Intervento introduttivo della Prof.ssa Maria Luisa Betri
L'odierna immersione in un “presentismo” quasi esasperato induce a riflettere sul corto circuito avvenuto nella trasmissione della memoria, per effetto sia del suo indebolirsi nell'ambito delle reti famigliari, che ne sono state a lungo tradizionali custodi, sia di una “perversa diseducazione civica dall'alto”, dovuta alla indifferente miopia e non di rado alla colpevole ignoranza delle classi dirigenti, e in modo particolare della politica. È innegabile che i “vuoti di memoria” di cui il Paese soffre sempre più di frequente siano una conseguenza della cancellazione della storia come elemento strutturante dell'esperienza e della mentalità, evidente in particolare nelle generazioni più giovani, ma non soltanto. Nella ricorrenza del centenario dell'assassinio, nel giugno 1924, di Giacomo Matteotti, l'Istituto lombardo di storia contemporanea si è proposto di narrarne la vicenda in una rappresentazione teatrale, ritenendo che questa forma di comunicazione immediata possa essere efficace e utile non solo a finalità didattiche, ma anche a quelle di una divulgazione più ampia. L'obiettivo che ci si è proposti è stato di “narrare la memoria”, salvaguardandola dal rischio, incombente nell'attuale, ipertrofico quadro della comunicazione, di essere sopraffatta da una ricostruzione frammentata e superficiale, tale da restituire di quei fatti una visione parziale. Si è verificato infatti che quando si cita Matteotti, in generale, lo si ricollega unicamente all'episodio drammatico del suo rapimento e della sua uccisione il 10 giugno 1924, ignorando la complessità e l'importanza della sua statura politica. Come espediente scenico di questa narrazione si sono scelti quattro studenti di una scuola di teatro che, nella rappresentazione, esordiscono fingendo di trovare una valigia piena di documenti di Matteotti, dai quali si avvia il racconto della sua vicenda umana e politica. Nato nel 1885 in una agiata famiglia di possidenti in una terra in cui il tasso di analfabetismo era ancora elevato e i contadini, come documentò l' Inchiesta agraria Jacini, abitavano in “tane e topaie”, aderì al socialismo nella prima giovinezza. Nel suo operare di amministratore radicato nel territorio polesano, fu partecipe, umanamente e politicamente, delle sorti di un proletariato costretto a vivere in condizioni miserabili: “Parlò lingua di popolo e fu compreso”, si legge su una lapide apposta in un borgo del Polesine. Eletto deputato, nelle file del Partito socialista, per il collegio di Rovigo e Ferrara, nel novembre 1919, durante il biennio rosso si impegnò a dirigere le lotte bracciantili e contadine per il rinnovo dei patti agrari e a fronteggiare, dall'inizio del 1921, il nascente squadrismo fascista, particolarmente rozzo e brutale in quella provincia, dal quale fu più volte aggredito. Pacifista e antimilitarista, contrario alla guerra di Libia e all'ingresso dell'Italia nel primo conflitto mondiale, scontò tre anni di confino in Sicilia, dalla quale intrecciò un fitto scambio epistolare con la fidanzata, e poi moglie, Velia, documentazione più intima che rivela le affinità e anche le contraddizioni di un legame intensamente vissuto.
Dotato di una solida preparazione giuridica ed economica, Matteotti, soprannominato dai suoi compagni “Tempesta” per il suo comportamento battagliero e per le sue prese di posizione da “riformista rivoluzionario”, fu uomo concreto e pragmatico, fermamente convinto, fra l'altro, che l'istruzione sarebbe stata non soltanto una leva di miglioramento dei ceti più poveri, ma anche una garanzia di libertà, e per questo si battè per la promozione e la crescita del sistema scolastico di base.
Era alto, snello, svelto, era sbrigativo… si interessava di tutto...
aveva detto di lui il suo autista di Fratta. Matteotti, che apparteneva alla corrente riformista, aveva abbandonato il Partito socialista nell'ottobre 1922 formando il Partito socialista unitario, divenendone segretario. Il 30 maggio 1924 aveva pronunciato alla Camera un forte discorso, continuamente interrotto dalle urla provenienti dai banchi degli avversari, e definito da Mussolini “mostruosamente provocatorio”, in cui contestò la validità degli oltre quattro milioni di voti ottenuti dalla lista di maggioranza governativa nella tornata elettorale del 6 aprile 1924, svoltasi irregolarmente per le continue aggressioni squadriste contro i candidati dell'opposizione. Con quella dura denuncia Matteotti firmò la sua condanna, tanto che, appena ebbe finito di parlare, si rivolse ai colleghi, ben consapevole di quelle che avrebbero potuto essere le conseguenze, con queste parole: “Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Di lì a pochi giorni, inoltre, si sarebbe discusso alla Camera il disegno di legge che autorizzava il governo all'esercizio provvisorio del bilancio e il nome di Matteotti figurava nella lista dei deputati iscritti a parlare, il quale aveva verificato la falsificazione delle cifre del bilancio ufficiale, mostrato poco prima in pareggio al Parlamento e al re, che in realtà presentava un disavanzo di due miliardi.
Nel pomeriggio del 10 giugno 1924, mentre a Roma stava percorrendo il Lungotevere Arnaldo da Brescia, portando con sé una borsa contenente un voluminoso dossier, diretto alla biblioteca della Camera, dove era solito documentarsi per la redazione del testo dei suoi interventi, fu affiancato da un'automobile, dalla quale scese un gruppetto di fascisti, capeggiati da Amerigo Dùmini e da Albino Volpi, che lo aggredirono facendolo salire a forza nella vettura, in cui lo uccisero con un fendente acuminato al torace. “Qualche pugno al torace” – sostenne con irrisione Roberto Farinacci, difendendo due anni dopo Amerigo Dùmini nel processo alla Corte d'Assise di Chieti – “che produsse l'emottisi e fatalmente la morte…perché quel pugno trovò in Matteotti l'uomo mingherlino… l'uomo già gravemente malato… l'uomo già riformato alle armi”. La sua scomparsa suscitò un'ondata di indignazione nell'opinione pubblica e il fascismo parve perdere una parte dei consensi che aveva guadagnato negli anni precedenti. Ma la linea politica dell'Aventino adottata dalle opposizioni, come si sa, valida sul piano morale, mancò di concretezza, puntando su una campagna di stampa imperniata sulla questione morale e confidando in un intervento del re, che nel timore di un “salto nel buio”, anziché imporre a Mussolini le dimissioni, gli riconfermò la fiducia. Non solo, ma ancor prima del ritrovamento del corpo cominciarono a circolare strofe e stornelli beffardi, che esaltavano il gesto pugnalatore degli esecutori del delitto e deridevano in modo osceno la figura politica e umana di Matteotti.
Una altrettanto vasta ondata di commozione fu suscitata dal ritrovamento delle sue spoglie seppellite sotto un sottile strato di terra in una boscaglia in una località detta della Quartarella poco distante da Roma, spoglie che furono poi trasportate via ferrovia al suo paese natale, accompagnate lungo il percorso da due folte ali di folla, così come una marea di popolo partecipò al suo funerale a Fratta Polesine.
La crisi gravissima nel governo fascista fu superata solo grazie all'abilità di Mussolini, alle divisioni dell'opposizione e alla corrività del re, che non volle «dimissionare» il presidente del Consiglio. Sul movente del delitto la ricerca storica si sta confrontando da decenni. Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che si sia trattato di una «lezione» finita tragicamente; vi è poi una versione che in realtà è un corollario della precedente ipotesi, cioè che il crimine trovi una spiegazione nella volontà di vendetta di Mussolini per il discorso di Matteotti del 30 maggio. Vi è infine una più recente ipotesi che spiega il crimine con la necessità di Mussolini di «tappare la bocca» a Matteotti perché convinto che il deputato socialista avrebbe rivelato gravi casi di corruzione di cui si sarebbero resi responsabili Mussolini stesso e alcuni gerarchi del partito. In particolare Mussolini avrebbe concesso il monopolio dello sfruttamento del sottosuolo italiano alla compagnia petrolifera Sinclair Oil in cambio di alcune tangenti necessarie per finanziare il suo giornale e il partito fascista. Documenti pubblicati di recente provano che il governo si aspettava un attacco proprio sulla «convenzione Sinclair». I sicari di Mussolini sarebbero quindi entrati in azione per impedirlo. Insomma, nel discorso del 3 gennaio 1925 Mussolini ebbe l'arroganza di rivendicare impunemente la “responsabilità politica, morale e storica” della situazione politica, ovvero quella del fascismo montante, in cui l'assassinio era stato commesso. Il tragico epilogo della vita di Giacomo Matteotti è stato molto presente nella sedimentazione della memoria popolare cantata: molte delle cosiddette Cante di Matteotti, che si diffusero subito dopo sull'aria di inni socialisti o sulla melodia di canzonette, si sono tramandate fino a noi. La strofa di una di esse, una delle più note, è stata scelta come finale della rappresentazione teatrale, e recita:
Povero Matteotti/te l'hanno fatta brutta/ e la tua vita/ te l'han tutta distrutta/. E mentre che moriva/ con tutto il suo eroismo/ gridava forte forte/ evviva il socialismo/ E mentre che moriva/ morendo lui diceva/ voi uccidete l'uomo/ ma non la sua idea.
Filippo Turati, la cui convinzione che il fascismo – diversamente da quanto pensava la Kuliscioff- avesse i giorni contati, di fronte all'enormità dell'assassinio di Matteotti, si rivelò purtroppo illusoria, designato dal Comitato delle opposizioni a tenerne la commemorazione, alla fine di giugno, di lui disse:
Egli vive, egli è qui presente, e pugnante, egli è un accusatore; egli è un giudicatore; egli è un vindice.
E ancora, in un suo foglio manoscritto che è stato ritrovato, aveva scritto:
Morto, è più vivo. E non potranno assassinarlo più.
Di fatto la figura di questo deputato socialista, nel quale un grande ideale di giustizia e un severo rigore etico sostanziarono un intenso impegno politico, che si manifestò in una irriducibile e coraggiosa opposizione alle sopraffazioni e violenze del fascismo, trasmette ancora oggi il senso di una grande e indimenticabile lezione morale, politica e civile.
Maria Luisa Betri
Maria Luisa Betri ha insegnato Storia del Risorgimento, Storia contemporanea e Storia delle donne e dell'identità di genere all'Università degli Studi di Milano. Ha studiato aspetti e problemi di storia della società italiana fra Ottocento e Novecento, e, più recentemente, modalità delle forme primarie di scrittura (lettere, epistolari, carteggi, memorie), in particolare femminili. Fra le sue pubblicazioni, ha curato il volume Rileggere l'Ottocento. Risorgimento e nazione (2010) ed è autrice di Donne dell'Ottocento. Amori, politica e utopia (2015). Attualmente, il suo interesse di ricerca verte sul tema della formazione di un sentimento nazional-indipendentistico nell'esercito cisalpino-italico e sul processo di costruzione della nazione. È membro del comitato scientifico di istituti di ricerca storica, di alcuni periodici e collane editoriali.
Come annunciato dalla nostra rubrica Eco-Bacheca, martedì 12 novembre 2024, si è svolta presso la Sala della Biblioteca Statale l'annunciata conferenza che ha avuto come tema centrale la Presentazione del Quaderno n. 1 della rivista “Pretext”, Bookcity Cremona, Biblioteca Statale, dedicato ad una accurata rivisitazione, oseremmo dire, a tutto tondo della complessa figura, fin qui circoscritta alla vulgata semplificata del martire antifascista, di Giacomo Matteotti.
L'evento è stato presentato dalla Direttrice della Biblioteca Statale, dott.ssa Raffaella Barbierato. L'evento è stato partecipato da un parterre, inaspettatamente folto, ma anche competente.
Di nostro (come testata) vorremmo aggiungere un sentito compiacimento sia per questa specifica conviviale, che ha restituito, ribadiamo, un profilo giustamente vasto sia dell'accadimento di cento anni fa nella sua contestualizzazione sia della figura di Matteotti. Che non fu, ripetiamo, solo il più (per Mussolini) temibile oppositore del fascismo (ai suoi albori) ma anche una figura “strutturata” del socialismo liberale e riformista. Nonché una moderna personalità di operatore istituzionale. In tutta la scala dell'ordinamento istituzionale di allora: da consigliere a Sindaco di Comune; da Consigliere a Presidente della Provincia; parlamentare istituzionale.
Se ci è consentito un giudizio sul rating di svolgimento delle celebrazioni del Centenario, oseremmo una tripla A. Come intensità storico-idealistica e come volume di iniziative più che celebrative di approfondimento storico.
La più parte delle quali ha avuto luogo sotto l'impulso “dal basso” (che per noi, inguaribilmente ancorati alla partecipazione popolare, sarebbe “dall'alto”). Dell'associazionismo, di singoli ricercatori-divulgatori, della Biblioteca e dell'Archivio, dei Comuni.
Tra questi l'invereconda performance del Sindaco di Quintano (dalla nostra testata intensamente focalizzata) ce n'est que un pilonné (per di più con l'evidente piede destro).