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REFERENDUM 2020-3

La banalità dell’inconsapevolezza

  31/08/2020

Di Editoriale

REFERENDUM+2020-3

Se non proprio nella dirittura finale, metafora sportiva poco acconcia per un confronto dialettico che non si può esattamente definire una delle pagine più luminose dei 70 anni di storia repubblicana, siamo effettivamente alle (balbettanti) battute finali in vista del verdetto popolare sulla legge del “taglio”.

A prevalente supporto della decisione c'è la sola (per quanto strombazzata) motivazione sulla riduzione dei costi della politica. Un risultato questo che, per quanto con un certo rallentamento nelle suggestioni populiste sempre a portata di mano di un Paese da tale punto di vista “infiammabile” sta dimostrando un certo appealing e che più facilmente si sarebbe potuta ottenere ridimensionando le indennità dei parlamentari e l'eliminazione dei loro privilegi (ovviamente se questo fosse stato il motivo sincero, giustificato e non curante di effetti collaterali perniciosi). Effetti collaterali, probabilmente rimasti inconsiderati nelle analisi e nei calcoli probabilistici di un ceto politico, nel cui profilo la sagacia ed il senso della precauzionalità non costituiscono, non si sa se per deficit di cultura politica ovvero di responsabilità civica. Ripetiamo, inconsiderati, ma non meno improbabili rispetto ai futuri accadimenti.

Un parlamento preoccupatissimo solo di non andare alle urne, ha votato con una maggioranza bulgara la riduzione del numero dei parlamentari. Dio non voglia che presto o tardi; come quasi sicuramente accadrà, nonostante l'affannamento dell'ultima ora dei medici pietosi attorno ad un tavolo operatorio allestito non si sa se per contenere i danni o se per piallare, in chiave di voti e di decenza, i picchi di un'offerta francamente scombiccherata.

Per quanto ci risulti difficile addentrarci (e non per un rifiuto ideologico o peggio ancora per spocchia snobistica) nelle logiche teorico-pratiche degli attuali contesti politico parlamentari, proveremo a bere l'amaro calice. Magari attingendo da contributi di valore, come le recenti riflessioni del politologo ed opinionista del Corsera, Galli della Loggia. Il quale osserva: “Il taglio del numero dei parlamentari non è sbagliato, ma non risolve senza una riforma che generale che superi il bi parlamentarismo perfetto e garantisca attraverso l'elezione gli eletti agli elettori. Abbiamo solo noi un sistema politico così paralizzato e paralizzante e una classe politica composta in misura altrettanto ampia - con le dovute eccezioni di assolute mediocrità prive di conoscenze e di idee, non quelle quattro formulette che servono per le filastrocche da recitare in tv. Servono a nascondere il vuoto di idee da parte di chi governando il Paese qualche idea dovrebbe pur averla”.

La riduzione del numero dei parlamentari è stata per molto tempo il leitmotiv del confronto politico-istituzionale. In capo, ovviamente, ai depositari di “sensibilità”, più portate ad assecondare le aspettative aleggianti nel latente spirito populista, che non le logiche stringenti di una visione complessiva del funzionamento dell'ordinamento costituzionale. Ridurre il numero degli eletti, se in qualche misura può, come abbiamo anticipato, rispondere ad un'esigenza di efficientamento del sistema legislativo, comporta un'ineludibile necessità intervenire contestualmente a rimodulare i meccanismi inevitabilmente correlati ed interessati dalla correzione numerica.

Che non possono non riguardare l'adeguamento del sistema elettorale, la ridefinizione dei collegi e delle circoscrizioni in modo da evitare la penalizzazione della rappresentanza territoriale, una profonda reimpostazione dei regolamenti, la correzione dei criteri di partecipazione delle Regioni all'elezione del Capo dello Stato.

Una scansione questa che si fa carico solo dello stretto segmento tecnico dei meccanismi elettivi e della funzionalità dello strumento legislativo. Ma che non prova neanche da lontano a correlare questo profilo, importante ma limitato, al più ampio fabbisogno di ridefinizione dell'intero ordinamento. 

Bisognerebbe doverosamente rilevare che la buona prova del modello tedesco non risiede unicamente nell'istituto della sfiducia costruttiva, utile, in quel sistema, ad evitare sfiducie non costruttive, foriere di endemici stati di instabilità.

Il modello tedesco è appunto un modello organico, coerentemente strutturato secondo l'intelaiatura federale. Che, articolato in pesi e contrappesi ed attribuzioni e funzioni ben bilanciate ed accettate tra potere centrale e potere periferico (i Länder, alias le regioni prive di funzioni nitide e non concorrenti), è stato egregiamente collaudato da oltre sessant'anni. Il proporzionale alla tedesca ha funzionato altrettanto bene, in ragione dell'esistenza di campi di raccolta elettorale sufficientemente consistenti e funzionali al contrasto della frammentazione.

Ci addolorano le inconsapevolezze in capo alle reali potenzialità destabilizzanti guidate dalla classica ed inopportuna mano pesante nel negozio di cristalleria. Perché tale è la struttura costituzionale; fatta, soprattutto per grande lungimiranza dei costituenti, di consequenzialità. Per cui nessun singolo meccanismo (specie se appartenente all'aggregato principe che è la funzione legislativa) prescinde dal resto. Ma ci imbarazza la metrica di confronto quasi ricattatoria, appartenente ai due campi contrapposti, che è figlia dell'imbarbarimento dei costumi civili e della testimonianza politica.

La pellicola di questa “campagna” referendaria, già depistata dalla scelta dell'inscatolamento in un election day, obbligata dalle circostanze pandemiche ma non di meno perniciosa per la chiarezza e per le percezioni del copro elettorale, ricalca gli schemi delle storiche propensioni a sfuggire al nocciolo dei problemi e a buttarla in rissa.

(Altan L’Espresso 2016)
(Altan L'Espresso 2016)

Per di più, si profilano, in dirittura d'arrivo del pronunciamento tecnico del corpo elettorale, un intollerabile combinato disposto tra l'ormai evidente insostenibile baggianata populistica e una prevalente sollecitudine ad evitare che qualche schizzo cada sui fragili equilibri di questa strampalata “maggioranza”. Soprattutto, sul suo asse portante rappresentato da un PD, ormai irreversibilmente imbullonato nella mission ministerialistica.

Che fu per 50 anni prerogativa della “balena bianca” (la quale, però, non difettava né di ben altro stile né di ben altri statisti).

Se ci è sentita una digressione in proposito, segnaliamo che una siffatta sollecitudine governativista non può non rivelare analogie con le logiche dell'aforisma di Giulio Andreotti: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.

In cui sono evidenti i perni di un tatticismo, sul cui altare il centro-sinistra sembra sacrificare la capacità dell'Italia di prendere in mano il proprio destino e, con essa, le residue chances della sinistra di guidare un serio processo riformista (di cui l'efficientamento della vita istituzionale è la parte più importante).

Nel campo del NO albergano sia le titubanze tipiche di una cultura emula dell'idiosincrasia dei Bertoldo nella scelta dell'albero cui farsi impiccare (in questo caso relativa ad un dovere meno reticente di  declaratoria in materia di riforma istituzionale sia le incontrollabili pulsioni di intangibilità della “Costituzione più bella del mondo”, avvinghiate all'irresistibile replica di quella cinghia di trasmissione, che, nel 2016, partì dall'avversione alla riforma Renzi (ma, in realtà, a Renzi).

Di cui sono segnalatore ed implacabile conferma il recupero/riproposizione dall'armamentario antiriformista delle parole d'ordine del passato (dalla legge truffa del 1953, alla Grande Riforma del progetto socialista, alle Bicamerali).

Non occorre scomodare il luminol per rilevarne le tracce e le impronte digitali degli operatori del “tutto dov'è e com'è” di un ordinamento repubblicano, di grande tensione etico morale, di stratosferici richiami, ma, almeno dal punto di vista strumentale, agé e, forse, controproducente sul terreno di un'inefficienza prodromo di una svalorizzazione. 

Per le considerazioni appena sviluppate, la nostra testata, diversamente dal referendum del 2016, si asterrà da una linea editoriale di tipo “interventista”.

Pur restando in partita, sul terreno di un contributo di approfondimento e di divulgazione degli interventi che ci perverranno.

Anche se ci verrebbe voglia di buttare la palla sugli spalti.

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