Ricorderanno, i nostri lettori e followers, che tra i tanti approfondimenti dedicati dalla nostra testata al dossier della Fondazione Opera Pia Luigi Mazza di Pizzighettone (che nell'ultimo anno non si è fatta mancare proprio niente per entrare e restare in un cono di luce mediatica) abbiamo postato un bel po' di riflessioni, corredate da relative domande esplicative, relativamente allo strano caso delle modalità con cui è stata impostata la programmazione del vaccino anticovid.
Il raggruppamento locale “Pizzighettone al Centro”, una testimonianza particolarmente attenta agli sviluppi di una vicenda centrale nelle priorità politico-amministrative del Borgo dell'Adda, aveva, con un proprio comunicato parallelo alla dichiarazione del Consigliere Comunale Giancarlo Bissolotti, si era fatto portatore dell'ineludibile opportunità, da parte del vertice della struttura, di un chiarimento in ordine alla circolazione di quesiti inquietanti sulle modalità di attuazione di un cruciale per la messa in sicurezza degli ospiti e degli operatori.
Il nostro giornale aveva affiancato tale testimonianza e aveva chiesto preventive delucidazioni al Presidente del CdA. La quale, si deve aggiungere con molto cortesia aveva preannunciato una scesa in campo del “responsabile della procedura”.
Pensavamo ad un interpello di ordine tecnico sulle modalità con cui si era svolta la procedura (della prima dose riservata agli operatori); ma ci siam trovati di fronte uno tsunami polemico da parte di un (non prescelto interlocutore) che ha creduto di supplire al carente ruolo che competerebbe agli investiti di ruolo politico-amministrativo.
Quando, anni fa facevamo politica, erano questi i competitors adatti ai nostri denti. Se qualcuno ha pensato di intimorire e zittire il nostro libero lavoro di informazione e di approfondimento giornalistico, si assisterà ad un risultato esattamente contrario.
E siamo qui a chiedere (in ciò anche unendoci al senso della lettera giuntaci dalla lettrice Donatella Ghinelli) una cosa molto semplice: che il vertice della Fondazione rilasci, sul proprio onore, una liberatoria (rispettosa di qualsiasi privacy) in cui si affermi che gli ammessi alla somministrazione del vaccino appartengono tassativamente alla declaratoria stabilita dai decreti ministeriali.
Non siamo abituati ad innescare ed alimentare sospetti e maldicenze. Un modulo comunicativa che non appartiene al nostro codice deontologico.
In assenza di spiegazioni ci appelliamo, come si fa ormai diffusamente, all'entrata in campo del VAR; da parte delle autorità preposte all'esecuzione delle procedure vaccinali e a quelle preposte ai controlli.
A mente dell'endorsement dell'appena insediato nuovo Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri. E dell'ammonimento esternato poche ore fa dal Presidente dell'Ordinanza Nazionale dei Medici relativamente all'impulso di distrarre la priorità vaccinale riconosciuta alle fragilità ed agli operatori. Distribuendo a pioggia a fasce laterali, non esattamente prioritarie.
Nella complessa vicenda dell'insediamento del nuovo CdA e dell'emersione di una ormai sedimentata criticità della Fondazione, giunta ai limiti della sostenibilità, si iscrive, proprio oggi, un'importante dichiarazione rappresentante della CGIL, Sabrina Negri (nella foto sotto - La Provincia). La quale si fa portavoce delle preoccupazioni degli operatori privati di una quota accessoria del trattamento economico. E chiede un formale incontro con la controparte datoriale, che, secondo chi scrive, sta facendo molto poco sul piano di corrette e proficue relazioni sindacali e, soprattutto, su quello del rasserenamento dei lavoratori.
Ci vien da concludere, su questo specifico punto, con un sonoro “Finalmente, brava CGIL". Appello inderogabile. La popolazione si unisca al Sindacato nella difesa della dignità e delle prerogative dei lavoratori e nella tutela degli ospiti (che sono stati lavoratori). Occorre alzare il livello della testimonianza con l'obiettivo di invertire il degrado e rilanciare la sostenibilità dell'istituzione testimonianza della generosità dei pizzighettonesi”
E, da ultima, una riflessione di carattere generale
Sia alza li livello dell'attenzionamento da parte dell'opinione pubblica e delle famiglie degli ospiti istituzionalizzati nei confronti del profilo prestazionale delle RSA del territorio. Fattesi trovare impreparate di fronte allo tsunami pandemico. Ed, entro certi margini, incolpevoli sul lato principale della sostenibilità di una prova impari tra massa critica e possibilità di farvi adeguatamente fronte.
Alcune hanno performato meglio di altre, soprattutto, a livello di accettabilità delle conseguenze letali sugli ospiti. Altre strutture hanno registrato saldi terrificanti di mortalità e morbilità, che, se in parte possono essere ascritte alle caratteristiche dell'epidemia sulla terza e quarta età, non possono non orientare l'analisi inevitabilmente su un'impreparazione di ordine strutturale. La pandemia ha solo scoperchiato il velo su difficoltà ed arretratezze congenite nella realtà di alcune istituzioni, che, al di là della dedizione, sono apparse da tempo ai limiti della sostenibilità.
È il caso della RSA Mazza di Pizzighettone, in cui in poche settimane l'epidemia ha registrato una mortalità superiore al 50%. Lo sforzo dell'analisi del macroscopico fenomeno fornirà (ammesso che ci fosse veramente la volontà di interpretare e di dare spiegazioni plausibili) un quadro di correlazioni tra le ragioni della manifesta incapacità di reggere l'urto entro un range realisticamente spiegabile e la specificità di una inadeguatezza sedimentata nel tempo.
Vero è che fattispecie come quella del Mazza si collocano manifestamente in un border line; da cui sarà molto difficile risalire. Anche perché la manovra del turn over tra letti liberati e degenze in teoria implementabili si scontrerebbe con la contrazione della domanda e, cosa ancor più grave, con l'accertata difficoltà ad una messa a regime della struttura secondo accettabili standards di sicurezza e di qualità della degenza. Va, infine, anche aggiunto che non appare praticabile un inasprimento delle rette, motivato dalla necessità di riequilibrare il rapporto tra entrate e spese. Una manovra, questa che viene tentata da alcune RSA del territorio; ma che trova una significativa opposizione delle famiglie dei degenti.
Il Mazza, forse consapevole della impraticabilità di qualsiasi resilienza affidata a correttivi ordinari, tenta una manovra da affittanza di ramo aziendale, alla territorialmente contigua struttura di S. Bassano (che da sempre presenta maggiore stabilità).
Nel ragionamento risulta in tutta evidenza che nella condizione da canna del gas l'unico asset nelle mani della gestione è rappresentato dal pacchetto dei convenzionamenti regionali.
Ma l'ipotesi facilior della cessione del ramo aziendale, soprattutto se proiettata in un gradualismo senza ritorno, costituirebbe un'allarmante campana a morte per il mantenimento dell'autonomia della storica fondazione.
Tanto varrebbe, chiamando in causa le espressioni istituzionali del territorio e l'Associazione delle RSA, mettere a punto un progetto strategico di armonizzazione e di convergenza nel settore. Che abbia come traguardo l'efficientamento e la sostenibilità nel presente difficile scenario. Ma che parta dall'imperativo di alzare lo sguardo ad un'analisi che non si discosti dalla consapevolezza che vanno tracciate profonde riforme nel socio-sanitario-assistenziale a cominciare da un'ineludibile maggior rapporto sinergico tra territorializzazione sanitaria e forme nuove di supporti dedicati. Anche, perché, come viene denunciato oggi dalla stampa lombarda, si è di fronte, con l'aumento delle tariffe dell'assistenza domiciliare, ad un insostenibile aggravamento per gli assistiti e le famiglie.