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Nel 77° anniversario dell’eccidio di Rio Farnese

Di Ennio Serventi (direttivo prov. ANPI Cremona)

  06/01/2022

Di Redazione

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Sono passati settantasette anni. Il 12 gennaio del 1945 a Bramaiano di Bettola (Pc) venivano uccisi, con un colpo di pistola alla nuca sparatogli da un sott'ufficiale tedesco, venti (il numero oscilla fra i venti ed i ventitré) partigiani catturati nel corso della seconda fase del rastrellamento invernale. Fra questi i partigiani cremonesi: Canevari Giovanni della div. “Val Nure”, originario di Trigolo; Gastaldi Lorenzo e Gilberti Carlo della 142a brigata Garibaldi entrambi di Cremona; Spagnoli Gino della div. Val Nure brigata “Stella Rossa” nato a Gombito. 

Nati fra il 1923 ed il 1925 “appartenevano tutti a quella generazione nata e cresciuta sotto il fascismo che aveva saputo sottrarsi alla sua influenza”. 

Del partigiano Giovanni Canevari, già appartenente al “gruppo Salami”, sono poche le notizie che abbiamo, sarebbe necessario riprendere a cercare. 

Gino Spagnoli fu inviato in Germania nell'aprile del 1944, aggregato al primo artiglieria alpina partecipò ad un corso di addestramento, rientrò in Italia il 27 luglio del 1944, disertò abbandonando il reparto. Il 14-9-1944 lo ritroviamo fra i partigiani della Brigata Garibaldi “Stella Rossa”, che opera in alta val Nure tra Farini d'Olmo e Ferriere, diventando commissario di un suo distaccamento, ruolo che a guerra finita gli valse la equiparazione al grado di sottotenente dell'esercito. Catturato a Farini d'Olmo, fatto marciare fino a Bettola, il 12-1-1945 ucciso alla forra di Bramaiano. 

Gastaldi e Gilberti erano giovani di Azione Cattolica, Una ampia ed articolata descrizione del loro percorso formativo la si trova nel saggio di Chiara Somenzi in “Una mattina mi son svegliato” pubblicato dall' ANPI di Cremona. 

A fine estate del 1944, all'arrivo della cartolina precetto, i due giovani rifiutarono l'arruolamento fascista e scelsero la Resistenza. Andarono per le colline piacentine aggregandosi al distaccamento partigiano “Paolo Selva” della 142a Brigata Garibaldi con base a Castellana. È questa una frazione di Gropparello (PC), appoggiata alla costa della collina tra la valle del Chero e quella del Vezzeno, attraversata dalla strada che porta a Rustigazzo o a Prato Barbieri e Bettola. 

Il 6 gennaio 1945 l'appennino ligure-emiliano è sommerso dalla neve caduta abbondante durante la notte. È ancora buio quando scatta la seconda fase del grande rastrellamento invernale dalle nostre parti ricordato come quello dei “mongoli” ed il Liguria dei “calmucchi”. Lorenzo Gastaldi, Carlo Gilberti ed i partigiani del distaccamento “Paolo Selva” della 142a brigata Garibaldi si trovano al presidio di Prato Barbieri strategico luogo dove, nel giro di qualche centinaio di metri e superato il passo Guselli, s'incrociano le strade che collegano fra loro le più meridionali delle valli piacentine. Ancora libere in mano partigiana sono quelle dell'Arda, del Chero, del Vezzeno, del Riglio, del Chiavenna. Investita dalla prima parte del rastrellamento la valle del torrente Nure, compreso il capoluogo di Bettola, è già occupata dai nazi-fascisti fin dallo scorso novembre. Parte dei partigiani della valle occupata si attestano al capo-saldo di Prato Barbieri.  

Prima dell'alba del 6 gennaio 1945, partiti da Bettola, due blindati risalgono la strada della montagna. Con i cingoli schiacciano la neve, aprono un più agevole passaggio alla fanteria che segue. Tedeschi, “mongoli” e truppe fasciste munite di idoneo equipaggiamento invernale irrompono a Prato Barbieri, vi sorprendono i partigiani della prima postazione. Quelli acquartierati al mulino, dove si pensa si trovino anche Gastaldi e Gilberti, tentano una resistenza ma ormai il sito è sotto il tiro dei blindati. Ai partigiani non rimane che tentare una sortita. Al comando di “Tom” saltano dalle finestre rivolte alla montagna e si avviano, “nella neve ormai alta un metro e venti”, faticosamente verso il passo santa Franca. È Gastaldi Ferdinando, padre di Lorenzo, a lasciarci in una nota autografa datata 10-4-1947 e custodita nell'archivio dell'ANPI, la descrizione cronologica di quei sei giorni di autentico Calvario che, alla forra sul Rio Farnese per molti di loro, un colpo di P38 alla nuca porrà termine.  

Di quegli eventi una narrazione popolare anticiperà la ricostruzione degli storici, ne occuperà lo spazio lasciato vuoto, si farà a sua volta storia. Anche la ricostruzione sopra citata fatta da Ferdinando Gastaldi, padre del caduto Renzo, redatta quando la narrazione popolare si era già radicata profondamente in tutte le valli può esserne stata marginalmente influenzata. Una meticolosa indagine, condotta in anni successivi da Andrea Cammarosano*, rende in parte dubbi alcuni dei presupposti che reggono il popolare racconto valligiano, aprono la via ad ulteriori ipotetiche ricostruzioni che tali rimangono**. “Il racconto popolare incorpora la pietà dei valligiani, ingloba fatti reali diversamente accaduti, ne costruisce una narrazione uniforme che costituisce ancora oggi, come nel nostro caso, la base narrativa rievocativa di quegli eventi ed è spesso citata in commemorazioni e descrizioni***”. 

(*) Camma: “Da Pertuso di Ferriere alle carceri di Piacienza”. Cronache di un racconto partigiano,monografia N.6. T.E.P. Piacenza 1981. 

(**) E.S.: “Dalla forra del rio Farnese a prato Barbieri. Viaggio a ritroso in una partigiana narrazione popolate”. Prefazione di Giancarlo Corada. Inedito  

(***) liberamente tratto da: “Atlante stragi nazifasciste”. Scheda compilata dalla storica Jara Meloni. 

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