Caro Enrico, il tuo commento a "Cremona Avvelenata" (link - ndr) è notevole. Bravo. Corri ugualmente il rischio di passare per "un venduto al padrone" come è capitato a Pizzetti, ma la segnalazione di manipolazione attraverso le immagini è decisamente importante. Non è da oggi che accade, ma nell'era dei social con i video che scorrono sui telefonini e ancor più evidente.
Alessandro Gaboardi
Cum grano salis
Ringraziamo il nostro lettore ed assiduo collaboratore cremasco Alessandro Gaboardi, che, col suo apprezzato riscontro ci consente di riprendere un argomento. Assurto ai vertici dell'interesse mediatico, giusto il tempo per favorire picchi di esposizione quel tanto che basta alla politica di oggi, ispirata ai toni alti e alle esternazioni in libertà.
In realtà, l'amico Gaboardi sarebbe un cremasco acquisito. Perché le sue radici, come quelle dello scrivente, sono di Pizzighettone. Che ha avuto per molti decenni la “fabbrica-paese” (la Pirelli ATA), con cui fare, nel bene e nel male, i conti.
Tra quelli che tornavano a fatica (ma solo per benevola assuefazione delle maestranze e della comunità, non si sa se più inconsapevole che connivente) c'era la “malaria”. Termine generico di definizione di una caratteristica atmosferica (percepibile, in determinate condizioni, in un raggio di dieci chilometri).
Era la conseguenza delle emissioni derivate dai procedimenti chimici con cui veniva prodotta “la seta artificiale”.
Il cielo era quasi perennemente ammorbato da questa “fragranza” che, per l'intensità e la costanza, finiva per essere metabolizzata come costante caratteristica olfattiva. Figurarsi come doveva essere la ricaduta più diretta di questi procedimenti chimici sulle maestranze che vi operavano a diretto contatto. Altri tempi, in fatto di cultura ambientale e di tutela della salute e della qualità dell'esistenza!
Nonostante la tardiva sensibilizzazione, non sarà mai dato sapere o minimalmente immaginare le ricadute del fenomeno (solfocarbonismo) a livello epidemiologico, come causa di mortalità diretta, di cronicità invalidante, di morbilità secondaria. A carico delle maestranze e della popolazione.
Già, mancavano in quei tempi (mezzo secolo fa e più) sia quella cultura ambientale e di tutela della salute sia l'aggregato legislativo e di presidi di monitoraggio, prerogativa di cicli successivi.
Abbiamo accondisceso all'impulso di un richiamo alle comuni (al lettore interpellante ed al direttore dialogante) preesistenze per dire che entrambi sanno di che parlano.
Diciamo subito che la “malaria” della Capitale del Po, per quanto reale, è (fortunatamente) altra cosa.
Le sue cause, che pure “beneficiano” di un combinato di apporti antropici, appaiono prevalentemente determinate dalla caratteristica morfologica. Dell'essere il territorio del capoluogo di provincia il punto più basso della piatta pianura, anzi del catino padano.
In cui, appunto, si concentra la somma di fattori naturali e di apporti umani.
Per correggere questa peculiarità, non esattamente benefica, o ci si affida ad una trovata come quella televisiva di un varco nel Turchino (che, per la depressione padana, potrebbe essere un martinetto in grado di sollevarla di due o trecento metri s.l.m, in modo da preservarla dalla stagnazione delle “polveri” e delle emissioni) oppure ce se ne fa una ragione e si cambia registro.
Nell'iscrizione dell'argomento tra le priorità di preservazione dell'ambiente e della salute e nella delineazione di un percorso coerente e conseguente che, per la complessità, non può non chiamare in causa rimandi di livello superiore.
Si parla di questi tempi, in materia di rimodulazione della rete sanitaria, di “piani per ripartire”. Con una convinzione che, a parere dello scrivente, non può non essere percepita come quel minimo sindacale di risposta suggerito dall'impulso di scavallare l'insuccesso conclamato di critica e di pubblico.
Tra i propositi, su cui ci sarebbe da battere fortemente i pugni sul tavolo del rapporto con la Regione, occorrerebbe riconoscere priorità al ripristino di presidi territoriali di prevenzione della salute nei luoghi di lavoro e di controllo dell'aria e delle acque.
La polarizzazione degli strumenti in passato articolati sul territorio ha sostanzialmente sottratto alle aree periferiche una presenza diretta e costante.
Su questa istanza (di ri-territorializzazione) non sono permessi né sconti né atteggiamenti dettati da “doveri d'ufficio”.
Il secondo ordine di consapevolezze e di azione riguarda la concertazione. Vale a dire la collocazione di questo primario problema, che è ad un tempo di tutela dell'ambiente e della salute umana ma anche di correlazione con le attività produttive, in una dimensione di interdipendenza e di corresponsabilità.
Sicuramente (come presagisce Gaboardi) ci prenderemo la taccia, oltre di essere venduti ai padroni, anche quella di servilismo nei confronti dei poteri istituzionali (cui non abbiamo risparmiato in questi anni proprio niente).
Pazienza! Ma non ci siamo sottratti, nella precedente chiosa, e lo ribadiamo nell'occasione presente, al dovere civile di riconoscere come valido e potenzialmente fecondo il metodo di coinvolgimento e di corresponsabilità indicato dalla Civica Amministrazione.
Che, prima di tutto, fa giustizia di “testimonianze” sopra le righe (della fattualità) e in netto contrasto con l'ordine del realismo.
Abbiamo parlato di “colonna infame”, riferendoci alla chiamata di reità della responsabilità del primato di “città avvelenata”. Condizione cui appartengono indifferenziatamente opifici, strutture viarie, gestioni di utenze di servizio.
Anche se andrebbe sottolineato che l'imputato numero uno è l'Acciaieria.
Ci piacerebbe molto confrontarci con gli accusatori, ammesso che siano interessati ad un costruttivo confronto e non, come è presumibile, ad immettere merda nel ventilatore dello sfascismo.
Certamente è inaccettabile qualsiasi indulgenza verso eventuali condizioni di messa a repentaglio dell'ambiente e della salute (come fu per molti decenni la raffineria Tamoil).
Certamente le situazioni di difformità dai valori standard devono essere costantemente monitorate e tempestivamente ricondotte negli ambiti della normalità.
Ma quel che postulano i casseurs del fondamentalismo ambientalista è sic et simpliciter l'incompatibilità tra la preservazione dell'ambiente e qualsiasi attività economica.
Cremona, negli ultimi decenni, ha invertito le conseguenze della deindustrializzazione e, pur priva dell'imprescindibile accompagnamento dei superiori livelli istituzionali in materia di sostegno allo sviluppo, ha ingranato la marcia dell'espansione produttiva. Nel caso poi, dell'area del porto canale, con la chiara volontà di puntare ad un manifatturiero tecnologicamente avanzato proiettato verso modalità trasportistiche e logistiche suscettibili di invertire le diseconomie e l'apporto inquinante dei tradizionali trasporti.
Anche questo è un aspetto che va considerato nell'economia di una visione capace di contemperare le questioni poste in campo.
Resta, ovviamente, in carico alla gestione urbanistica la primaria questione della compatibilità della localizzazione delle funzioni. (e.v.)