La pubblicazione, l'altro ieri, della testimonianza di Luigi Lipara ha contribuito significativamente ad aprire un intenso e vivace dibattito sull'interpretazione della sentenza e sui contenuti sottostanti. Non solo non ci sottraiamo ai doveri di una testata “dialettica” come la nostra, ma, pubblicando tutte le testimonianze ricevute, facciamo voti perché il confronto continui.
Qui diamo spazio a due nostre lettrici e corrispondenti affezionate.
Anch'io tifo per il sindaco di Riace Lucano, mi chiedo in che mani siamo? Una persona che si è adoperata per l 'inclusione e ha creato sul territorio un clima di accoglienza per gli immigrati viene condannato in base ad una legge ingiusta ed a varie pastoie politiche che premiano i disonesti senza umanità.
C.L. Vicenza, 2 ottobre 2021
ABUSO DI UMANITÀ
Caro Direttore, nel modello dell'accoglienza di Mimmo Lucano, immigrati e abitanti erano stati organizzati per seguire un lavoro, combattere la disoccupazione, far rinascere quel paesino. Non credo che qualcun altro vi sia riuscito. Anzi, dove si era venuto a creare un buon clima in campo d'accoglienza, Salvini ha annullato il lavoro di tanti volontari, inviando alcuni in altri campi o lasciandoli andare allo sbando. Ricordo una mamma con bambina che aveva trovato un piccolo lavoro e la figlia inserita nella scuola siano state spedite se non erro sino in Puglia. Poi ci lamentiamo se creano problemi o non si adeguano alle esigenze della nostra comunità.
Anni fa presso Silvi Marina abbiamo conosciuto un giovane senegalese che vendeva la sua merce in spiaggia. Anno dopo anno si apriva con noi, così ci confidò quanto fossero sfruttati da chi affidava loro la merce se non avevano subito i soldi per ritirarla. Un anno mi chiese 500.000 lire a maggio promettendo di rendermene a fine giugno quando scendevo in vacanza. Glieli feci dare dal proprietario dell'hotel su mia responsabilità. Come arrivavo saldavo il suo debito, ma lui prima che ripartissi mi restituiva l'intera somma. Gli ultimi anni metà a giugno e metà a settembre. Poi ho smesso perché aveva imparato a lasciare in banca a Pescara una parte del guadagno stagionale prima di tornare per qualche mese in Senegal. Ancora adesso mi telefona e si informa sulla mia salute. Non mi chiede più nulla, ma mi parla della moglie, dei figli come fossi più che un'amica. Ho conosciuto anche i suoi cugini. Il più giovane mi salutava dicendo: tutto il Senegal sa cosa ha fatto Clara per Omar.
Ho rischiato di perdere una buona somma di denaro dandola in prestito ad un amico collega cremonese, ma mai da Omar.
Clara Rossini – Cremona 2 ottobre 2021
Flussi: afflati umanitari e sostenibilità
Se cominciamo dal chi più ne ha più ne metta dei titoli di commento (Giuliano Pisapia, il legale di Mimmo Lucano: “Sentenza molto ingiusta, il suo obiettivo era salvare vite; Una sentenza lunare e una condanna esorbitante; amaro Lucano, possiamo tranquillamente dire che 13 anni e 2 mesi sono un'enormità) possiamo anche giustificare una certa non irriguardosa forzatura del supporto grafico (la pecora al seguito degli ultimi sbarchi) della nostra riflessione.
Con cui vogliamo stemperare una intollerabile pressione dialettica e mediatica che non solo non porterà da nessuna parte dal punto di vista ermeneutico del caso ma che arrischia di accumulare legna sul tradizionale falò delle questioni sistemiche divisive.
Diciamo subito una cosa, nell'attesa di conoscere doverosamente i contenuti della sentenza. Parrebbe che Lucano non sia stato condannato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Fatto questo che, a prescindere dalla non inutilità di approfondire l'argomento del favoreggiamento a fin di bene, non giustificherebbe l'embrasson nous derivante da una sentenza che commuove molto e che, come anticipato poco sopra, molte fascine accumula sul fuoco di una decente interpretazione dei fatti, oggetto di indagini, processo e sentenza e delle tematiche correlate.
Quindi, se non esiste il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, non si giustifica che si traggano dalla sentenza motivi per assolvere l'imputato sul versante di reati che, pur avendo correlazioni, sono “comuni”.
Il fatto che il condannato abbia agito a fin di bene (come dice lui e come milioni di cittadini sono convinti), non muta la natura dell'impianto accusatorio.
Ci sono altri due gradi di giudizio. Se il giudice ha sbagliato, ci sarà modo di rimediare.
Nel frattempo sarebbe opportuno non tirare per i capelli, per evidenti scopi strumentali, criticità latenti, mai sopite, permanentemente pronte a far deflagrare un confronto, che, invece, per l'importanza della materia, dovrebbe indurre se non alla coesione almeno alla fattualità, al senso di misura, all'etica civile.
Resta il fatto che il nocciolo degli addebiti, sottoposti al vaglio investigativo, al dibattimento e a sentenza, non è esattamente di rilievo bagatellare e non può minimamente approdare alla benevolenza di testimonianze postume assolutorie.
Neanche se si continuerà ad insistere nell'agitare la questione del “diritto” migratorio.
Che è stato tenuto in tensione per almeno un quarto di secolo (dalla lungimirante legge Martelli, per intenderci) e che, al contrario dovrebbe essere affrontato virtuosamente all'interno di una visione capace di declinare l'indotto migratorio con le precondizioni danti causa come conseguenza di una globalizzazione incontrollata.
L'impulso e l'aspettativa spirito prevalenti nell'impulso che muove i migranti affonda le radici nella volontà di partecipare al bengodi, alla “riffa” del benessere in atto nella prima sponda dirimpettaia della quarta sponda mediterranea.
Assolutamente vero che esiste una cospicua aliquota di migranti che fuggono da contesti i cui diritti civili sono inesistenti o conculcati. Ma tale fattispecie deve essere oggetto di selezione mirata e di metabolizzazione nei contesti occidentali, non affidata al fai da te dei partenti e all'amorevole “assistenza” dell'illegalità. Nel raggiungimento della sponda amica e nella gestione dell'accoglienza.
Ci rendiamo ben conto di fornire alla sinistra immigrazioni sta assist per la interminabile discesa a goal nei confronti di chi (diversamente dal diffuso coté razzista sovranista) non si sottrae al dovere basico dell'accoglienza, ma pone la medesima in una luce di razionalità e di sostenibilità.
Come devono essere affrontate le questioni molto delicate
Partendo dall'imperativo di non girare la testa dall'altra parte all'evidenza della massa critica, ma declinando anche lucidamente le correlazioni con la praticabilità ed il portato della gestione.
Ad iniziare dalla sostenibilità demografica e dell'impianto delle risorse disponibili.
Il che, se da un lato non induce ad assolvere il modello “a fin di bene” degli atti oggetto della condanna e della pratica diffusa dell'aggregato di interessi e di aspettative autoctone movimentati, dall'altro, reclama sempre più approdi che non sfuggano per la tangente. (e.v.)