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70° della Liberazione . Se quella è una messa

Ci riferiamo all’inderogabilità della cancellazione dal calendario della Città di una manifestazione che è tutto tranne che una celebrazione religiosa.

  31/03/2015 17:19:00

A cura della Redazione

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Presentando sia pure sommariamente l’agenda degli eventi per la ricorrenza del 70° della Liberazione, nulla può esimerci dal prospettarne un altro evento; ma per sottrazione. Ci riferiamo all’inderogabilità della cancellazione dal calendario della Città di una manifestazione che, per i modi con cui si è svolta abitualmente negli anni precedenti, è tutto tranne che una celebrazione religiosa. La “Santa Messa al campo in memoria di tutti i Caduti della Repubblica Sociale Italiana”, che incorpora, è giusto riconoscerlo, anche il sacramento cristiano, è qualcosa di ben diverso. Perché, se fosse solo una celebrazione di suffragio per dei defunti, ancorché “caduti” nella parte, secondo chi scrive, “sbagliata”, il problema non sussisterebbe minimamente. Se non proprio creando scandalo, sicuramente suscitando perplessità nell’antifascismo non dogmatico e sconcerto in quello fondamentalista, l’allora Presidente della Camera dei Deputati, Luciano Violante, mise a fuoco la tipica anomalia italiana di un popolo incapace, ancora, di appartenere alla stessa Italia. A dispetto dall’ormai quasi concluso ciclo esistenziale dei testimoni della temperie divisiva, non prevale ancora il richiamo a non dimenticare nulla ma guardare al futuro.

Pregare ed onorare i caduti, a prescindere dalla “parte”, appartiene alla pietas ed alla civiltà. Ma ciò non può far velo o contrasto all’idea che “Il 25 aprile è per sua natura festa di tutti: dei partigiani vincitori ma in egual misura degli sconfitti, perché tutti riacquistarono in quella giornata quel bene supremo che ha nome libertà “ (Arrigo Levi). Francesco Barbagallo ne “L’Italia Repubblicana” ricordava: “Dopo i disastri del fascismo e della guerra, lo Stato e la nazione si erano dissolti. Bisognava ricostruire tutto dalle fondamenta. Ma in 15 anni una classe dirigente valida ed animata da forti ideali, per quanto divisa da duri contrasti, riuscì a fare dell’Italia una grande potenza industriale”. Con qualche sprezzo del pericolo, tutt’altro che remoto, di una ritorsione polemica a danno di un assunto fin troppo generoso, Violante arrivò ad ammettere: “Molti lo fecero in buona fede e il rispetto per tutti i caduti fa parte dei sentimenti civili. Ma l’equiparazione non è possibile.” Se la “sincerità” di un combattente non può affrancare una testimonianza assolutamente sbagliata, figurarsi che valore può assumere, da tale punto di vista di genuinità, la reiterazione da parte di posteri. D’altro lato, una memoria comune presa a base della “pacificazione”, quand’anche fosse stata auspicata, è approdata, come si è visto, al tentativo di mettere le due parti sullo stesso piano e di squalificare la lotta partigiana. E, per ricaduta, le sue scaturigini: la Liberazione, l’instaurazione della liberal-democrazia, la Costituzione. Che continuano a costituire bersaglio del negazionismo e, al di là della diversa ispirazione della “memoria”, indirizzo esattamente contrario per chi vorrebbe restaurare, dopo 70 anni, totalitarismo ed autoritarismi. Non è in gioco qui la libertà di opinione; bensì la manifestazione di propositi tesi al sovvertimento della Costituzione con modalità vietate sia dalla Carta che dalle ordinarie leggi successive. Su questa circostanza reiterata diciamo pure che l’antifascismo non sempre è stato intransigente ed ancor meno lo sono stati gli organi preposti.

Col risultato che siffatto ordine di testimonianze illegali potessero inerzialmente divenire, prima, tollerate ed ammesse, poi, col loro portato di violenza non sempre simbolica, nell’alveo della normale dialettica. Fino ad assumere, per la platealità di espressione, contorni francamente non tollerabili. C’è da aggiungere che, senza attendere il supporto di un antagonismo antifascista dai profili non meno violenti, gli ambienti democratici (ANPI, partiti di sinistra, il parlamentare Pizzetti) si sono costantemente attivati presso le preposte autorità giurisdizionali e di ordine pubblico. Ma anche per quest’anno, esattamente all’opposto di quanto L’Eco del Popolo aveva scongiurato, appare alle viste il tentativo di replicare la “Santa Messa al campo in memoria di tutti i Caduti” (ed il relativo indotto d’illegalità); per cui, trattandosi di suolo pubblico e struttura ricadente nel patrimonio comunale, gli organizzatori hanno avanzato domanda autorizzativa. A tale istanza ha controdedotto la competente autorità comunale, sostanzialmente depotenziando (lo slittamento della data ed il divieto di manifestazione pubblica) il profilo illegale della manifestazione. Se Messa deve essere, Messa sia. Nella Cappella del Cimitero e per un rito di suffragio di carattere veramente religioso. E non una Messa con un’omelia inequivocabilmente “armonizzata”, che, fin qui, ha costituito il viatico per una post-produzione non esattamente rispettosa né della sacralità del cimitero né delle leggi di divieto dell’apologia fascista. Ci sarebbe anche da aggiungere, fermo restando che la Chiesa non può mettere paletti al suffragio ai defunti, che “cappellani” così accondiscendenti come quello del Civico Cimitero rappresentano una mano santa per siffatte deprecabili derive. Così deve aver considerato anche che la Giunta Municipale, nel notificare la propria determinazione, oltre che ai richiedenti, anche al cappellano ed al Vescovo, è stata tutt’altro che reticente. Va precisato, a questo punto, che gli organizzatori hanno inequivocabilmente preannunciato il proposito di contravvenire alle disposizioni comunali. Indubbiamente, siamo, nel 70° anniversario della Liberazione, di fronte ad un indirizzo comunale nuovo; che si fa carico della legalità. Gli ambienti dell’antifascismo e della Resistenza non possono, a questo punto, non sostenerlo con una testimonianza concreta.

E.V.

In allegato

-Esposto Anpi

-Interrogazione Luciano Pizzetti 

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