Gussola, 100 anni, fatti di storia, di lotte e di passione
Sulla bella rivisitazione di Gerelli, sono pervenuti numerosi messaggi, improntati da apprezzamento e riflessione.
Tra questi riportiamo la mail di Clara, figlia del primo Sindaco Gino Rossini ed attuale Presidente Onorario dell'Associazione Zanoni. Così ci ha scritto:
Quanto fa bene essere riportati a ricordare persone rimaste in linea con le proprie idee e mosse dal desiderio di agire per il bene della gente che li circonda e che rispecchia la realtà del popolo di allora, il nostro popolo. Il tempo, il progresso, la crescita veloce dell'egoismo personale ha ridotto di molto se non cancellato il desiderio di fratellanza, del bene comune... Galeotti il benessere, il desiderio di emergere, il non rispetto dell'altro. Grazie compagno Gerelli, grazie Sante, grazie Enrico.
Sull'articolo in questione è intervenuto con un sms anche Giuseppe Azzoni, per farci rilevare l'inappropriatezza della locuzione in cui ci riferivamo all'autore dell'articolo, chiamandolo “compagno” Gerelli (che è uno dei pochi sopravvissuti a non adontarsi di questo epiteto).
Giuseppe Azzoni Forse c'è stato un fraintendimento sul ricorso a questo appellativo, speso tutt'altro che per intenzioni irriguardose o addirittura canzonatorie. Semplicemente volevamo far comprendere che la livella, che ha spianato un sistema consolidato e (prevalentemente) virtuoso di testimonianza democratica ed associazionismo militante, ha travolto anche modalità relazionali e di linguaggio.
Come osservava, Gerelli diventa sempre più difficile raccogliere una partecipazione attiva agli eventi in cui si parli di politica o di fatti sociali.
D'altro lato, tende sempre più a rinsecchirsi la fonte dell'idealismo e della militanza. Questa tendenza ha riguardato anche il campo della sinistra; che in passato aveva incarnato la spinta alla partecipazione di massa alla vita politica.
Cala drammaticamente la partecipazione. Ma cambiano anche gli stili partecipativi e con essi anche lo speech. È diventato sempre più raro l'appellativo che era una costante dell'incipit “Care Compagne e Cari Compagni”. Forse l'abitudine è sopravvissuta nei riti delle riunioni delle piccole comunità socialiste e post-comuniste.
Compagno deriva da “cum panem”, il pane dell'idealismo e della testimonianza militante.
Due ingredienti questi drammaticamente rarefatti a partire dalla transizione dalla prima repubblica a quelle successive.
Diciamo che il problema non è prevalentemente terminologico. Sicuramente l'abrogazione di un appellativo considerato retrò o nostalgico è il segnalatore della conclusione di un'epoca.
Il chiarimento verbale con Giuseppe Azzoni, che è uno dei più apprezzati collaboratori della nostra testata, ha fornito l'occasione per mettere sotto riflettore una circostanza, che ci pare utile, in contesti assolutamente sterilizzati dal senso della solidarietà, far riemergere.
Azzoni ricorda di aver appreso per tradizione orale che nel periodo dello scontro frontale, in cui “i padroni” (locuzione non impropria, ma tesa a distinguere dagli imprenditori di datori di lavoro dagli piglio reazionario) licenziarono per rappresaglia (soprattutto nel settore dei laterizi) i rappresentanti sindacali distintisi per l'indomabile volontà di tener testa alle serrate ed ai comportamenti antisindacali.
Alcuni di loro, unici occupati nel nucleo famigliare, furono licenziati. Ma fu anche fatta terra bruciata attorno alla possibilità di impiegarsi presso altre aziende della zona.
Fu un alto senso di solidarietà, scanditi dal valore della condivisione dello stesso “pane” idealistico, che, attraverso l'autolicenziamento di “compagni”, appartenenti a nuclei con più di un famigliare occupato, fu consentita l'assunzione dei “compagni” discriminati.
L'anno che verrà
Sull'articolo, che ha rivolto il riflettore sulla poco edificante uscita del parroco di Agnadello che dal pulpito ha definito malati i gay, abbiamo ricevuto più di riscontro.
Riportiamo quello di Clara Rossini
Stendiamo un velo pietoso su quel prete di Agnadello. Rimugino a volte l'idea che le prime avvisaglie di una vita non corretta di alcuni sacerdoti si potessero già rilevare nei seminari dove si entrava talvolta anche senza vocazione e si viveva in un clima non particolarmente edificante.
Non concepisco, lo so, sto divagando, ma non concepisco come la Chiesa possa possedere ricchezze enormi, vedi anche solamente ciò che è custodito nei Musei Vaticani che per poterlo ammirare devi pure pagare dei bei soldini. Vogliamo parlare dei possedimenti dei vari cardinali?? Se tutto questo venisse messo a disposizione dei paesi del terzo mondo, innumerevoli popolazioni risolverebbero il dramma della miseria estrema, la malattia e i decessi di bimbi nati già senza la possibilità di sopravvivere.
Sullo stesso tema il nostro redattore Tommaso Anastasio ha ricevuto quanto appresso riportato:
Leggo sempre volentieri l'Eco davvero interessante...Ho letto articolo sul prete di E.V.
Penso che mischiare la cagata che ha detto il prete con la pedofilia e con un sentimento anticlericale sia un sentiero pericoloso e per me fuorviante...
guarda ultimamente mi sta piacendo parecchio come si sta muovendo Italia Viva....Maraio si muove bene ma lo vedo ancora acerbo...e troppo mezzogiorno centrico.” (m.b)
Precisa Tommaso:
riguardo ai potenziali fraintendimenti li avevamo messi in conto e ce ne siamo assunti il rischio (calcolato e soprattutto accettato, pur di non farla passare franca al prete in questione.
A sua volta l'autore dell'articolo osserva:
Previsto! Il problema è sottrarre rating dogmatico a chi si avvale del pulpito per togliere dignità e legittimità ad un diritto civile. Per di più screditando i potenziali titolari dell'esercizio di un'affettività non tradizionale. Il protagonista della performance appare come un coniglio mannaro, di fronte all'inquietante silenzio sul filotto di pedofilia consumato non molti anni fa e a poca distanza, da don Mercedes. Figura che non gli dovrebbe essere ignota. Si deve alla civile caparbietà dell'allora deputato cremasco ed alla tardiva resipiscenza delle gerarchie vaticane se la vergognosa impresa non passò in cavalleria. Il mio ateismo ed il mio anticlericalismo, non sono il movente/carburante della denuncia. Avrebbe funzionato così anche nel caso di uno scombiccherato fervorino pronunciato in una moschea o in una sinagoga. O, volendo essere laicissimo, in un consesso istituzionale. In cui un investito di mandato (mettiamo, cosa non improbabile, un suprematista leghista) si fosse azzardato a proporre l'ignobile equivalenza uscita dalla bocca del prevosto.