Per quanto con un'intensità molto attenuata non è completamente uscita dal radar dei confronti serrati la questione della revoca della cittadinanza onoraria al defunto duce d'Italia.
Se ne era persa traccia. Ma l'argomento (che insieme all'impulso di usare la toponomastica ad uso di parte) è, come ogni evergreen che si rispetti, tornato d'attualità. Una sorta di fiume carsico, destinato a riemergere quando la discussione politica langue (in coincidenza, appunto, due mesi fa, con l'entrata in dirittura di una campagna elettorale destinata a dare il meglio di sé, si fa per modo di dire, in materia di insulsaggine ).
E, poiché, a litigare si deve essere almeno in due, una parte in campo era manifestamente interessata a tener alta la testimonianza dell'antifascismo “militante” e, l'altra, a sfruttare l'occasione per rinverdire l'epica di un “ventennio che aveva fatto anche buone cose”.
Sull'argomento avevamo, in una precedente riflessione, detto quanto ritenevamo doveroso dire.
A dimostrazione dell'intenzionalità non già di cogliere l'occasione di approfondire con intenti fecondi dolorose pagine della recente storia, ma di usare i consessi istituzionali come megafono della sempre latente rissosità, una volta raggiunto lo scopo, i riflettori si sono (temporaneamente) spenti.
Non certamente sul nostro interesse a non far decadere, in una sede congrua quale è una testata di prevalente interesse storico, l'opportunità di una valutazione più approfondita su un tema, che, strumentalizzazione politica a parte, non merita certamente trattazioni monche e/o reticenti.
Come ben si sa, è sempre stato incoercibile, negli investiti di mandato elettivo, l'impulso a travisare le prevalenti se non addirittura esclusive funzioni amministrative dei consessi di cui fanno parte arbitrariamente estendendole ad inappropriati terreni di scontro politico.
È una tentazione cui nessuno dei circa 150000 appartenenti al parterre nazionale degli eletti riesce (da sempre) a resistere. Perché ritiene legittima, come direbbe von Clausewitz, la continuazione della dialettica politica in altre forme.
Negli anni della prima repubblica nulla sfuggiva alla tentazione (con ovvia predilezione di argomenti che sarebbero stati adatti all'Assemblea Generale dell'ONU o ai Parlamenti nazionali). Nella seconda e, come si suol dire, nella “transizione” registriamo l'attenzionamento a quei “massimi sistemi”, la cui delibazione viene stimata molto proficua all'effetto altoparlante applicato al rapporto sinergico tra militanza politica ed esercizio di funzioni istituzionali.
Così si resta stabilmente nel cono di luce dell'evidenza mediatica. Si fa capire agli elettori che si è consiglieri e Sindaci senza rinunciare agli obblighi di militanza. Pezzo forte di tale inclinazione è in assoluto la toponomastica, in senso estensivo e nel'opposto senso soppressivo.
Da tempo, sotto tale profilo, avevamo, ragionando per assurdo proprio per invertire la tendenza, azzardato l'identificazione urbana (come succede a New York) numerando vie, viali ecc.
Parimenti alla toponomastica asservita a ragioni di parte, viene in soccorso la manipolazione della cittadinanza onoraria. Ma poiché sarebbe stimata poca cosa la cittadinanza onoraria a futura memoria, non si disdegna quella del passato.
Con questo preambolo abbiamo inquadrato (a beneficio delle conclusioni che sull'episodio ci pare utile trarre) la puntata della revoca postuma della cittadinanza onoraria conferita ad un personaggio che, a modesto avviso personale, sta bene (per essere chiari, dal 28 aprile 1945!) dov'é.
Se si disponesse della “scolorina” adatta ad eliminare il personaggio e le conseguenze nefaste del suo agire, saremmo tra i primi a farne uso.
Degnissima ed apprezzabilissima la tempestività con cui le amministrazioni insediate dal CLN intervennero allo scopo di revocare dai quadranti di quell'Italia umiliata e vessata da vent'anni di dittatura e da quattro anni di guerra qualsiasi riferimento alle preesistenze, che potessero in qualche modo fungere da coordinate per i malintenzionati di qualche restaurazione.
Sotto tale punto di vista, ci pare utile segnalare che nei giorni scorsi è intervenuto sul tema un apprezzabile contributo, basato su rigore, della giornalista de La Provincia Barbara Caffi, già autrice di un pregevole approfondimento delle vicende di Villa Merli.
Qui sullo stesso argomento pubblichiamo un'interessante scheda, redatta su ineccepibili basi documentali da Giuseppe Azzoni, sulle circostanze in cui decollò nella tarda primavera del 1924 l'operazione “cittadinanza onoraria” del duce.
Come si ricorderà, diede fuoco alla miccia delle polemiche un'inappropriata intervista rilasciata al Corriere dal Sindaco di Pizzighettone, che, essendo primo cittadino di un borgo rivierasco, aveva abboccato all'amo di un esperto giornalista.
Non proprio dichiarazioni da bar ma sicuramente parole in libertà; che un personaggio esperto oltre che consapevole della separazione dei ruoli avrebbe potuto risparmiarsi. Ma prontamente rettificate, con un gesto molto apprezzato di scuse nei confronti delle sensibilità eventualmente offese.
Ci sarebbe da aggiungere che il prosieguo della “pratica” nella sede istituzionale è stato caratterizzato a Pizzighettone (come a Crema, altro Comune coinvolto nella vicenda) con molto faire play e con (date le premesse rutilanti) imprevedibile realismo.
Ne è dimostrazione (tra le altre) la dichiarazione del consigliere dem, Chiara Parmesani; che nella sua semplicità (“Siamo un po' fuori tema, è passato molto tempo. Per questo mi astengo”), ha (dal punto di vista dell'incongruenza procedurale) colto il nocciolo della questione. Anticipata dal Sindaco di Bergamo Gori, il cui endorsement avevamo integralmente sottoscritto.
Fortunatamente, come sempre si dovrebbe fare (per non scadere nella canea), l'approfondimento, una volta pagato il dovuto pedaggio alle ragioni dell'arrembaggio, si può spostare, come dimostrano i contributi di Caffi e di Azzoni, significativamente su un terreno più propriamente storico. Suscettibile, si auspica, di indurre edificanti riflessioni sulle consapevolezze culturali e civili di un popolo che è o distratto o letteralmente sommerso nella sovrabbondante pratica quotidiana dell'effimero dei social.
Sia consentito anche a noi inserirci nel confronto, prendendo spunto sia dalle premesse di un caso fatto diventare di rilievo nazionale sia dal percorso nelle sedi istituzionali.
Diciamo, prima, per rispettare l'ordine di tempo della convocazione dei due consessi, che ci è sembrato di cogliere nella presentazione del Sindaco di Crema un profilo motivazionale confluente in una logica da ravvedimento operoso. A posteriori, molto a posteriori dei fatti accaduti quasi un secolo fa. Il sentiment, da cui si è mosso lo sforzo ermeneutico del Sindaco di Crema, era manifestamente pedagogico: “Siamo chiamati a correggere un errore, forse non politico, ma emotivo, verificatosi 94 anni fa. Chi decise non poteva sapere cosa sarebbe accaduto nei 20 anni successivi al 1924, fossero qui stasera concorderebbero tutti con noi”.
Con un'evidente intenzionalità se non proprio giustificatoria sicuramente attenuativa, la signora Bonaldi ha finito per consegnare una patente di deficienti ai componenti dell'organo che sancì il provvedimento ed all'ampia aliquota di cittadini che lo sostennero. Forse il Sindaco di Crema, anche se sarebbe tenuta a saperlo, ignora, diversamente dai cremaschi di quasi un secolo fa che nel 1921 il cavalier Mussolini, con la compiacenza dell'altro bel compare inquilino del Quirinale, aveva raggiunto il vertice governativo a seguito del colpo di stato dell'ottobre. Che nella primavera del 1924 si erano svolte elezioni legislative in un clima di manipolazione delle regole (legge Acerbo), di forti condizionamenti e, nel caso non ci si fosse accorti del nuovo clima, di violenze fisiche. Che sempre nel giugno dello stesso anno era avvenuto un esecrabile omicidio di stato mosso da impulsi didattici: l'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti. Insomma, un avvertimento che i tempi ed i metodi erano cambiati. Non casualmente qualche mese dopo, di fronte alla domanda retorica “In questi ultimi giorni non solo i fascisti, ma molti cittadini si domandano: c'è un Governo?”, il capo del governo si sarebbe dato anche la risposta “ Dichiaro qui, al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.”
Il Consiglio dei Ministri avrebbe assunto provvedimenti restrittivi contro la stampa; che come è noto costituiscono il prodromo di qualsiasi dittatura. Andrebbe aggiunto, con un forte consenso popolare. In Italia e a Crema; dove il ras per eccellenza, nel prosieguo destinato ad assumere, il 12 febbraio dell'anno successivo, le redini del PNF, aveva già da tempo colonizzato il fascio locale.
Da tempo, in linea con i picchi di militanza fascistissima era la situazione del PNF a Pizzighettone. I cui gerarchi, in un certo senso, avevano preconizzato, con la loro interpretazione intransigente, la svolta in senso dittatoriale. Il ceto dirigente della cittadina dell'Adda, espressione prevalente dell'agrarismo reazionario, aveva finanziato le prime “squadre”, sostenuto “la marcia” ed affrontato, come tra l'altro ricordano Gianfranco Gambarelli e Giuseppe Azzoni nelle loro documentate ricerche, lo scontro sociale nelle cascine e nelle campagne impugnando le armi.
Per una sorta caratterizzazione del contrasto sociale all'assolutismo imprenditoriale agricolo, nel comprensorio cremasco e nelle terre di mezzo era manifesta la prevalenza delle “Leghe Bianche” capeggiate da Guido Miglioli (mentre, come si ricorderà, il resto della provincia era influenzato dall'organizzazione socialista). A tale testimonianza sociale, difficilmente etichettabile (essendo espressione della dottrina sociale della Chiesa) tout court come eversiva, il fascismo non avrebbe fatto sconti, arroccandosi su una irriducibile linea repressiva.
A Pizzighettone, che rientrava in tale realtà, era consistente, già da prima del conflitto mondiale, la testimonianza migliolina; contro cui il fascismo locale esercitò un particolare accanimento. Con sistematici gesti di violenza. Se è concessa una digressione memorialistica privata, al culmine del contrasto una squadraccia locale compì nottetempo un agguato a carico di alcuni esponenti del movimento delle Leghe Bianche. Tra cui un fratello (Luigi, detto Bigin) del nostro nonno materno. Nei confronti del quale tutto si sarebbe potuto dire tranne che fosse un irriducibile sovversivo (gestiva la tabaccheria/cartoleria di Largo della Vittoria e, soprattutto, era l'organista della Parrocchiale all'epoca dell'arciprete mons. Zanoni). Nel corso di tale agguato, tramandato per tradizione orale dai famigliari ed annotato da una nipote in una memoria che meriterebbe la pubblicazione, la squadra fascista tentò ripetutamente di scagliare dal ponte "Trento e Trieste" nelle acque del sottostante fiume Adda tutti i migliolini che si trovò di fronte.
Non casualmente, come evidenzia l'opportuno approfondimento di Giuseppe Azzoni di seguito pubblicato, tra le motivazioni non certamente equivocabili della delibera di conferimento della onoraria cittadinanza, si legge “... Mussolini animo di apostolo e cuore di soldato (…) sconfisse il bolscevismo migliolino”.
D'altro lato, l'importante borgo rivierasco era già dalle premesse destinato ad essere particolarmente attenzionato dal regime. Da un lato, per il fatto che le basi fondative del movimento eversivo erano espressione del potere agrario e, dall'altro, perché la creazione industriale (Enka/Pirelli) ne avrebbe in prospettiva fatto (come ricorda Gianfranco Gambarelli in un suo recente lavoro) un crocevia economico, sociale e politico di notevole importanza.
Farinacci, incontestato sponsor sia di tale insediamento sia del collateralismo tra imprenditoria agraria e derive autoritarie, avrebbe accudito, con quasi amorevole sollecitudine, tale “collegio”, sino al collasso della R.S.I.
Interfacciata a tale importante presidio fascista sarebbe stata la testimonianza, finché l'esercizio delle prerogative liberaldemocratiche lo consentirono, dell'antifascismo locale.
Si ha, ad esempio, notizia di moti di protesta popolare già nelle immediate ore successive al delitto di Attilio Boldori, avvenuto nel dicembre del 1921.
D'altro lato, è altrettanto noto (come ricorda in un suo scritto Giuseppe Azzoni) che un pizzighettonese, Matteo Fiamenghi, non sfuggì ai rigori del Tribunale Speciale, finendo nei meccanismi repressivi del regime e subendo un lungo confino.
Pizzighettone ed il comprensorio dell'Adda avrebbero costituito già dal 1943 uno dei perni del movimento di liberazione, risultato determinante nelle sorti del contrasto nella fase terminale del conflitto e della dittatura. Francamente non si riesce a comprendere la ragione per la quale possa essere sfuggita, nello scenario immediatamente successivo alla Liberazione ed alla sindacatura del primo eletto Ing. Giuseppe Sini, l'opportunità, in aggiunta ai pochi ma giustificati ritocchi toponomastici (tra cui l'intitolazione, successivamente periferizzata ad opera della giunta democristiana, di una via centrale alla memoria di Attilio Boldori), della revoca, che sarebbe stata temporalmente e moralmente giustificata, divenuta oggetto di una tardiva istanza.
CITTADINANZA ONORARIA AL DUCE (postilla)
L'amichevole sollecitudine di Gianfranco Gambarelli, di cui preannunciamo un'ulteriore fatica editoriale sulla storia pizzighettonese del ‘900, ci impone una postilla al testo giù pubblicato sulla recente campagna per la revoca della cittadinanza onoraria al Duce.
Che, come abbiamo scritto, ha recentemente interessato anche Pizzighettone.
Si deve a Gambarelli il rinvenimento del verbale della seduta Consiglio Comunale che, in materia, costituiva un'appendice a quella in cui era stato deliberato il conferimento.
Lo stralcio del documento rintracciato fornisce ulteriori interessanti aggiornamenti delle vicende di novantaquattro anni fa sulle sponde dell'Adda.
Al Consiglio Comunale, riunito in sessione ordinaria, “viene data comunicazione del ringraziamento che S.E. Mussolini ha inviato per la sua nomina a cittadino onorario ed il Consigliere Ardemagni propone che sia inviato un telegramma a S.E. Mussolini di fede e solidarietà in questo momento in cui le opposizioni, in seguito all'esecrando delitto (ndr di Giacomo Matteotti, avvenuto contestualmente al rapimento il 10 giugno dello stesso anno a Roma in Lungotevere Arnaldo da Brescia la cui matrice si era rivelata fine dalla prime battute inequivocabile) a scopo ambizioso di arrivare al potere adoperando qualunque mezzo pur di arrivare allo scopo”.
La maggioranza fascista del consesso municipale definisce esecrando delitto un fatto che inizialmente si era interessatamente tentato di consegnare ad una ricostruzione dagli approdi ben differenti dalla realtà.
Come era noto già da allora, Giacomo Matteotti uno dei più autorevoli esponenti del socialismo turatiano ed uno dei più irriducibili testimoni dell'opposizione democratica alla definitiva consegna del precipitato eversivo alla stabilizzazione totalitaria ed autoritaria, aveva denunciato nel corso della seduta del 30 maggio, con uno intervento di rilevanza storico, il clima di violenze e di intimidazioni che aveva viziato le garanzie di legalità della tornata delle elezioni parlamentari svoltesi il 6 aprile 1924. Nel primo pomeriggio del 10 giugno (aveva da poco compiuto 39 anni) Matteotti, laureato in giurisprudenza, giornalista, deputato per tre Legislature, era diretto all'aula parlamentare dove avrebbe pronunciato, dopo le denunce dei brogli elettorali, una clamorosa denuncia del pieno coinvolgimento dei vertici del regime e della dinastia sabauda in clamorosi fatti corruttivi collegati alla concessione in itinere ad una compagnia americana dell'esclusiva per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi in Italia.
Come è noto, la manovalanza per l'esecuzione dell'orribile delitto fu reperita dalla macchina organizzativa del PNF. Mentre l'assunzione della responsabilità politica e morale, per alcuni mesi respinta dal vertice fascista e dal governo autoritario non ancora diventato totalitario, sarebbe stata rivendicata (in tono di sfida motivato dall'esplicitazione dello snodo autoritario ormai ampiamente in essere) da Benito Mussolini nel noto intervento parlamentare del gennaio 1926. E tanto perché non ci fossero dubbi sull'interpretazione autentica degli scopi, delle dinamiche e delle responsabilità del delitto, la guida del collegio di difesa degli imputati, su richiesta del principale imputato Dumini, sarebbe stata guidata (nonostante la laurea farlocca emersa a seguito dello scandalo di un istituto bancario con sede a Parma) da Roberto Farinacci, a quel tempo segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista.
Stanti tali premesse, è evidente che il battage della cittadinanza onoraria al duce a nient'altro era finalizzato se non al depistaggio dell'opinione pubblica dalle criticità gravanti in quel momento sul vertice fascista. Ed in prospettiva in chiave di fidelizzazione delle masse al regime ed alla figura del capo supremo.
Gli zelanti presidente dell'assemblea, del consigliere anziano, del segretario comunale certificano che nei confronti di detto verbale, pubblicato domenica 24 luglio 1924, “non vennero prodotti reclami”.
In questo aggiornamento forniamo altresì un'immagine di Luigi Vidali, esponente pizzighettonese del movimento migliolino, che si era esposto, come abbiamo osservato nel testo, nel contrasto all'insorgente fascismo locale.
Il consunto reperto fotografico, probabilmente scattato nella seconda metà degli anni trenta, lo ritrae davanti alla “privativa sale e tabacchi” di Largo della Vittoria. Che, come si nota con qualche difficoltà, erogava anche benzina.
In allegato l'estratto di una seduta del Conisglio Comunale di Pizzighettone del luglio 1924
MAGGIO 1924: MUSSOLINI CITTADINO ONORARIO IN TUTTI I COMUNI DELLA PROVINCIA (ED ALLA UNANIMITÀ) di Giuseppe Azzoni
Nei giorni scorsi è apparso su “La Provincia” un ampio e ben documentato servizio di Nicola Arrigoni sulla revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini che anche il Comune di Cremona aveva conferito nel 1924. La revoca venne deliberata dalla Giunta Calatroni del CLN subito dopo la Liberazione.
Il materiale disponibile in Archivio di Stato dà esaurienti informazioni sulla vera e propria campagna con la quale i Consigli comunali della provincia di Cremona – come in generale avvenne in tutta Italia – deliberarono la attribuzione della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Va naturalmente considerato che quei Consigli comunali erano usciti dalle ultime votazioni libere (1920) con amministrazioni socialiste e popolari, qualcuna liberale, poi costrette a dimettersi o “dimissionate” dopo la marcia su Roma e “fascistizzate”.
L'iniziativa per la cittadinanza onoraria fu di livello nazionale e fu gestita operativamente dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (molti documenti recano questa intestazione e la firma di Acerbo). A firma Acerbo, è un lungo telegramma alla Prefettura in data 7 maggio 1924. La campagna era iniziata ed il telegramma riporta “numeri riservati” in codice corrispondenti ad una settantina di Comuni, con la richiesta di verificare per ciascuno a che punto è la pratica del conferimento della cittadinanza a Mussolini. Così sull'originale dello stesso telegramma compaiono le spunte su ogni numero, apposte evidentemente dal soggetto prefettizio che ha poi svolto una verifica.
Sotto la personale guida del Prefetto, è la Prefettura che gestisce la vicenda con puntigliosa meticolosità. I numerosi documenti in merito mostrano le seguenti caratteristiche.
- Una pressione sui Comuni, direttamente da Cremona o tramite le Sottoprefetture di Crema e di Casalmaggiore, con lettere di sollecito a procedere ed i riscontri con affermative risposte di Sindaci, qualche commissario prefettizio, qualche segretario comunale.
- La fitta corrispondenza con Roma, con richieste e risposte di aggiornamento sul procedere delle convocazioni dei Consigli comunali e conseguenti delibere.
- Elenchi dei Comuni, prestampati o meno, con spunte (o anche “si”) accanto ai nomi di questa o quella località, o con annotazioni a fianco di un Comune tipo “questa sera”, “lunedì 26”, “venerdì”, “assicurano che delibereranno in questi giorni”... Foglietti col numero dei Comuni che hanno già deliberato o che mancano. Non tutte queste carte hanno la data ma appare evidente un progressivo lavoro stringente, giorno per giorno, ed un rapido procedere delle deliberazioni sotto l'incalzare della Prefettura a sua volta incalzata da Roma.
- Alcuni Comuni sono commissariati. Qui i commissari prefettizi sostituiscono il Consiglio e sono loro a concedere la cittadinanza onoraria del paese!
Pur non essendoci nella pratica tutte le delibere con relativa data si può dire che tutta la vicenda è stata condotta nel mese di maggio 1924.
In conclusione, comunque, leggiamo ad inizio luglio questi documenti.
1) Minuta (scritta a mano con un “urgente” in rosso) di lettera di accompagno, in data 1.7.1924:
“Oggetto: (….) onoraria a S.E. il Presidente del Consiglio.
A S.E. il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Gabinetto – Roma.
Pregiomi far tenere alla S.V. le copie delle deliberazioni con le quali da tutti i Consigli comunali di questa provincia è stata conferita la cittadinanza onoraria a S.E. il Presidente del Consiglio.
Il Prefetto (sigla)
2) Su carta intestata Presidenza Consiglio dei Ministri, il “Segretario particolare” Chiavolini scrive al Prefetto in data 5.7.1924 di aver ricevuto le “copie delle deliberazioni” e prega di trasmettere ai Sindaci i ringraziamenti di S.E. Benito Mussolini.
Pertanto tutti i Comuni hanno deliberato e tutte le delibere sono approvate alla unanimità.
Per quanto riguarda i contenuti: sono ripetute le note esaltazioni quasi sempre con toni enfatici. Una costante è la sottolineatura del maggio come ricorrenza dell'anniversario dell'entrata in guerra dell'Italia nel maggio 1915.
Di seguito riporto alcune annotazioni a valere... anche per le altre delibere.
Grumello: “...Mussolini artefice della vittoria e apoteosi radiosa delle anime dei 500.000 morti (nella guerra)...”
Pieve d'Olmi: “...Cittadino onorario SE Benito Mussolini DUCE DEL FASCISMO in nome della vittoria delle armi sul Piave” - Approvato “per acclamazione col saluto romano”.
Pizzighettone: “... Mussolini animo di apostolo e cuore di soldato (…) sconfisse il bolscevismo migliolino”...
Pozzaglio: Questa “storica” riunione del Consiglio “è un rito solenne...”
Robecco: si conferisce la cittadinanza nell'anniversario della entrata “nella santa guerra” di cui Mussolini è il “valorizzatore”...
Sesto: “... da quel Grande emana tutto un profumo di idealità di genio e di forza (…) da lui ci viene una ondata di benessere e di luce smagliante” - Approvazione unanime “... grida di Viva il Re, Viva Mussolini, Viva Farinacci, Eja Eja Allala (sic)”
Sospiro: (Mussolini) “artista sommo che ci ha salvato dalla minaccia bolscevica e dalla rovina...”
Alcuni Comuni conferiscono la cittadinanza onoraria anche a Roberto Farinacci. Per esempio Vescovato (con l'impegno di una “solenne cerimonia per la consegna della pergamena”), Bordolano (una settimana dopo di Mussolini), Cappella Picenardi (una settimana dopo - “Farinacci capo e duce del fascismo cremonese vinse le oscure manovre di occulti e palesi nemici – acclamazione Eja Eja Alalà”), Grontardo, Olmeneta (una settimana dopo - Farinacci “vinse la vandea rossa e bianca”), Pozzaglio (“Farinacci collaboratore del Duce supremo nella titanica opera...)