Se ne sussurrava, ma il diradamento dei rapporti indotto dal coronavirus aveva consegnato l'indiscrezione all'ordine più dei sogni che delle buone notizie dotate di una qualche possibilità di avverarsi.
Poi, a togliere di mezzo aspettative e dubbio che con rara evidenza rispetto ai tradizionali standards delle attenzioni alle notizie sui socialisti, è arrivato il quarto di pagina del Corriere della Sera (lo riportiamo integralmente). Dopo tante patite delusioni, una notizia positiva. Che, senza gonfiare i petti dell'orgoglio reducista, riporta nel vivere civile una testimonianza monumentale. Aprendo negli asfittici ed infecondi contesti politici una prospettiva di armonizzazione e di convergenza, suscettibile di incidere positivamente negli equilibri, soprattutto della sinistra.
Facendo, aderendo alla metrica dei romanzi d'appendice, il proverbiale passo indietro, lo scrivente tanto impreparato all'evento non poteva esserlo.
Stefano Carluccio, direttore di Critica Sociale, 5 anni fa venne a Cremona per ipotizzare la stessa operazione. Ci eravamo incontrati con il direttore di Cronaca, con cui collaboravo, e con il gruppo tipografico Pizzorni (molto disponibile). Non se ne fece nulla. Venni poi a sapere che, come temevo, la ragione della panne del progetto era stata principalmente la solita questione della titolarità della testata. In piena coerenza e continuità con la poco nobile querelle che aveva caratterizzato la contesa dei beni immateriali del socialismo italiano (per quelli materiali, invece, se non ricordiamo male, si era rinunciato alla rivendicazione in considerazione della preponderanza delle poste passive su quelle attive). Per carità di patria, non facciamo neanche cenno all'archivio storico della Direzione Nazionale, ci dicono, non protetto e lasciato andare, nelle convulse settimane del tutti a casa, colpevolmente alla deriva.
Restavano la ragione sociale col simbolo e le testate. Di basso valore intrinseco, ma di promettente utilità ai fini della attualizzazione del ruolo nei nuovi scenari politici. Anche per ingaggi sussidiari, disporre di un simbolo e di un giornale storico poteva venir comodo.
Non si era assolutamente in grado di pensare al rilancio della testata, fondata nel 1896 da Leonida Bissolati (già fondatore nel 1889 de L'Eco del Popolo e co-fondatore della Critica con il compagno di liceo Filippo Turati nel 1891); forse non c'era una vera volontà di farlo. L'importante che non lo facesse un altro.
Indubbiamente l'assenza di un movimento organizzato alle spalle ha costituito per troppo tempo un cospicuo deterrente.
Quel micidiale, paralizzante filotto di fattori negativi, poi, ad un certo punto, senza invertirsi completamente, ha cominciato a cedere e a collocarsi nella direzione opposta dell'armonizzazione delle consapevolezze e della convergenza edificanti.
Personalmente individuo il cambio di passo nel proposito di organizzare a Milano il 22 febbraio una riflessione più vasta e più decorosa (di quanto non fosse stata la celebrazione ufficiale) sui perni e sull'attualità del ciclo riformista craxiano.
Il pannel della giornata di studio e di confronto (poi, revocata per le note ragioni) comprendeva spunti e contributi che erano suscettibili di impegnare tutte le voci del superstite socialismo meneghino, la proiezione dei Miglioristi ormai senza patria, settori del PD milanese. Minoritari alla luce delle diffide decretate da una nomenklatura, per la quale una siffatta ipotesi di lavoro politico è poco meno che virale; minoritari, ma reali e qualificati, come si ha conferma dall'asset dei supporti del nuovo Avanti!.
Si parte dall'ipotesi di un progetto editoriale che è manifestamente sotteso ad una forte riaggregazione politica di quel che resta del socialismo italiano e delle componenti in sonno della sinistra riformista, mai seriamente considerate ed allocate nel PD.
Ha fatto bene il promotore ad essere perentorio sul punto: la mission non è la rianimazione del partitino PSI o di quel che resta.
Per avere qualche possibilità di successo, sia come appeal giornalistico sia come aggregato politico, l'operazione non può prescindere dai seguenti requisiti: deve essere larga, plurale, inclusiva.
A partire dal coinvolgimento dell'associazionismo politico e culturale del socialismo dichiarato e coerente coi richiami al ciclo riformista degli anni ottanta. Il frazionamento dettato da anguste visioni suscettibili di impedire qualsiasi sintesi deve essere assolutamente revocato da un generoso slancio mirante al futuro.
L'approdo al progetto del giovane segretario di quell'ectoplasma, che è diventato il PSI dopo il trattamento delle segreterie Boselli e Nencini, é un raggio di sole che fa sperare in una resipiscenza, suscettibile di invertire il destruens a favore del costruens.
Si nota il ritorno di una parte significativa della leva dei, come si disse dalla fine degli anni 70 in poi, “colonnelli” del nuovo corso craxiano.
Forse ne manca qualcuno. Ma l'asse portante c'é. D'altro lato, il leader socialista, rievocato (non come si sarebbe dovuto) in occasione del ventesimo anniversario, aveva visto bene, nel settembre 1983, quando lasciò il timone del PSI ai due giovani delfini della svolta riformista.
Ci sono ancora e sono una importante risorsa per la remuntada delle sorti del socialismo italiano e della sinistra italiana.
Assieme a loro c'è ancora una parte rilevante di quella eccezionale leva di giovani dirigenti che negli anni 80 rivoltò il calzino consunto ed elaborò un progetto riformista, che dimostra, dopo un trentennio, tutta la sua attualità.
Il resto dell'asset deve interessare l'area dem, la galassia laica e radicale, l'ambientalismo moderato, le realtà civiche del territorio, i riferimenti nel sindacato e nell'associazionismo categoriale.
Se con Martelli e con Spini, che in questi anni ha presidiato gli strumenti di testimonianza e di divulgazione del pensiero dei Fratelli Rosselli, che dovrebbe essere la fonte ideale principale dei perni del ritorno dell'Avanti! e del laboratorio riformista, si mobilitano i "colonnelli" del nuovo corso iniziato al Congresso di Torino, non ce n'è, come un poi guasconamente si suol dire, più per nessuno.
Già, Avanti! Lucidamente, generosamente e, soprattutto, insieme.
Ps: In ottemperanza alla deontologia giornalistica anglosassone, dopo aver dato la notizia, ci permettiamo un outing liberatorio. Che riguarda il nostro “conflitto di interessi” nell'operazione del risorgimento della storica testata socialista. Il 20 febbraio 1967 il direttore dell'edizione milanese dell'Avanti!, Fidia Sassano, mi notificava la nomina a corrispondente per la provincia di Cremona. Un ingaggio che, nonostante l'assenza di incentivi materiali, mi motivò molto a favore di una testimonianza intensa e durata nel tempo. Vi ho incrociato una eccezionale leva di futuri giornalisti e dirigenti di Partito, approdati a ruoli significativi nella vita pubblica.
Meno bravo di loro, ho continuato nel mio habit e non ho mai smesso. Ne ritrovo alcuni nel roster del risorgente Avanti! Un buon auspicio.
“Torna l'«Avanti!» con Martelli alla guida «Ma niente nostalgie»
L'ex ministro: darà voce al socialismo liberale
La testata è quella storica, in corsivo rosso, con quell'inconfondibile A con lo sbuffo e il punto esclamativo. Si, l'Avanti!, il giornale che ha raccontato la storia e la cronaca dei socialisti italiani. Tornerà nelle edicole (per il primo numero solo quello di Milano), dopo una lunghissima assenza, in una giornata dal forte sapore simbolico: Il Primo Maggio.
Era un sogno accarezzato da tempo e siamo felici di essere riusciti a realizzarlo spiega Claudio Martelli, esponente di punta del PSI craxiano (di Bettino fu il delfino e braccio destro), che qui si lancia nell'Inedita veste di direttore e che già ha partecipato all'iniziativa di digitalizzare l'archivio storico con tutte le collezioni dal 1896 al 1993. Il nuovo Avanti! sarà cartaceo: il primo numero avrà 24 pagine e costerà 2 euro. La cadenza sarà quindicinale, ma per il secondo numero bisognerà attendere un poco di più perché la stampa è prevista per il 2 giugno, altra data importante. L'impresa ha coinvolto figure storiche del socialismo italiano. Sono più di una cinquantina, fra giornalisti, osservatori, politici, i partecipanti all'impresa. Nel primo numero Martelli sarà protagonista di un dialogo serrato con Rino Formica, già Ministro delle Finanze, mente lucida e lingua acuminata degli anni del Pentapartito. E poi ci sarà un contributo di Claudio Signorile, il leader della sinistra socialista.
Nelle intenzioni dei promotori il giornale non sarà organo di partito né potrà essere un'operazione nostalgica, per ricordare a chi c'era (e soprattutto a chi non aveva l'età) quali erano le idee del socialismo italiano protagonista di stagioni decisive della storia politica e poi tragicamente travolto da Mani Pulite e dalla caduta della Prima Repubblica. «Sotto la testata — chiarisce Martelli — comparirà un tricolore e una scritta: “Voce del socialismo liberale”. A rimarcate che non tutti i socialismi sono uguali e che noi ci inseriamo nel solco del pensiero di Carlo Rosselli e del riformismo. Di qui la scelta di aprire il giornale anche al contributo di esponenti di rilievo del Pd, come il vice-segretario Andrea Orlando o l'eurodeputata Irene Tinagli e il senatore Tommaso Nannicini.
Ma chi c'è dietro il tentativo di ridare vigore a l'Avanti! ? Vivrà innanzitutto del contributo dei lettori e dei sostenitori — risponde l'ex ministro
Alla base c'è un gruppo di amici legati dalla comune storia socialista che ha deciso di autotassarsi. Ma siamo convinti di potere trovare un pubblico attento perché le 5 mila copie che abbiamo previsto di stampare per il debutto sono già state tutte prenotate (un mese fa il numero zero è andato esaurito)
In anteprima
Il contributo di Valdo Spini, presidente della Fondazione Rosselli
Proprio le esperienze di fraternità e di solidarietà che stiamo vivendo durante la pandemia del corona virus, con le prevedibili conseguenze psicologiche, sociali ed economiche che ne scaturiranno, ci devono portare a rivalutare lo spirito di fraternità del socialismo delle origini.
Sandro Pertini, che del socialismo riformista italiano è stato l'epigono, amava sottolineare che il grande merito dei fondatori del Partito Socialista italiano era stato quello di avere trasformato una plebe in un popolo, un popolo consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri.
Libertà, eguaglianza, fraternità erano stati i grandi ideali della Rivoluzione francese. Poi, passata di moda l'uguaglianza, nei paesi capitalisti la fraternità aveva lasciato il posto alla solidarietà. Viceversa, nei paesi a regime comunista la fraternità si veniva a dissociare dall'uguaglianza. In mezzo a questi due valori c'era il partito, leninista e poi stalinista, strumento indispensabile per la conquista prima e per il mantenimento poi del potere, Un'esigenza per la quale era giustificabile anche spaccare con una piccozza il cranio di Leon Trotskij. Verticismo e autoritarismo mal si conciliano con la fraternità.
I socialisti delle origini erano animati da una vera propria fede, come quella che caratterizzava la predicazione politica di Camillo Prampolini. Una fede laica nell'uguaglianza e quindi nell'emancipazione, nel riscatto, come si diceva allora, delle classi lavoratrici, la cui fraternità non doveva conoscere frontiere.
Su questa base di valori e di ideali si era poi sviluppata una cultura marxista-positivista che affidava la vittoria del socialismo, di una società senza classi, basata sul lavoro, alle leggi immanenti dell'evoluzione economica e sociale e quindi giustificava l'adozione di un metodo: il riformismo per sua natura democratico, aperto e non dogmatico. II dogma nel Novecento è stato invece quello dei comunisti, in nome del quale Togliatti salutò la morte di Turati definendolo “corrotto dall'opportunismo” e “corruttore” (nel metodo politico) e bollò Rosselli e il suo Movimento Giustizi e Libertà come “fascismo dissidente”.
Nel 1989 cadeva il muro di Berlino e nel 1991 si scioglieva l'Unione Sovietica. il campo sembrava aperto ad una competizione tra socialismo liberale un lato e liberal-liberismo dall'altro all'interno di sistemi democratici.
Il liberal- liberismo, cioè un sistema di concorrenza rude e anche spietata, che non esitava ad acuire le disuglianze, negli ultimi tempi sembrava aver avuto ragione del socialismo democratico liberale e riformista. Aveva altresì prodotto un fenomeno sociopolitico, il rampantismo che era entrato anche nel costume anche di ambienti della sinistra. Dopo la grande crisi del 2007-2008, Il sovranismo identitario veniva a sottrarre altro terreno al socialismo riformista proprio negli strati popolari all'insegna di un comunitarismo chiuso ostilmente verso l'esterno.
Ma ora, proprio la crisi che stiamo vivendo rilancia di necessità il riformismo nell'economia e nella società. Rilancia anche la fraternità. Come possiamo diversamente definire infatti il sacrificio nel nostro paese di decine di medici e di infermieri nella lotta al corona virus? Lo stesso slogan della quarantena, “insieme si vince” ne è testimonianza.
Questa fraternità riconquistata è frutto di una grande spinta interreligiosa (il ruolo di Papa Francesco è rilevante e significativo) e di un rinnovato spirito di fraternità laico. Le due spiritualità si intrecciano in uno spirito di libertà e di tolleranza, ma anche di etica pubblica della responsabilità collettiva verso l'umanità che ci attornia.
Questo spirito si deve affermare nell'opera ricostruttiva che ci attende per ricucire le lacerazioni operate nel corpo sociale dalla pandemia del corona virus.
Lo spirito del Primo Maggio delle origini rivive in questo sentimento di fraternità umana.
Ecco perché libertà, fraternità, uguaglianza si possono inverare nei valori di giustizia e libertà che sono propri del socialismo riformista e liberale.
In quella foto del 1926 che ritrae insieme Turati, Rosselli e Pertini che, con Parri, hanno realizzato l‘evasione dall'Italia del vecchio leader socialista, c'era l'immagine della futura Italia democratica della Resistenza, della Repubblica e della Costituzione.
È questa Italia che vogliamo difendere e salvaguardare da questa crisi, oltre questa crisi.
Quello del 2020 è un Primo Maggio solo apparentemente silente. È la Festa del Lavoro ma anche il dramma del non lavoro, di una precarietà e di una insicurezza collettiva, cui solo la riscoperta dello stretto intreccio tra fraternità, giustizia e libertà può ridare speranza e fiducia.
Valdo Spini