Fagocitati da una quotidianità, che sta perdendo la grammatica e la metrica della memoria delle testimonianze civili, arrischiavamo anche noi, che abbiamo fatto della sua salvaguardia e divulgazione il cardine del nostro impegno, di smarrire il ricordo ed il senso di uno dei profili più interessanti ed edificanti della storia politica del nostro territorio.
Sarà perchè, con l'affermarsi del pensiero liquido e della politica leggera, si è liquefatto quell'associazionismo di massa, che aveva tra i suoi elementi costituenti il richiamo permanente al contributo dei grandi pensatori e dei padri fondatori. Sarà perchè, da tempo, non esiste più la rete comunicativa, che informava e formava, delle testate che ogni associazione politica, sindacale o sociale, degna di un certo rango, non poteva non pubblicare e diffondere. Sarà perchè i depositi, materiali ed immateriali, di quella ispirazione della politica come prerogativa di partecipazione di massa sono andati sciaguratamente dispersi (ed i pochi brandelli sono accessibili solo attraverso un improbo impegno); quasi fossero omologati dall'ignominia sinergica decretata all'indirizzo “delle ideologie” e “della partitocrazia”.
Sarà per la sommatoria di queste condizioni pregiudizievoli e di altre la cui elencazione risparmiamo, ma la ricorrenza richiamata nel titolo arrischiava di finire sotto l'uscio.
Mentre, invece, come è stato anticipato e convintamente si ribadisce, il contributo civile del socialista Giuseppe Garibotti, nato nel 1865 (quindi appartenente alla “leva” dei precursori del socialismo umanitario e riformista e ad un tempo fondatori, nell'ultima decade del 19° secolo, del movimento che lo avrebbe rappresentato nell'agone politico e nella vita sociale ed istituzionale) e scomparso a Milano il 29 gennaio 1930, era destinato, proprio in forza dell'appartenenza a quella “leva” di intellettuali idealisti, divenuti apostoli della diffusione dei valori e degli ideali di uguaglianza e di giustizia sociale, nonché di modernizzazione e di sviluppo per tutta la collettività, a lasciare nella memoria comunitaria (ahinoi purtroppo non come si sarebbe dovuto e si dovrebbe) una lunga e profonda impronta di attuazioni innovative e concrete.
La ragione di questo deficit di memoria è, ad avviso di chi scrive, principalmente determinata, oltre alla colpevole tendenza alla damnatio memoriae, da due circostanze: il lungo lasso trascorso, correlato alla conclusione della sua vicenda pubblica, coincisa con l'avvio del ventennio, e la scomparsa, dopo una lunga eclisse trascorsa in solitudine fuori dalla sua città, molto prima che all'Italia fossero restituite libertà e democrazia.
E.V.
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In allegtao anche articolo di A.Botti NEL XV ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GARIBOTTI