Diciamo che, almeno fino a quando, come succede sempre nel ciclo della comunicazione digitale, la costanza sul pezzo non cederà per raggiunta soglia bassa e, soprattutto, per l'incalzare delle suggestioni natalizie, l'argomento ha tenuto intensamente la scena. Ovviamente con le caratteristiche relazionali e dialettiche, tipiche di questa temperie. L'articolazione della cosiddetta civiltà del digitale è fatta di tecnico/informatica, di speech, di forma mentis. Le opportunità relazionali derivanti dalla facilità e dall'immediatezza telematica sarebbero, in sé, eccezionalmente favorevoli e feconde. Se, nell'esplicitazione di questo decennio, non avessero prevalso i bassi istinti. Che continuano sull'asse dell'inarrestabile degrado dei rapporti umani e della condivisione comunitaria, che sta conducendo all'ultimo stadio della crisi della democrazia rappresentativa e del cedimento della testimonianza civile e politica.
Leggendo la brochure edita in questi giorni intitolata “Le parole di Don Primo” (che appena possibile sottoporremo a riflessione) siamo riandati ai grandi scontri della fine degli anni quaranta; quando, ad esempio, durante la campagna elettorale del 18 aprile 1948, era diffusa la pratica del contraddittorio al relatore ufficiale del comizio organizzato dalla parte avversaria.
Quasi raramente, nonostante lo scontro al calor bianco, si passava alle vie di fatto. Sotto questo profilo possiamo affermare che quella tenzone dialettica contribuì in qualche misura a rieducare l'opinione pubblica, dopo vent'anni di stand by della democrazia e della libertà, alle regole dialettiche.
Nei tempi correnti il contraddittorio, prevalentemente privo della tensione per la ricerca di un punto comune, avviene a distanza e su piazze contrapposte. Ed all'evidente unico scopo di suonarsele e di bucare i like e le intenzioni di voto.
E' stato sradicato l'associazionismo di massa, dorsale dell'articolazione dei partiti anima della politica democratica. La democrazia rappresentativa non se la passa molto bene, essendo svuotata dal cedimento della classe dirigente e riempita dalla “democrazia diretta” (per chi se lo può permettere).
Il combinato conseguente si avvale del sincretismo populistico, nelle forme più becere.
E, quando diciamo ciò, facciamo riferimento (tanto per esemplificare) al profilo performante del comizio di chiusura del capitano Salvini, qui a Cremona nella tarda primavera. In cui la parte in commedia non si è fece mancare niente: il poco discreto accompagnamento degli organi periferici dello Stato e dell'informazione, l'inquietante speech dell'oratore e degli oratori di contorno, con l'accompagnamento di scene di ingiustificabile violenza.
Cui ha fece da alimento (ma non da giustificazione) la ritorsione nei confronti di un isolato contestatore.
Sotto tale profilo, essendo stati testimoni in questi anni dell'abitudine a “disturbare” i banchetti del centro destra (anche se non necessariamente con gesti violenti), peroriamo il ritorno al pieno esercizio delle prerogative di libera manifestazione del pensiero e dell'annuncio.
Ecco, tornando a bomba sul pezzo e mantenendo la nostra totale estraneità a queste modalità dialettiche, registriamo, da “testimoni né a carico né a difesa” (come suggerirebbe Peter Handke, nobel per la letteratura), la tendenza a contrapporsi per piazze.
Salvini le riempie (purtroppo, quasi sempre); mentre il campo opposto è stato per lungo tempo ipnotizzato dall'incapacità di mobilitare nella forma tradizionale. Ecco allora che il campo dei neghittosi astutamente fa assumere, pur veicolando il messaggio inverso, al profilo comunicativo le sembianze adatte a mantenersi in gioco.
Le scatolette tengono necessariamente strette le sardine. Anche se la sardina evoca in noi il ricordo alimentare dei troppo giorni di magro e digiuno, i cui pasti erano immancabilmente egemonizzati dalla soggezione al dogma clericale.
Ma, dato che siamo su questo versante ed anche perché trascinati dall'elogio a sinistra della superiorità della sardina come specie non da allevamento, osserviamo che in realtà la sinistra da oltre un quarto di secolo si è comportata elitariamente da gourmet, da gauche caviar.
Volendo proprio affidarci al profilo ittiologico per identificare la nuova sinistra, preferiremmo, per le sue caratteristiche di resilienza, il salmone.
Per concludere.
Le “sardine” coi loro flash mob terranno più dei “girotondini”? La pensata di mobilitare con la colonna sonora di Bella Ciao (che nessuno degli aventi titolo-vale a dire i partigiani e patrioti combattenti-cantò mai in corso d'opera) e con il portato non esattamente subliminale del non può essere antifascista se… (non accogli flussi migratori all'infinito, ad esempio) quote di giovanilismo e di nuovismo equipollenti alla testimonianza populista-sovranista sopravvivrà all'ésplace d'un mattin delle regionali dell'Emilia-Romagna?
Chi vivrà vedrà. Indubbiamente, però, con tutti i limiti che abbiamo premesso e con l'ovvia presa d'atto che non possiamo appartenervi, il movimento del pesce azzurro ci impone quanto meno la predisposizione ad un confronto. A distanza o ravvicinato, a seconda delle condizioni in itinere.
La nostra testata, che già in tale direzione si è manifestata, pubblicherà domani molto volentieri e coerentemente il contributo di Virginio Venturelli, Sergio Denti e Tommaso Anastasio, coordinatori delle Comunità Socialiste della provincia di Cremona.