI, come membro del Comitato Centrale e della Direzione Regionale, in rappresentanza della componente interna guidata da Francesco De Martino.

La cui leadership avrà termine con la sessione del Comitato Centrale del Midas nel luglio 1976.  Il senatore  cremonese rimarrà fedele al vecchio segretario e capofila della componente interna di “Socialismo e democrazia”, collocandosi all'opposizione interna del nuovo corso craxiano. Una scelta che gli costerà il seggio parlamentare.

Rientrato nei ranghi provinciali dell'attività politica ed istituzionale, nel 1981 assume il coordinamento territoriale del movimento cooperativo e, di lì a poco, riprende l'impegno nel settore della politica sanitaria, come Presidente dell'Unità Socio-sanitaria locale 51 e del Presidio Ospedaliero di Cremona. Nel 1987 assume nuovamente, per un breve periodo transitorio, la segreteria della Federazione socialista.

La conclusione della parabola politico-organizzativa lo vede coerente con la linea di rinnovamento e di unità della sinistra italiana e, parallelamente alla scelta del vecchio segretario De Martino senatore a vita, che aderisce al gruppo dei Democratici di Sinistra, entra a Cremona nel PDS.

La malattia, lenta ma inesorabile, lo costringe ad una vita ritirata, da cui evade telefonicamente, mantenendo il rapporto con i compagni e gli amici che, a prescindere dalle collocazioni interne al PSI, gli furono umanamente sempre vicini.

Di lui resta il ricordo di un profilo umano improntato da senso dell'amicizia e della solidarietà ed un profilo politico, che, estrapolando le occasionali caratterizzazioni dialettiche, ha sempre puntato verso un futuro di giustizia sociale e di rafforzamento della democrazia.

E.V.

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