Vittorio Staccione: il profilo del calciatore/operaio antifascista richiama ancora interesse e nuove iniziative
Nel quadro delle iniziative celebrative del 70° anniversario della Liberazione, martedì 16 giugno presso lo Stadio Zini, alla presenza delle massime autorità cittadine e di una folta cornice di pubblico, veniva scoperta una lapide di marmo, sormontata dal bronzo realizzato dal prof. Mario Coppetti, recante questa epigrafe: “A Vittorio Staccione, giocatore grigio-rosso nella stagione 1924-25, morto a Gusen-Mauthausen il 16 marzo 1945, simbolo dello sport come impegno sociale, civile e politico, lottò sui campi della vita per la libertà e la fratellanza degli uomini”.
Presentando la cronaca della riuscita manifestazione, organizzata dal Panathlon di Cremona, L’Eco del Popolo, forse con un eccesso di pessimismo, azzardava: l’evento è di quelli che purtroppo la contemporaneità riserva sempre più raramente.
A parte, si ripete, la significativa riuscita, va considerato che l’iniziativa, la quale ha richiamato a Cremona la stampa sportiva nazionale e la rappresentanza delle società in cui il calciatore torinese aveva militato, non è stata a sé stante.
Nei giorni scorsi è giunto nella nostra città, accolto dal Panathlon, il nipote di Vittorio Staccione, Federico Molinaro.
Aveva avuto notizia di quanto fatto nella nostra città per lo zio ed ha voluto testimoniare l'apprezzamento e i complimenti nei confronti del Panathlon e del Comune di Cremona.
Aveva con sé tanti ricordi di Staccione calciatore e di Staccione operaio alla FIAT. Fatto questo che ha suggerito agli organizzatori l’opportunità di un ulteriore sforzo di divulgazione e di approfondimento di questa forte e coerente personalità.
Ci è stato verbalmente riferito che è allo studio l’iniziativa di un triangolare annuale delle giovanili di Torino, Fiorentina e Cremonese nell’anniversario del sacrificio dell’attaccante che onorò, durante la prestigiosa carriera calcistica (purtroppo terminata prematuramente e drammaticamente).
Se ci è permesso, consiglieremmo, ove tale ipotesi fosse suffragata dalla reale volontà, di operare affinché l’evento sportivo, capace di ritagliarsi uno spazio importante nel calcio nazionale, assumesse un forte significato simbolico, soprattutto nella percezione delle nuove generazioni.
Come banale consiglio accessorio, sottolineeremmo l’opportunità, da parte del Comune proprietario dello Stadio Zini (che fin qui ha fatto le nozze coi fichi secchi; in quanto l’iniziativa è stata gestita dal Panathlon, l’opera artistica è stata donata e realizzata dal Prof. Coppetti e la lapide è stata collocata gratuitamente da un dirigente del sodalizio sportivo), di una scesa in campo.
Ci riferiamo al fondale, veramente poco dignitoso, su cui l’opera a ricordo del calciatore è stata collocata (come, ove ce ne fosse stato ancora bisogno, le fotografie, ritagliate per carità di patria, dimostrano).
Nell’occasione della trasferta cremonese, Federico Molinaro ha incontrato lo scultore Mario Coppetti nell’atelier di Via Chiara Novella. Dove il custode della memoria storica della Città, che a novembre compirà 102 anni, stava ultimando il busto dedicato ad Ugo Tognazzi destinato ad arricchire il Viale degli Artisti presso il Civico Cimitero.
L’ospite, che ha ringraziato l’artista, ha rivelato un aneddoto sconosciuto per il tragico epilogo cui sarebbero stati destinati i due fratelli Staccione; morti entrambi di stenti, vessazioni e malattie, a distanza di pochi giorni, l’uno dall’altro e a poco tempo dalla fine della guerra.
I due calciatori, operai ed antifascisti, furono, come si sa, fermati a Torino dai nazifascisti per la loro attività partigiana, che difficilmente sarebbe sfuggita all’occhiuta ed ossessiva polizia.
Al momento del fermo, sarebbero stati ristretti in una caserma dei Carabinieri; il cui maresciallo, nell’ovvio intento di favorirne la fuga, li indirizzò a procurarsi un minimo di vestiario necessario per il viaggio verso la Germania.
Mossi dallo scrupolo di non inguaiare il generoso sottufficiale i fratelli Staccione si presentarono puntualmente, la mattina successiva, di fronte alla caserma.
Per affrontare un viaggio ed un destino dall’esito tragico.
Tanto ci ha riferito il prof. Coppetti.