Con l'editoriale di Mauro Del Bue, direttore della prompoliniana risorta testata socialista La Giustizia (con cui siamo di fatto gemellati) e con i primi liberi interventi di due lettori-corrispondenti, inauguriamo il focus dedicato all'analisi ed alle riflessioni, imposte dal cruciale evento elettorale e, soprattutto, dall'esito delle urne.
la sfida di Trump
Editoriale di Mauro Del Bue
Il giorno dopo l'America si sveglia trumpiana. Il presidente repubblicano (molto a modo suo) ha battuto piuttosto nettamente la sua rivale democratica. Non é stato un testa a testa, come pronosticavano i sondaggi. Trump, sorretto dal contributo essenziale, sia in termini economici (130 milioni di dollari) sia in termini tecnologici (ha avuto due miliardi di visualizzazioni) di Elon Musk, ha vinto piuttosto nettamente prevalendo in tutti gli stati considerati incerti. Intanto Tesla ha fatto un balzo del 13% in borsa (si tratta di miliardi di dollari) e Musk ha abbondantemente già riparato le spese, ma Trump intende attribuirgli un incarico importante nel futuro governo. Al Senato e alla Camera si profila una prevalenza repubblicana e anche nel numero di governatori eletti. L'America ha scelto Trump nonostante la condanna per i 32 capi d'accusa nel caso della pornostar Stormy Daniels, nonostante l'incriminazione con 37 capi di accusa per avere sottratto piani militari, nonostante l'incriminazione per l'assalto a Capitol hill per attentato alla democrazia (78 i capi d'accusa). L'America ha scelto Trump perché la democrazia é in crisi, perché la giustizia é in crisi e anche la coerenza e la logica (che Conte e i Cinque stelle siano stati i primi ad esultare e a congratularsi con lui la dice lunga sul carattere schizofrenico di questo movimento) e che sono soprattutto i temi dell'insoddisfazione popolare e dei ceti medi, della sicurezza, della paura ormai a tenere banco. L'America ha scelto Trump per la seconda volta perché i temi della destra sono divenuti più popolari di quelli della sinistra. Parliamo di immigrazione, di tasse, di dazi, di sviluppo, di sburocratizzazione, di prevalenza, insomma, degli interessi nazionali. Tutto oggi pare mettere in discussione la globalizzazione (dalla nascita e allargamento del Brics alle guerre tra stati) che avrebbe dovuto invece creare una nuova stagione di mondialismo politico. L'Occidente, dall'Europa all'America, sta attraversando una fase di crisi economica (rialzo dell'inflazione e disoccupazione in aumento soprattutto negli Stati uniti, ma anche in Germania e Francia). Trump segnerà una svolta nel rapporto con l'Europa? La politica dei dazi potrebbe mettere in grave difficoltà le esportazioni di un paese come l'Italia in cui esse rappresentano il 40% del Pil. Ora, occorrerebbe più che mai una risposta europea comune, sul piano economico (sulla scia del rapporto Draghi che auspica un muovo eurobond stile recovery), sul piano della politica estera (se Trump manterrà le promesse elettorali, gli impegni finanziari militari americani saranno destinati a diminuire e quelli europei ad aumentare), mentre la sua salvifica missione di pace nelle due principali guerre, quella all'Ucraina e quella in medio oriente, si scontreranno inevitabilmente con le leggi dure della realtà. Lo stesso portavoce del Cremlino, mentre si é augurato che gli Stati uniti contribuiscano a trovare una soluzione al conflitto, ha sottolineato come questo non sarà semplice e non sarà in 24 ore come promesso dal nuovo presidente americano nelle vesti di salvatore dell'umanità. Non credo proprio che tutte le promesse di Trump saranno mantenute. Ci vorrebbe Diabolik. Mi auguro che nell'ordine 1) L'Europa approfitti della sfida di Trump per compiere un passo in avanti decisivo sulla sua unità, mettendo un numero di telefono in quell'agenda di Kissinger che lo stesso non trovava. Viceversa dialogare paese per paese con Trump equivarrebbe a segnare la fine del sogno di Filippo Turati, di Alcide De Gasperi, di Altiero Spinelli, di Ernesto Rossi e di Eugenio Colorni. 2) Nelle vesti di pacificatore con la bacchetta magica il presidente americano non si dimentichi i diritti dei popoli all'indipendenza nazionale. Di quello ucraino che combatte contro l'aggressione di Putin, di quello israeliano che combatte contro chi lo vuole estinguere e cacciare, di quello palestinese che giustamente propugna il bisogno di avere una patria 3) Che gli Stati uniti possano ancora sposare le lotte per la libertà. Ad un tempo, certo, non possono essere accusati di intrusione negli affari di mezzo mondo e poi, anche, di occuparsi solo di loro stessi. O di infiltrarsi negli affari del mondo solo in relazione ai loro stessi interessi. No, non é quest'ultima l'immagine dell'America uscita dai due conflitti mondiali del novecento e non é nemmeno quella che mette a fuoco il Vietnam o fugge indecorosamente dall'Afghanistan. 4) Che l'Occidente tutto, soprattutto l'Europa, e in particolare l'Italia, rispondano alla crisi democratica non certo accedendo al nuovo modello di democrazia illiberale decantato da Orban e da Putin e preso a modello da Trump. L'America, patria della moderna democrazia, dispone di tali e tanti contrappesi che una svolta illiberale non é nemmeno pensabile. Ma l'Occidente tutto, a fronte dell'attacco al modello liberaldemocratico, ha non solo il dovere di vantarne la superiorità storica, ma la necessità di dimostrarla nell'attualità, affinché le democrazie non siano di intralcio allo sviluppo e alla modernizzazione. Non serve l'uomo forte, né l'autocrazia o l'autoritarismo, serve la democrazia decidente. Il governo forte. Le riflessioni sul futuro della democrazia siano al centro del pensiero europeo e italiano, affinché una nuova e più solida democrazia sia pronta ad affrontare e vincere le pericolose sfide del presente e del futuro.
Lettere a l'ECO
Sono molto delusa e amareggiata…
Fino a ieri sera tifavo per Kamala Harris e dato che i sondaggi davano un pareggio, speravo nella vittoria dei democratici. Oggi mi preoccupa Donald Trump di nuovo alla Casa Bianca. Le sue politiche saranno vantaggiose solo per gli americani più abbienti, gli USA diventeranno i primi "padroni del mondo", come è nel loro DNA, e saranno odiati per questo. Mi chiedo come gli immigrati regolari, i più fragili, le minoranze etniche abbiano ascoltato i deliri di Trump e tutte le fake news che ha propinato loro in campagna elettorale. Meloni, che ha legami con il mondo di Trump, vedrà la sua vittoria come una manna, perché spera di avere un ruolo di primo piano nei rapporti tra Stati Uniti e Unione Europea. Viviamo in un mondo privo di ideali, ricco invece di violenza e con pochi intellettuali autorevoli che fanno luce su percorsi politici improntati solo sul potere personale e non sul Bene comune, come dovrebbe essere.
C.L., 6 novembre 2024, Vicenza
Molto molto sconcerto…
Caro direttore, nell'apprendere una nuova elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. La colorita avversione all'accoglienza dei “migranti” in cerca di aiuto, definendoli mangiatori di cani, gatti e altre piacevolezze deleterie per il buon vivere americano non hanno scandalizzato anzi hanno portato ancora più voti. Le folle oceaniche presenti ai comizi dei due candidati fanno paura. Remember??! Ricordo il trentennale tra le due guerre mondiali, ancor meno democrazia ma stessi risultati, con mancanza di coraggio e illusione che quanto caduto dall'alto si potesse realizzare. Trump mi fa paura. Tutta la destra mi fa paura anche qui a casa nostra. Non tanto per i ministri incapaci che peggiorano la situazione meloniana, ma per l'incapacità della sinistra di fare opposizione si, ma senza rilevanti risultati perché incapace di aggregarsi significativamente. C'è sconcerto e l'incaponirsi nel difendere i migranti quando televisione e mass media fanno a gara per trasmettere cattive notizie sul loro comportamento lascia perplessi. Botta e risposta, ma a chi credere? Chi può essere capace di risollevare il nostro Paese in modo corretto con tendenza ad aiutare i più deboli? Tante donne al di là dell'oceano non hanno capito quanto hanno lasciato sul piatto, come in Italia non si fa fronte comune per evitare per esempio che la sanità pubblica venga cancellata da quella privata.
A livello mondiale conosceremo presto le manovre di Trump, con difesa e plusvalenza del dollaro a danno delle altre economie, dalla Cina all'Europa, all'Italia. Arriveranno tempi ancor più duri? Certamente, ma sempre a danno dei ceti più poveri. E resteranno sempre più poveri dato che il vil denaro, la santa ignoranza prevalgono sulla giustizia e scelte più democratiche.
Sono delusa, molto molto delusa e penso al futuro delle nuove generazioni. Così, a caldo, nell'apprendere la vittoria del magnate. Un pagliaccio a servizio di chi più ha, in primis di sé stesso
Un cordiale saluto, caro direttore, AD MAIORA.
“Il tycoon puntava su uomini e latinos, Kamala sulle donne”
Già… questo è stato uno dei titoli dei primi commenti alla transizione dai sondaggi-previsioni che stavano diventando fattualità.
Il mosaico delle tante previsioni che da "incollate" si sono trasformate in una valanga. D'acchito e prendendo spunto da un'ultima esternazione di Kamala (a d r "Trump è fascista?"). Condividiamo la risposta: Yes. Forse non in totale aderenza etimologica e storica. Pienamente, però, nella sostanza e nella conformità del modello: sovranismo, populismo, democratura, suprematismo. Il risultato sancisce il tramonto difficilmente del modello "dem". Sia del format strategico del riformismo libdem con venature di equità sociale sia della persistenza del modello "militante" a maglie larghe (nell'intento di catalizzare l'interclassismo). Che si è sempre più rivelato incongruo a rappresentare una mediazione spendibile sia nella narrazione politico-elettorale sia nell'azione concreta di governo. Questa è la vera connotazione del "paesaggio" americano. A valere sul villaggio globale, specie quello del quadrante occidentale, che, soprattutto a partire dal ciclo della fine della storia, della politica liquida, dei partiti leggeri, si è uniformata ai canoni Democrats. Alla cui revisione autocritica dovranno uniformarsi se non vogliono seguirli nel default di autorevolezza del modello e di non competitività. Concludendo, da oggi il portatore di capigliatura color zucca (fradicia), da oggi ed a pieno titolo, assume la veste di capo dell'Internazionale sovranista/suprematista.
Il risentimento planetario cova ormai diffusamente in pancia ad un modello incapace di ristabilire un equilibrio sociale sulla cui non sostenibilità si va sedimentando un accumulo di rabbia. A questo punto non v'è chi non veda l'ineludibilità del gesto di mettersi seriamente ai remi.
Il "tonfo" ha molte mamme. La prima: l'inadeguatezza dei portatori planetari di democrazia sociale di dare un serio costrutto teorico alla mutevolezza degli scenari. Seguiamo con molto interesse le vicende politiche USA. A partire dal ciclo kennediano. Stavolta l'aggregato progressista imperniato nella testimonianza dei Democrats sembra, se non alla frutta, in vistosa panne. Soprattutto, a livello di percezione del sentiment generale e di quello della propria specifica costituency. A spanne, avevamo scritto così 8 e 4 anni fa. A riprova (di una preveggenza che non avremmo voluto) riprendiamo integralmente il commento ai risultati del 2020.
E N.B.: scritto quattro anni fa
Da oggi il mondo è un posto migliore
Già, lo diciamo anche a beneficio dei supporters della parte avversa, dei negazionisti, degli scettici e degli indifferenti, immaginiamo cosa sarebbe stato degli USA (e del mondo) se il 3 novembre le urne avessero malauguratamente dato un risultato invertito.
Della tardiva consapevolezza del pericolo devastante per la stabilità dell'entità leader e riferimento del modello liberaldemocratico c'è riscontro nel sondaggio del gradimento del competitor sconfitto.
Che, speriamo, rientrerà nell'ombra dal cono di luce in cui per cinque anni ha proiettato un messaggio potenzialmente destabilizzante a livello globale.
Con l'insediamento di Biden (Joe sleepy, l'aveva irriguardosamente canzonato per quella sua innata pacatezza) nella pienezza dei poteri, gli USA rientrano tendenzialmente in contesti meno mossi e meno esposti a discontinuità (fatte temere dall'assalto eversivo ai palazzi legislativi) drammatiche e sconvolgenti.
Con loro, pur nella permanenza di scenari fortemente critici, mondo è un posto migliore.
Percezione e consapevolezza nutrite dalla vasta corrente di pensiero di coloro che, senza far mancare le dovute critiche e denunce, non hanno mai smesso di guardare con simpatia al “nuovo mondo”.
Verso cui tre secoli fa confluirono le sensibilità del “vecchio mondo”, a disagio coi conservatorismi, orientarono oltre atlantico l'auspicio di trapiantare le frustrazioni e gli impedimenti del rinnovamento delle religioni, della cultura, della politica.
Già, ci sono stati il Vietnam, il tallone della repressione sul quel back yard del sub-continente, la segregazione razziale. Ma andrebbe anche ricordato che, senza gli USA, l'Europa sarebbe precipitata, all'inizio del 900, nella spirale di dominio dell'autoritarismo degli Imperi Centrali e, negli anni Quaranta, nella totale sottomissione al nazismo.
Con tutte le claudicanze e le falle la federazione stelle e a strisce permane un imprescindibile punto di riferimento; soprattutto, per un'entità in grave sofferenza, qual è l'Europa, che, in aggiunta all'instabilità indotta da un'incontrollata globalizzazione, è tuttora alle prese con tendenze disgregative.
Nella riaffermazione della piena autonomia di visioni e di scelte, non v'è chi non veda la possibilità che riprenda, anche più intensamente di prima, una feconda partnership tra le due sponde atlantiche. Di cui trarrà sicuramente vantaggio la stabilità del mondo intero.
Sono questi gli auspici che ci sentiamo di trarre dall'insediamento del Presidente eletto. Evento simbolico che, grazie alle preziose e puntuali corrispondenze di Luigi Cazzaniga ed al supporto redazionale di Roberta Tosetti, penetrerà agevolmente nelle nostre percezioni. Che si avvarranno dalla visione della Gallery iconografica giunta con le riprese di Cazzaniga e postata a corredo di questo articolo.
Alle belle immagini del nostro apprezzato corrispondente ci permettiamo aggiungere una foto “imbucata”.
La piratiamo dalla stampa quotidiana. Riguarda un player percepito, nelle sensibilità più benevole, come marginale, più che un attore non protagonista, quasi una comparsa, forse un caratterista.
Un profilo che Bernard Sanders, il vecchio Bernie socialista, battitore libero delle battaglie di emancipazione civile e sociale, sempre indipendente e sempre senza reti o paracadute dei grandi partiti di raccolta, sempre eletto nel seggio parlamentare senza i sussidi che non fossero le micro donazioni popolari, si è cucito addosso da sé.
Lo dimostra la dimessa immagine ripresa della sua partecipazione, molto defilata e assolutamente sotto gli standards di chi vuole apparire. Che lo consegna alla fattispecie di uno capitato per caso ad un evento dal grande valore simbolico rassicurante.
Bernie seduto in disparte, con un look al limite dell'assimilazione se non proprio ad un homeless, sicuramente ad un under dog, un neanche ospite sia del giuramento sia dei percorsi politici successivi.
In realtà il Senatore del Vermont, socialista, qualifica che negli USA retrogradi è sentenza quasi più severa di ciò che è diventata in Italia dalla seconda repubblica in poi, andrebbe sottratto, per ragioni di giustizia e di verità oltre che di vantaggio per quella sinistra plurale che sono i democrats, da quella marginalità.
Per una serie di motivi. Il primo dei quali è l'incontrovertibile merito del peso che ha avuto la sua testimonianza (a partire dalle primarie) nel risultato delle Presidential Elections del tre novembre 2020, in cui il democrat party, Biden e la democrazia americana hanno arrischiato il collo.
Come si ricorderà, non fu così con Hillary; nei confronti della cui candidatura l'ala socialista operò una specie di deterrenza che non poco, al di là delle intenzioni, favorì il campione del sovranismo mondiale.
Consapevole dei pericoli insiti in una situazione ai limiti dell'involuzione autoritaria la sinistra democratica (che quando vien comodo viene definita radicale), di Sanders e dell'ambiente a lui vicino ha operato, senza dar fiato alle trombe ed il rullo dei tamburi), in modo fattivo alla chiamata al voto delle fasce giovanili, dei blu collars, dei disagiati ed emarginati e, soprattutto, delle donne (il vero valore aggiunto).
Il secondo dei motivi, che militano a favore di un richiamo a funzioni di corresponsabilità, riguarda il vantaggio della metabolizzazione della testimonianza di Sanders e dei socialisti USA nei meccanismi dialettici e nella formazione delle decisioni.
Senza di che “la mano” determinante della sinistra democrat rientrerebbe un po' nell'ombra e nell'irrilevanza; subissata dalle ragioni di real politik che fanno premio sulla priorità di un'immagine del Partito Democratico e del Presidente eletto di piena ed esclusiva appartenenza all'establishment.
Sarebbe lo stesso errore esiziale che quattro anni fa destabilizzò la “scontata” candidatura dell'ex first sciura Clinton, aprendo le porte della vittoria all'antagonista e di una fase a dir poco drammatica del quadriennio successivo.
Il profilo della testimonianza socialista va assolutamente integrato nel parterre delle appartenenze e del diritto di tribuna e di codecisione. L'indotto della globalizzazione ha travolto certezze per troppi anni granitiche, che si sono rivelate erronee.
Anche gli USA, per uscire dalle criticità e per avviare una fase di rilancio su basi aderenti ad un modello di coesione sociale fatto di nuovi e maggiori diritti e di condizioni di vita più giuste, devono introitare nelle analisi e nell'azione di governo un segmento che per troppo tempo è stato un buco nero.
Ma, per concludere, il percorso, remoto e recente, di Sanders ha un valore simbolico e sostanziale anche per l'Italia; dove l'omologo Partito Democratico si rivela ancor più malmesso. Se è vero come è vero che, tanto per voler fare il verso ai Democrats d'oltreatlantico, si è privato totalmente di una accettabile teoria di trasformazione della società e si è spiaggiato letteralmente a livello di rappresentanza delle istanze di rinnovamento e di maggiore giustizia sociale.
La rivisitazione della testimonianza e del ruolo della sinistra liberal e socialista americana è da percepire anche come metafora delle dinamiche e delle potenzialità nei contesti domestici.
In cui appare evidente l'arretratezza della nomenklatura autoreferenziale di un PD che, pur in qualche modo rivendicando le radici della preesistenza post-comunista, ha completamento reciso qualsiasi rapporto teorico e di rappresentanza coi suoi bacini naturali, sociali, ideali e culturali.
Fino a divenire un aggregato di autoreferenzialità disgiunte da quella che dovrebbe essere la mission. Ed in cui la qualificazione “socialista” non è di casa, anzi è stata recisamente espunta dal quadro delle opzioni teoriche.