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Vergogna…Chi?

A proposito di decoro urbano e di housing sociale

  03/06/2021

Di Redazione

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Cherchez les candidats…per capire come butta, ad un anno dalla chiamata alle urne per il vertice comunale, in materia di intenzioni. Di intenzioni di continuare a sacrificarsi per la comunità. Alias, di restare nel ruolo o, addirittura, di fare qualche gradino in su. 

La posizione che non si presta all'esercizio di congetture sul futuro è quella del primo cittadino. Che, dopo aver impiegato il primo mandato come premessa per completarlo nel secondo, dovrà farsene una ragione. Perché, completato o meno il suo progetto di “fare nuova la città”, non ne avrà a disposizione un terzo. Per effetto di un catenaccio che impone un limite di mandati continuativi. 

Nel prosieguo si capirà facilmente che non interveniamo come Cicero pro domo Galimberti. Ma anticipiamo, in contesti generalizzati in cui la “vocazione” per il ruolo latita in tutto il quadrante, che, per quanto si fosse capita l'intenzionalità di un ricambio nei vertici amministrativi, nel primo quarto di secolo della seconda repubblica questa “riforma”, al pari di molte altre (titolo V, in primis), si commenterebbe da sé. 

Aver voluto limitare i mandati consecutivi, in omaggio alla dinamicità dell'alternanza, significò già vent'anni fa un presunto gesto da “grande fratello”. 

Come se il corpo elettorale fosse talmente labile da tenersi stretto un primo cittadino pirla al punto da imporgli, per legge, di non vedere il suo nome sulla scheda elettorale (per una terza candidatura consecutiva). 

Già…a volte (dopo essere stati in panchina per un lustro) tornerebbero. Ma non ci sembra questo il caso. Sul fatto, poi, che il Sindaco parolaio (come viene amabilmente definito) voglia imboccare la strada per Roma (come la sua collega della cittadina del tortello col mostaccino e la mentina), non ci sono avvisaglie. 

Diciamo, quindi, che l'unica cosa scontata è che il primo cittadino in carica è avviato a fine corsa. 

Ovvio che non faremo mancare una nostra analisi (analisi, non giudizio!) sull'excursus di questo decennio. Ma ci sembra prematuro. Almeno dal punto di vista di una rivisitazione complessiva. 

Da qui cominciamo, però, qualche focus tematico. Sulle “partite” assessorili. Non rinunciando, tuttavia, ad un incipit che si prospetta molto severo sul livello performante della “squadra”. La quale, se si eccettuano le branche sociali ed educative, difficilmente fornirebbe “crediti” per ricandidature. 

Ma tale deve essere, ben s'intende, il parere di chi scrive. 

Perché, sia pure coi passi felpati, si intravvedono le strategie di avvicinamento alle riconferme (o, meglio, alle intenzioni di riconferma o di progressione). 

Ovvio che si fa il fuoco con la legna di cui si dispone. Ma ci sono apparse, ovviamente se effettivamente correlate ad ambizioni di carriera, alcune esternazioni in materia di risanamento edilizio. Un segmento questo della più vasta partita urbanistica/lavori pubblici (si chiamava un tempo), che, senza voler essere inclementi, rappresenta la palla al piede di questo governo cittadino. 

Dopo nove anni diventa incontrovertibile la percezione di una drammatica assenza di riferimenti progettuali, capaci di “prendere le misure” della Cremona di inizio terzo millennio, da proiettare in un fecondo equilibrio tra effettive esigenze espansive e salvaguardia del consolidato. 

In materia è recentemente intervenuto su una testata telematica, approdata da poco al panorama editoriale locale, un passt Assessore, con argomenti che si discostano poco dalla stroncatura. E che inducono noi ad una sintesi poco lontana dalla definizione di una politica edilizia da “mani sulla città”. 

Noi siamo molto distanti, pur nella profonda stima personale e professionale, dalle visioni della cultura del “tutto dov'è e tutto com'è”. Ma, approssimandosi la dirittura d'arrivo del mandato dovremo, come abbiamo anticipato, pur abbozzare qualche valutazione di sintesi. 

Non ci fosse stato Sant'Arvedi il vasto comprensorio edilizio-monumentale del Parco dei Conventi avrebbe continuato la sua prospettiva di diventare un cumulo di rottami. 

Destino questo, diventato inarrestabile, per il comprensorio del Vecchio Ospedale, Rifunzionalizzato in minima parte. Mentre sul resto pende una spada fatta di inerzia e di approssimazione di intenti. 

Si è parlato di un recupero della parte di via Radaelli ad edilizia abitativa. Ma ci si deve anche chiedere come mai l'ipotesi, che quanto meno andrebbe contestualizzata e seriamente ponderata dal punto di vista della sostenibilità, non sia stata avanzata nell'arco dell'ultimo trentennio. Durante il quale l'ignavia ha costituito l'elemento regolatore di un caccadubbismo, spalmato tra la ragionevolezza del fare e il pregiudizio dogmatico. 

Che, evidentemente, non ha impedito di espandere a macchia d'olio l'edificato terziario/commerciale. In termini assolutamente incongrui all'esigenza di una città in decremento demografico e abbondantemente servita da un comparto eccessivo. 

Che adesso, ad un anno dal redde rationem politico-amministrativo non si trovi di meglio che parlare (rispetto allo storico patrimonio di social housing) di “palazzine della vergogna”, ci sembra quanto meno una via di fuga dalle responsabilità. 

Se si fa eccezione per l'edilizia abitativa di iniziativa cooperativa, il patrimonio abitativo “popolare” (di iniziativa pubblica) non solo risale ad oltre mezzo secolo fa, ma nel corso di questo lungo periodo non è mai stato oggetto di una seria programmazione manutentiva. 

Si è andati avanti inerzialmente. Con gestioni (patrimoniali ed amministrative) appesantite dalla demagogia dell'Aler e del Comune. 

Con margini che, gravati da tariffe assolutamente fuori dal mercato sociale e da alti tassi di morosità/evasione, hanno portato a quel disastro che l'Assessore chiama (ammiccando al populismo) “disastro”. 

Per oltre metà del periodo che intercorre dalla edificazione ai tempi correnti la “sala dei bottoni” è stata (quasi ininterrottamente) abitata da governi di centrosinistra. Ovvio nella versione della seconda repubblica. Perché la formula precedente, invece, a partire dalla fine degli anni 50 e per tutta la decade successiva, si era contraddistinta per un “fare” palpabile. A colpi, come sarà percepibile dalla gallery allegata, di centinaia di alloggi ogni anno. 

Per far fronte, oltre che alla riqualificazione di un'offerta abitativa, in linea col vivere civile, anche con l'arretrato dell'emergenza, presente ancora negli anni 60, degli “accasermati”. 

Nel volgere di due decenni, anche grazie alla coesione di tutte le forze politiche, fu possibile portare a quasi totale soluzione quel drammatico ritardo. 

La “vergogna”, troppo disinvoltamente e genericamente attribuita al passato, è manifesta prerogativa dei governi locali e dell'Aler degli ultimi trent'anni. 

Le gallerie

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