Cogliamo l'occasione del centenario della scissione di Livorno per pubblicare il primo capitolo della ricerca storica di Agostino Melega sulla controversa figura di Nicola Bombacci. Dal carattere tanto mite quanto profondamente e politicamente rivoluzionario, decisamente aggrappato ai propri ideali più che alle ideologie, è protagonista nella nascita del Partito Comunista Italiano insieme ad Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci.
Nicola Bombacci, negli anni fra il 1917 e il 1920, fu uno degli uomini politici più popolari in Italia, personaggio scomodo e per tanti versi anomalo, fu oltraggiato e diffamato in vita da fascisti e comunisti, e dimenticato poi per anni dalla storiografia. Egli fu uno dei tanti figli della Romagna sanguigna e generosa, cultore dell'epica dell'amicizia. Di un'amicizia le cui ragioni profonde superano tutti i confini e tutte le barriere, e vanno a cementare il dipanarsi del destino degli uomini più di qualsiasi altro vincolo, più di qualsiasi altra opportunità od opportunismo che sia.
Nicola Bombacci, classe 1879, fu seminarista, poi predicatore di fratellanza solidale e del cosiddetto “evangelismo socialista”, orientato verso una umanità da redimere alla luce della testimonianza di Cristo, di un Cristo concepito come il primo socialista della storia, “una sorta di nuovo cristianesimo o un cristianesimo ricondotto alla semplicità e alla purezza delle origini” (1).
Bombacci fu maestro elementare municipale, poi organizzatore sindacale, parlamentare socialista, prima vice segretario, poi segretario nazionale del partito socialista; in seguito socialista della frazione comunista, membro dell'Internazionale Comunista, amico di Zinov'ev e di altri dirigenti sovietici, cofondatore del Partito comunista d'Italia, imputato in Russia in uno dei primi processi d'impronta stalinista, poi espulso dal partito Comunista d'Italia, quindi delegato d'affari dell'Unione Sovietica in Italia, fondatore della rivista “La Verità”, voce autonoma nel ristretto pluralismo editoriale del Regime fascista, voce due volte interdetta da Starace e due volte riammessa da Mussolini.
Ma nella logica del nostro dire Bombacci fu soprattutto amico di Benito Mussolini. Così come Mussolini fu amico suo, anche nei momenti di maggiore contrapposizione politica. Il Capo dei socialisti massimalisti, futuro Duce dei fascisti, lo chiamava affettuosamente e con una punta canzonatoria “Nicolino”, perché Bombacci pur apparendo irruente e passionale nell'eloquio tribunizio era in effetti mite come pochi.
Parlando di Bombacci al proprio biografo Yvon De Begnac, Mussolini avrebbe ricordato la loro personale amicizia, anche quando Bombacci aveva condotto “la battaglia estremista contro il fascismo”, in quanto “non si divide il pane della scienza per poi diventare l'uno all'altro Caino” (2). Questa amicizia, che ebbe alti e bassi come tutte le amicizie che durano una vita, ed acute punte di contrasto reciproco in chiave pubblica ed immediate e privatissime ricuciture, rende comprensibile sia l'uscita della rivista “La Verità”, sia e soprattutto l'epilogo tragico della vita di Bombacci, che morì fucilato a Dongo, il 28 aprile 1945, poco distante da Giulino di Mezzegra, dal paese nel quale si era da poco conclusa la vicenda politica ed umana dell'antico compagno di militanza socialista Benito Mussolini.
Nicola Bombacci, “il comunista in camicia nera”, com'è stato definito dal titolo di un libro di Arrigo Petacco (3), pronunciò le sue ultime parole di fronte ai partigiani del plotone di esecuzione gridando “Viva il socialismo” (4). Una fonte riporta un completamento di questa ultima espressione con la premessa di “Viva Mussolini” (5). Ma al di là di queste testimonianze, fu la vita più che il momento della morte a unire nel percorso esistenziale di Bombacci la figura di Mussolini a quella del socialismo, in un intreccio ramificato di contrapposte varianti. È appunto in questo binomio “Mussolini-socialismo” che sta racchiuso tutto il quadro esistenziale e di riferimento ideale ed utopico di Bombacci ed il senso di una coerenza declinata come tale dalla medesima considerazione che era stata dello stesso Lenin: solo il rivoluzionario Mussolini avrebbe potuto realizzare l'emancipazione piena dei lavoratori italiani, ossia il socialismo.
Di quattro anni più anziano di Mussolini, a differenza di quest'ultimo che proveniva da una famiglia in cui si respirava aria anticlericale ed anarchica, Bombacci era cresciuto a Civitella di Romagna, in provincia di Forlì, in una famiglia papalina, con tradizioni e spirito di fedeltà alla Chiesa. Tant'è vero che suo padre Antonio, coltivatore diretto, era anche stato milite del governo pontificio ed al momento dell'annessione della Romagna al regno sabaudo si era dato alla macchia, per non servire coloro i quali venivano bellamente considerati “usurpatori”.
La madre, Paola Gaudenzi, era cugina di don Nicola Ghini, parroco di Civitella e proprietario del podere in cui i Bombacci lavoravano, il quale aveva fra l'altro battezzato Nicolino il giorno stesso della nascita, trasmettendo al figlio dei suoi mezzadri anche il proprio nome. Appena raggiunta l'età, colui che sarà chiamato il “Lenin della Romagna” frequentò la scuola parrocchiale, prima a Civitella poi a Meldola, dove la famiglia si era trasferita nel 1886. Erano tempi quelli nei quali repubblicani, socialisti ed anarchici ponevano in fermento la Romagna. L'ascendente repubblicano e mazziniano delle prime organizzazioni operaie avrebbero conferito a Mazzini e a Garibaldi un posto importante nell'evoluzione del pensiero del giovane Bombacci, che avrebbe ricordato spesso in futuro le due figure storiche risorgimentali. Ma era soprattutto l'internazionalismo anarchico, frutto delle infervorate predicazioni del principe russo Michail Bakunin, a dilagare sull'Appennino forlivese. La Prima Internazionale fece più adepti in Romagna che in tutto il resto d'Italia. Fra il 1872 e il 1878 ci furono numerosi tentativi di insurrezione da parte dei bakuniani sostenuti da Andrea Costa, futuro fondatore del partito socialista di Romagna.
Il socialismo romantico di Costa era legato alle tradizioni del Risorgimento; un socialismo che avrebbe influito su Bombacci molto profondamente, pur nella situazione del tutto particolare in cui egli si veniva a trovare nel Seminario di Forlì, a partire dal 1895 (6). Anche se il “prete in famiglia” aveva allora il valore di promozione sociale, Nicola Bombacci non diede la soddisfazione che s'aspettavano i famigliari. Con motivazioni attinenti la precaria salute, del resto molto plausibili soffrendo egli di disturbi polmonari per i quali fu anche dichiarato inabile al servizio militare, Bombacci uscì dal seminario il 16 giugno del 1900 (7), mantenendo però sempre stretti legami di amicizia con molti compagni di studi divenuti in seguito sacerdoti (8).
Nell'autunno del 1900, pur avendo già frequentato in seminario la terza liceo, si iscrisse come libero allievo al collegio “Giosuè Carducci” di Forlimpopoli per ottenere il diploma magistrale. Fra i trenta allievi interni di quella scuola, stava concludendo i suoi studi da maestro il diciassettenne Benito Mussolini. “I destini dei due futuri rivoluzionari – commenta il giornalista-scrittore Arrigo Petacco – cominciavano a incrociarsi” (9). Secondo lo storico Renzo De Felice, Nicola Bombacci conobbe però Benito Mussolini solo nel marzo del 1902, a Santa Vittoria, nel reggiano (10), durante un convegno di zona dell'Unione Magistrale Nazionale. La cosa, a sua volta, è smentita da Anna Maria Bombacci, nipote del fratello di Nicola, Virgilio, autrice del saggio Nicola Bombacci rivoluzionario (1910-1921), dove essa asserisce che la data dell'incontro del 1902 non può essere esatta, in quanto Bombacci si diplomò maestro nel 1904 e insegnò appunto nella zona di Gualtieri solo nel 1907 (11). Ma i due diversi pareri trovano una spiegazione nelle ricerche di Serge Noiret, il quale conferma la partecipazione di Bombacci all'incontro del 1902 e, nel sottolineare il precoce impegno politico e sindacale di quest'ultimo, afferma che Bombacci stesso, pur non essendo ancora diplomato, insegnava comunque al Collegio Educativo maschile di Forlì (12).
Ad ogni buon conto, in quegli anni, sia Bombacci sia Mussolini svolgevano il ruolo di maestri elementari, assunti da piccoli centri amministrati da socialisti. A quell'epoca erano infatti i sindaci a nominare gli insegnanti delle scuole comunali e naturalmente li sceglievano fra quelli della loro area politica. Questo spiega perché, durante il suo apprendistato didattico e socialista, Bombacci ebbe più volte occasione d'insegnare nelle stesse scuole dove aveva insegnato o insegnava il suo “collega” Mussolini.
Tornando a De Felice, veniamo a sapere, in una delle pagine della sua monumentale opera sul Duce del fascismo, che nel convegno di Santa Vittoria Mussolini, divenuto nel frattempo segretario del circolo socialista di Gualtieri, “sostenne tesi molto ardite che suscitarono le proteste di molti intervenuti”(13). Tesi estremiste e rivoluzionarie lontane dal pensiero del giovane Bombacci. Questi, in quel periodo infatti, era fervido seguace di Filippo Turati e soprattutto di Camillo Prampolini, fondatori del partito socialista a Genova nel 1892, apostoli del socialismo umanitario e riformista. Come scrive Guglielmo Salotti, rigoroso storico della scuola di Renzo De Felice, Nicola Bombacci “vide nell'insegnamento un mezzo per permettere ai lavoratori e ai contadini, attraverso una educazione morale e politica che doveva precedere lo sviluppo economico, di uscire dalla miseria intellettuale, contro il potere della borghesia e del clero” (14). Nel 1903 Bombacci si iscrive al Partito socialista a Forlì (15). Il 19 Novembre del 1905 si sposa con Erissene Focaccia, una ragazza di diciannove anni, insegnante elementare e dal loro matrimonio, nel 1906, nasce a Forlì il primogenito Raoul, che non viene battezzato. Questo atteggiamento, di non voler più “salvare le apparenze”, segna, secondo la pronipote Annamaria, ”l'inizio ufficiale di una nuova impostazione di vita” (16).
Nel 1906 Bombacci è maestro elementare a Cadelbosco di Sopra, in provincia di Reggio Emilia, poco distante da Gualtieri dove Mussolini aveva insegnato nel 1902. Nel 1907 e per due anni consecutivi Bombacci è con la famiglia a Monticelli d'Ongina, dove nasce, nel 1908, una bambina, Fathima, Idea, Libertà, deceduta dopo un mese di vita a Castelvetro Piacentino (17).
A Monticelli d'Ongina Bombacci insegna nella scuola del Comune, dando anche vita, con la collaborazione della moglie, a un “asilo nido laico” appoggiato dal Municipio e dal locale circolo socialista. La famiglia Bombacci aiuta l'asilo a sopravvivere anche materialmente. Qui, a Monticelli, Bombacci collabora inoltre come corrispondente al giornale “La Piacenza Nuova”, diretto da Alberto Malatesta (18). Sempre a Monticelli, egli ottiene, per un anno di prova, anche il posto di segretario dell'”Ospedale civile” (19).
Il comportamento anticlericale in numerose manifestazioni pubbliche e il sistema d'insegnamento laico portano il maestro socialista in rotta di collisione con gli ambienti cattolici di Monticelli. Tant'è che viene dato l'avvio al meccanismo delle sanzioni amministrative con un deferimento al Consiglio scolastico provinciale. Questo organismo, dipendente allora dalla Prefettura, emette un ammonimento nel quale Bombacci viene criticato come “colpevole di propaganda anticlericale, socialista ed antimilitarista in pubbliche conferenze” (20).
“L'Eco del popolo”, giornale dei socialisti cremonesi, e la sezione cremonese dell'Unione Magistrale Nazionale (L'UMN), tra i cui membri annoverava lo stesso Bombacci, spinge la Camera del Lavoro di Cremona a prendere posizione contro questa decisione. Si difende il maestro socialista di Monticelli d'Ongina invocando gli articoli del codice penale riferendosi alla difesa della libertà di parola e dimostrando soprattutto che egli non è colpevole, nell'esercizio della sua professione, di alcun delitto. Bombacci rifiuta l'ammonimento e sentendosi offeso, scrive direttamente al Ministro dell'Istruzione Autunno Rava. Il ricorso in appello viene però rigettato e il Ministro rende un memorandum che non fa che limitare le conseguenze dell'ammonimento (21).
Se ci siamo soffermati su questo episodio, non lo abbiamo fatto solo per i riferimenti con la città di Cremona, che sicuramente Bombacci frequentò, ma soprattutto perché fu tale l'amarezza che questa situazione creò nel suo animo, da provocargli una crisi d'identità profonda, tale da fargli prendere la risoluta decisione d'abbandonare l'insegnamento. Il 20 novembre 1909 il Consiglio Comunale di Monticelli accettò ufficialmente le dimissioni di Bombacci. A lasciare la scuola fu certamente incoraggiato dalla proposta che gli venne dal partito socialista di assumere la carica di segretario della Camera del lavoro di Piacenza; carica lasciata vacante dal sindacalista rivoluzionario Pulvio Zocchi, fuggito all'estero per evitare l'arresto in seguito a cruenti moti sociali (22).
Bombacci se lo sarebbe poi ritrovato accanto, dopo trentaquattro anni, nel gruppo di uomini di sinistra che aderirono alla Repubblica sociale italiana, fra i quali Carlo Silvestri e Walter Mocchi, che si unirono a quanti erano fermamente convinti, come il cremonese ex tipografo e sindacalista Giuseppe Spinelli, di concretizzare il disegno rivoluzionario di superare la logica capitalistica con l'ingresso effettivo e decisionale del lavoratore nella dinamica gestionale dell'azienda (23).
Così, nel 1909, Bombacci optava per l'impegno politico a tempo pieno nel ruolo e nelle vesti di sindacalista, iniziando nel contempo un percorso che lo avrebbe portato poi via via al centro della vita politica italiana ed internazionale, a Roma e a Mosca. Questo cammino, per l'appunto, iniziò a Piacenza, in seno ad una di quelle che allora venivano chiamate le “organizzazioni economiche del proletariato”, le Camere del Lavoro. In tal modo Bombacci veniva a realizzare l'intima convinzione secondo la quale “i maestri socialisti” avrebbero dovuto, tutti, entrare nelle Camere del Lavoro e mescolarsi al proletariato. Ma questo ingresso, questo debutto nel compimento di un profondo convincimento lo pose in immediato contrasto con la maggioranza dei referenti del movimento operaio piacentino che non condividevano la linea gradualista del partito socialista.
Fra coloro che venivano chiamati dai riformisti con l'epiteto di sovversivi va segnalata la presenza di Edmondo Rossoni, vicesegretario della Camera del Lavoro di Piacenza, segretario del sindacato dei lavoratori della terra, il quale dopo essere stato condannato a quattro anni di reclusione per l'incitamento all'odio fra le classi, ed essere fuggito all'estero ed aver aderito negli Stati Uniti alla Federazione socialista italiana di Giacinto Menotti Serrati, divenne dal 1921 in poi uno dei principali punti di riferimento del cosiddetto “sindacalismo integrale”, proprio del movimento corporativo fascista non ancora interamente fagocitato ed affossato dalla burocrazia dello stato-regime (24).
Va detto a questo punto che Zocchi e Rossoni, prima dell'arrivo di Bombacci a Monticelli, avevano guidato al successo, nel piacentino, tre grandi scioperi agrari nell'estate del 1907, rinforzando il prestigio dell'ala sindacalista rivoluzionaria. Dopo questo risultato, in seguito al mancato rispetto di un accordo di lavoro a Parma da parte degli agricoltori locali, viene proclamato a Piacenza da Zocchi e Rossoni uno sciopero generale di solidarietà per una settimana, che Bombacci non approva e stigmatizza sul giornale “Piacenza Nuova” definendo lo sciopero “opera di scalmanati, i quali col predicare la rivoluzione tolgono ai lavoratori la visione netta e precisa delle difficoltà da superare e del cammino da percorrere” (25).
Sciopero, serrata, reazione alla serrata si susseguono in modo incalzante, con l'intervento delle forze dell'ordine e con l'arresto di centinaia di manifestanti e la fuga all'estero, degli stessi Zocchi e Rossoni (26). Bombacci si mosse risolutamente per tentare la riunificazione delle due anime del movimento operaio piacentino proponendosi nei comizi né come rivoluzionario né come riformatore, ma semplicemente come socialista. Il tentativo, a Piacenza, riuscì. La volontà di riunire posizioni antitetiche si riverbererà poi per tutta la vita, e lo porterà negli anni seguenti ad accarezzare anche il sogno d'intrecciare e di riunire in un unico progetto statuale i postulati della rivoluzione sovietica e della rivoluzione fascista (27).
Dopo l'esperienza di Monticelli e di Piacenza Bombacci, dall'ottobre 1909 al primo maggio 1910, si trasferisce a Crema insieme con la famiglia per occupare il posto di segretario della Camera del Lavoro (28). Qui egli si trova ad impattare una realtà economica, sociale e politica diversa da quella che aveva conosciuto per due anni a Monticelli d'Ongina. Qui egli incontra la realtà economica della cascina e di un'agricoltura in cui la produzione lattiero-casearia occupa un posto predominante. Qui deve occuparsi non solo dei braccianti, comunque presenti in tutti i paesi della valle del Po, ma soprattutto degli “obbligati”, di coloro cioè che prestano la propria opera di salariato nella stessa azienda per un periodo determinato. Gli obbligati vivevano nell'azienda agricola accanto alla proprietà. Essi si sentivano attaccati alla terra, a differenza del proletariato delle campagne, i braccianti o i giornalieri. Bombacci avverte la refrattarietà di tale categoria all'organizzazione operaia e contadina. Comunque nell'opinione di Bombacci, tra il 1909 e il 1910, l'avversario più acerrimo alla penetrazione del socialismo nelle campagne del cremasco, non era tanto l'obbligato quanto il piccolo proprietario, un soggetto “quasi proletario” come egli lo definisce (29). (CONTINUA...)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Cfr. Serge Noiret, Massimalismo e crisi dello stato liberale. Nicola Bombacci (1879-1924), Franco Angeli, Milano, 1992, p.105. Sul “socialismo evangelico” di Bombacci e sulla estraneità del marxismo alla tradizione del socialismo delle campagne italiane, cfr. Ibidem, p.25. Sul messaggio socialista in Emilia, “quasi nuovo Vangelo”, cfr. Annamaria Bombacci, Nicola Bombacci rivoluzionario 1910-1921, Santerno Edizioni, Imola, 1983, p.38. “Messianico”, o meglio fra “i messianici della propaganda rivoluzionaria” viene definito lo stesso Bombacci da parte di Piero Gobetti; cfr. P. Gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Cappelli, Bologna, 1924, ried. Giulio Einaudi, Torino, 1964, 5°ed.1972, p.118.
Cfr. Guglielmo Salotti, Nicola Bombacci da Mosca a Salò, Bonacci Editore, Roma, 1986, p.18.
Cfr. Arrigo Petacco, Il comunista in camicia nera. Nicola Bombacci, tra Lenin e Mussolini, Mondadori, Milano, 1° ed. le Scie, 1996, 1°ed.Oscar, 1997.
Cfr. Guglielmo Salotti, cit., p.205. Dello stesso autore, cfr. pure “Nicola Bombacci”, in Uomini e scelte della RSI. I protagonisti della Repubblica di Mussolini, Bastogi, Foggia, 2000, p.245.
Cfr. A. Petacco, cit., p.222.
Cfr. S.Noiret, cit., p.40.
Cfr. Ibidem, p.41.
Cfr. A. Petacco, cit., p.14.
Cfr. Ibidem, p.15.
Cfr. Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi Ed., 1°ed.1965, ed.succ.1995, p.20.
Cfr. A. Bombacci, cit., p.43.
Cfr. S. Noiret, cit., p.46.
R. De Felice, cit., p.20.
G. Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p.18.
Cfr. Ibidem.
Cfr. A. Bombacci, cit., p.34.
Cfr. Ibidem, p.43.
Cfr. G.Salotti, …da Mosca a Salò, cit., p.18.
Cfr. S.Noiret, cit., p.51.
Cfr. Ibidem, p.54.
Cfr. Ibidem, pp.54 e 55.
Cfr. Ibidem, p.59.
Sulla figura di Carlo Silvestri, cfr. Gloria Gabrielli, Carlo Silvestri socialista, antifascista, mussoliniano, Franco Angeli, Milano, 1992; dell'autrice cfr. pure “Carlo Silvestri”, in AA.VV., Uomini e scelte…, cit., pp.115-128. Sui riferimenti all'ex sindacalista rivoluzionario Walter Mocchi, cfr. G.Salotti, “Nicola Bombacci”, in Uomini e scelte…, cit., pp.237-238 e n, p.239. Su un significativo scritto di Mocchi a Mussolini, in chiave rivoluzionaria, del 27 settembre 1943, cfr. R. De Felice, Mussolini l'alleato.1940-1945. II. La guerra civile.1943-1945, Einaudi, Torino, 1997 e 1998, p.376 n.
Sui particolari rapporti fra Mocchi e Bombacci, cfr. Ibidem, p.540 n. Sui riferimenti a Giuseppe Spinelli, “vecchio sindacalista” e podestà di Milano (prima di diventare ministro della Produzione industriale della R.S.I.), cfr. Giuseppe Pardini, “Angelo Tarchi”, in Uomini e scelte…, cit., pp.143-144. Sull'appartenenza di Spinelli al gruppo di sindacalisti e giornalisti che “nella repubblica fascista operarono per creare le condizioni di un effettivo movimento rivoluzionario, cfr. Giuseppe Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna, 2000, p.305.
(24) Sulla figura di Edmondo Rossoni e sul ”sindacalismo integrale“, cfr. numerosissimi riferimenti in G. Parlato, cit. Così si vedano i numerosi riferimenti a Rossoni in R. De Felice, Mussolini il duce. I. Gli anni del consenso1929-1936, Einaudi, Torino, 1°ed.1974, rist.1996. Cfr. anche AA.VV., Storia Illustrata del Fascismo, Giunti, Firenze, 2000, pp.34 e 35.
(25) Cfr. S. Noiret, cit., p.58.
(26) Cfr. Ibidem, p.59.
(27) Cfr. A. Petacco, cit., p.75 e 79.
(28) Cfr. S. Noiret, cit., p.67.
(29) Cfr. Ibidem.