Si può azzardare che forse la fase preparatoria della filiera elettorale è sembrata fin qui, se non proprio in ritardo rispetto ai tempi “comodi” del passato, certamente molto a ridosso delle scadenze; per quanto si riferisce alla definizione delle alleanze, alla presentazione dei programmi, alla scelta delle teste di serie del futuro consesso istituzionale, alla formulazione delle liste, al disbrigo degli adempimenti a carico dei players.
Fino ad ora ci si era limitati, soprattutto da parte dell'informazione, a congetture ed interpretazioni, risultate, alla luce delle progressioni, effettivamente sensate.
Probabilmente, anche la dolorosa circostanza della prematura scomparsa di Fulvio Pesenti, per un lungo periodo (pur senza detenere effettivi poteri amministrativi) protagonista della vita politico-istituzionale locale, ha avuto qualche parte in uno snodo che solo nelle ultime ore sembra aver preso movimento.
Già nell'ultimo trimestre del 2015 la stampa aveva analizzato le conseguenze stabilite sugli equilibri politici dall'uscita di scena di un protagonista, che, senza, si ripete, detenere poteri di governo locale, ne aveva fortemente influenzato gli equilibri.
La cosiddetta “lista Pesenti” o civica che dir si volesse era, all'inizio del 2000, nata come rifiuto di omologazione in sede locale alla logica del bipolarismo e del maggioritario, escogitato dalla seconda repubblica per affermare le proprie convinzioni in materia di semplificazione della vita pubblica.
Se ne stanno vedendo ancora i risultati!
Primi tra essi l'eradicazione dell'associazionismo politico di massa, che aveva per oltre mezzo secolo garantito ampi margini di partecipazione popolare alla vita amministrativa, l'introduzione del personalismo leaderistico e la mestierizzazione della funzione istituzionale (di cui, come diremo nel prosieguo di questa analisi, si avvertono i segni anche nel presente scenario locale).
Ma, come sarebbe stato ben prevedibile, ad opporsi alla omologazione nei nuovi format del potere politico, articolato negli schematismi del centro-destra e del centro-sinistra, sarebbe stata, anche a Pizzighettone, una élite di coerenti, in gran parte provenienti dalle fila dell'elettorato socialista come da quello democristiano o dall'ambiente indistinto della testimonianza civica senza etichette.
Una élite di massa, si potrebbe osare con un'espressione ossimorica; visto che, con consensi ottenuti a colpo di centinaia di suffragi, avrebbe determinato destini in contrasto con le ineluttabili certezze di un centro-sinistra, mai capace di raggiungere la maggioranza assoluta e, per ben due volte, neanche quella relativa.
Dopo il ciclo, immediatamente successivo al cambio di passo della transizione (le giunte “anomale” DC-PCI a guida Bardelli e Battaglino) e della definitiva adozione del “maggioritario” (giunta Barili), l'equivalente consistenza dei campi contrapposti (destra/sinistra) non avrebbe mai raggiunto l'autosufficienza e sarebbe stata fortemente condizionata dal fattore Pesenti. Che, quando non si presentò come gesto di disponibilità a sondare la praticabilità di una prospettiva di alleanza veramente di centro-sinistra, diede luogo all'elezione della Giunta Bernocchi. E, quando invece scese in campo per due volte, contribuì all'elezione delle Giunte Ventura e Bianchi (unica “prima cittadina” in 70 anni!).
Cosa si può (e si deve) concludere sul punto, specie in uno scenario in cui todos caballeros si scoprono civici? Che la “lista Pesenti” civica lo è sempre stata. Ha cercato il dialogo con il campo di centro-sinistra, per ragioni di maggior affinità di storia politica. Ma, respinta per beceri pregiudizi ed innominabili calcoli di retrobottega, non si è mai attestata su una testimonianza preconcetta contro la giunta e non si è mai chiusa ad un rapporto costruttivo nei confronti del gruppo di centro-sinistra.
Poi, si sa, i destini della politica sono spesso scanditi dagli uomini.
E l'uomo della “lista Pesenti”, Fulvio appunto, era ritornato, dopo l'iniziale rodaggio di amministratore comunale a Pizzighettone di mezzo secolo fa, di nuovo alla testimonianza civile a seguito dell'esaurimento (ma non del tutto) dell'esperienza sindacale, con un profilo personale incardinato solo dalla volontà di fare del bene alla sua comunità, attingendo dalla lunga esperienza.
Senza indulgere a rapporti opachi, avrebbe collaborato, evitando sempre linee preconcette di opposizione, sui temi che gli erano più congeniali. E che avevano come epicentro la consapevolezza del declino del paese e l'esigenza di un suo forte rilancio.
Come si vede un rapporto virtuoso, assolutamente incompatibile con le percezioni e gli approcci, da parte di una politica ormai inqualificabile, ad un election day; che pure, in teoria, potrebbe segnare una tappa edificante nello sforzo di rinnovamento del Paese.
Ma tant'è, anche le elezioni amministrative di inizio giugno si stanno distinguendo come occasione di sfogo di tutta la carica antigovernativa esistente in un Paese, portato ad attribuire a questo governo colpe che vengono da lontano.
In cui gioca una parte significativa la propensione di una certa sinistra ad esercitare l'incoercibile propensione a gloriose sconfitte.
Non potrà mai essere la nostra sinistra, come non fu mai la sinistra di Fulvio Pesenti.
Se si voleva ricordare ed attualizzare la sua testimonianza era difficile, per coloro che l'hanno condivisa, era assolutamente impossibile distanziarsi dall'abbrivio al confronto elettorale, pronunciato da un esponente della lista civica “Abbiamo sempre cercato di comportarci in modo serio e costruttivo. Da lì nasce l'idea di provare a lavorare insieme e di presentarci uniti alle prossime elezioni”.
In cui, contestualmente alla riaffermazione del ripudio di quello che per molti è un insopprimibile impulso a votare sempre contro e a fare del confronto dialettico unicamente l'occasione per uno spoil system di mero potere, ci sono, alla base, consapevolezze ineludibili, per coloro che fanno della buona politica unicamente un servizio utile alla comunità.
Ha un peso determinante in questa opzione etica anche il portato di una tradizione che vede l'elettorato pizzighettonese orientato in senso non prevalente od egemone.
Se guardiamo alle sette decadi trascorse, ci accorgiamo che, al primo mandato amministrativo completo (dopo la breve parentesi della sindacatura di nomina CLN del socialista Giovanni Azzali) affidato al primo Sindaco socialista elettivo ing. Giuseppe Sini, si sarebbe incardinata un'alternanza tra il campo democristiano (Cerioli, Rebecchi, Brunati) e quello socialista che con gli undici anni di Sindacatura del prof. Giusto Corbani sarebbe tornato al governo comunale, sulla base della collaborazione in alcuni casi con la DC ed in altri con il PCI e PSDI.
Con il che vogliamo sostenere che, a prescindere dai forti rimandi alle appartenenze nazionali, le forze politiche locali seppero sempre far prevalere il realismo e le ragioni del superiore interesse del buon governo comunale.
Peraltro, aggiungiamo che, a parer nostro, gli scenari della cittadina rivierasca appaiono profondamente mutati, rispetto ai decenni addietro.
Per oltre mezzo secolo il potere politico comunale esprimeva la cifra di una comunità fortemente pervasa dalle logiche e dalla consapevolezza della “fabbrica-paese” per eccellenza. In cui il profilo amministrativo era prevalentemente orientato ad assicurare strutture civili e diffusi servizi sociali ed educativi all'interno di una cultura equitativa, tra abbienti (da lavoro) e svantaggiati.
Ma come tutte le belle favole, anche quello scenario idilliaco sarebbe tramontato.
Rendersene conto, ma continuando ad amministrare secondo i canoni di un contesto che non esiste più, è assolutamente da irresponsabili, votati a fare del male alla propria comunità.
Pizzighettone sta completando la propria de-industrializzazione; non ha neanche iniziato almeno un tentativo di terziarizzazione; vive prevalentemente dell'indotto di decine di pendolari e del gettito delle buone pensioni calcolate dalla riforma previdenziale di metà anni sessanta (a quell'epoca definita dal PCI e dalla CGIL riforma contraria agli interessi dei lavoratori). Soprattutto, Pizzighettone perde e perderà popolazione e sarà sempre più marginale rispetto a qualsiasi riequilibrio territoriale (ammesso che a qualcuno venga in mente di attivarlo). Ergo: cercansi urgentemente intelligenze civili e personale politico capaci di comprendere i fenomeni contemporanei e, se possibile, di governarli.
Invece, assorbiti nella spirale della quotidianità ed abituati ad una visuale resa bassa dalla banalità e dall'incultura, non ci si è resi conto che le preoccupazioni compresse a lungo di tanto in tanto chiedono fragorosamente udienza.
Tra il dito e la luna, anche a Pizzighettone si privilegia il dito, se è vero che una delle liste civiche (nate per partenogenesi dalla furbata di mimetizzare il proprio vuoto pneumatico e di incassare miserabili dividenti di profili ingannevoli) postula l'assoluta priorità di “aggregare molto spesso la gente”.
Di fronte a tanta povertà di analisi, si può temere che la resilienza di Pizzighettone dal declino inesorabile degli ultimi trent'anni può divenire una sorta di mission impossible.
Ammesso che l'attuale condizione del paese sia conseguenza di un destino, demone capriccioso, incostante e vendicativo, si può cominciare a ragionare partendo da un'analisi fattuale finalizzata a delineare percorsi praticabili di arresto della spirale negativa e di attivazione di dinamiche virtuose?
Se si aspetta mago Merlino ed intanto si continua ad amministrare in un'ottica assolutamente ordinaria, non si compiranno passi significativi.
La politica, come abbiamo appena detto, non deve solo ottimizzare un buon rapporto tra spesa e qualità dei servizi; deve, soprattutto, mettere a disposizione analisi e protagonisti in grado di guardare in alto e lontano.
Le attuali demarcazioni geo-amministrative appaiono assolutamente inadeguate. Su tale terreno Pizzighettone non si è distinta per una particolare testimonianza tesa a fare sinergia con un retroterra territoriale fatto di comuni minori per tanto tempo gravitanti.
Il nuovo mandato amministrativo sarà in grado di proporre qualcosa in merito?
Lo auspichiamo, nella certezza che solo dalla difficile ma ineludibile operazione di aggregazione comunale sarà possibile, da un lato, reggere l'onda d'urto della riduzione della spesa pubblica (senza disintegrare i servizi) e, dall'altro, costituire municipalità di peso non irrilevante, suscettibili di avere voce nelle dinamiche di infrastrutturazione del territorio.
Leggasi: messa in dirittura d'arrivo del polo logistico ed intermodale di Tencara. Che potrebbe essere per la municipalità dell'Adda quel che fu un secolo fa il processo di industrializzazione della Pirelli/Enka.
Da ultimissimo, ci va di esternare un personalissimo auspicio riguardante l'eventualità che arrida successo alla sinergia che Pinotti ha rivelato: “Siamo da tempo al lavoro per costruire un'ampia coalizione”. Un'ampia coalizione che abbia, postuliamo noi, una base programmatica molto rigorosa ed impegnativa. E che, al di là dell'esito delle urne per la definizione dei ruoli di governo e di controllo, possa trovare una condivisione non partisan in tutto il futuro Consiglio.
Diciamolo fino in fondo. C'è anche una questione, se non proprio di uomini, certamente di approccio da parte degli uomini, che si candidano a gestire l'istituzione comunale nei prossimi cinque anni.
Ci dispiace molto affermarlo; ma generalmente la politica (non necessariamente quella di Pizzighettone) è alle prese con quello che definiremmo un processo di distruzione creativa. Attraverso cui soggetti politici e personaggi fuori mercato muoiono e risorgono sotto mentite spoglie.
Dinamica questa che integra anche la fattispecie di portatori di incerto curriculum, di inconsistenti esperienze, di palesi inadeguatezze.
Recentemente, Giuseppe Bedeschi scriveva: “Siamo pervasi da una democrazia senza: senza rappresentanza funzionante, senza partecipanti governanti, senza elettori partecipanti”.
Constatazione che non sembra turbare la tranquillità dei competitors elettorali già in avanzato stadio di preparazione.
Napoleone un tempo, nell'intento di affermare la priorità della strategia sulla gestione, assicurava: “L'intendence suivrà”.
Dalle prime battute della campagna elettorale sulle rive dell'Adda emerge chiaramente, almeno per quanto riguarda la formazione accreditata di un certo margine di vantaggio, che la priorità è stata bellamente invertita.
Il PD (diventato da tempo destinatario di OPA da parte di tutti coloro che più o meno legittimamente ambiscono a carriere elettive) dovrebbe ricevere significato dai suoi programmi; non già unicamente dalle ambizioni personali o dall'aspettativa di collocazione ben remunerata.
Secondo chi scrive, se vuoi diventare qualcuno nella vita pubblica dovresti cominciare col presentare analisi, riflessioni e progetti congrui; tenendo poi conto che la gente, nell'era iper-personalistica, vuole sapere chi sei anche come persona.
Questo è almeno il format del percorso della cultura anglosassone; che l'ha inventato. Puoi anche non essere irresistibile nel primo step, quello delle credenziali programmatiche, che puoi aggiustare ed arricchire in corso d'opera.
Per il vero il candidato “predestinato” Tagliati dovrà lavorare molto sul nulla di partenza; sperando nel miglioramento delle proprie capacità di analisi e di sintesi e nell'acchiappo di qualche assist esterno.
Su una cosa, però, non sono ammesse indulgenze. Se capovolgi l'ordine dei fattori tra la cifra programmatica ed il curriculum personale, che rendi prioritario, su questo non puoi barare, essere reticente od inviare segnali ingannevoli.
Dice di sé il candiato Tagliati “…Lavora come impiegato presso il Ministero della Difesa…Dal 2012 al 2016 è stato presidente delle ACLI, rinunciando qualche mese fa al secondo mandato per dedicarsi a tempo pieno di Pizzighettone…la totale apertura verso la cosiddetta società civile dettata dalla disaffezione dei cittadini verso i professionisti della politica…”.
Se si sono letti bene i giornali, fermo restando che il candidato di “Pizzighettone chiama” può legittimamente sbizzarrirsi nell'eloquio, la scansione temporale della cosiddetta “auto-rinuncia” al rinnovo della presidenza provinciale della ACLI, fa un po' acqua, secondo noi.
A voler essere franchi fino in fondo tale decisione, tenuta in serbo fino a qualche giorno fa, non era sembrata entrare nel radar del recente congresso dell'Associazione Cristiana e nei commentari della stampa locale, che sembravano non escludere il rinnovo del mandato presidenziale a Tagliati.
Poi, coup de théâtre, tra le conclusioni dell'assemblea e la convocazione degli organi eletti (in vista della nomina dei vertici) il cardinale entrato papa nel conclave ne esce parroco (a Pizzighettone).
Ora una libera (e, per quanto ci riguarda, apprezzatissima) associazione ha tutto il diritto di adottare le più convenienti scelte in materia di selezione dei propri dirigenti. Anche senza darne dettagliate spiegazioni.
Ma qualche giorno dopo l'annuncio della composizione del nuovo vertice, che esclude l'uscente e ne nomina uno nuovo, le ACLI ritengono doverosa una dettagliata narrazione in ordine alla propria interna condizione, relativa ai servizi erogati ed alle criticità economiche e patrimoniali.
L'impressione, specie di fronte alla nomina di una sorta di “ministro dell'economia” nella figura di un collaudato dirigente di ritorno da un'importante esperienza nazionale (che ha tutto il sapore di un commissariamento di fatto), è che la presidenza Tagliati non abbia lasciato eredità particolarmente floride. Ci sono stati tagli pesanti ai CAF e l'edilizia, che era sembrata in certi momenti il core-business aclista, non tira più. Ergo, necesse guardare al bilancio e far quadrare i conti (letteralmente, claudicanza grammaticale compresa).
Rebus sic stanti bus e chiarito che la probità dell'uscente è assolutamente fuori causa, non è apparsa, in un ribaltone di cui mancavano assolutamente i precordi, del tutto esclusa l'ipotesi di un nesso di causalità.
Di causalità (andando con ordine) tra il repentino cambio di cavallo al vertice aclista; l'emersione di una situazione interna particolarmente critica, attribuibile sicuramente al combinato tra destino cinico e baro del mercato immobiliare ed i tagli governativi ai CAF (che, in tempi non sospetti, la nostra testata aveva severamente disapprovato) ma suscettibile di qualche menda nei confronti del management ed, infine, la scelta dell'uscente medesimo “di scendere in campo alle prossime amministrative di Pizzighettone”.
Non sapremo mai (e fino ad un certo punto, ad essere sinceri, un po' ce ne frega anche) se le cose sono andate così (anche sul piano di una storytelling assolutamente congrua e sincera).
Balzano, però, d'istinto due circostanze. La prima è che, dopo un solo mandato presidenziale, Tagliati viene promosso (come diceva il PCI nel caso di buggerature) a più elevati incarichi (una maccheronica sorta di amoveatur ut repellatur ), sulla base di un evidente giudizio di non adeguatezza a “far quadrare i conti”. La seconda circostanza, senza poter giurare sul nesso di causalità, risulta implicita nelle decisioni della ACLI; vale a dire che Tagliati, non ritenuto adatto a far quadrare i conti della ACLI, potrebbe rivelarsi un portento per quelli del Comune in cui risiede.
Ora, carissimi amici lavoratori cristiani, su tale sillogismo avanzeremmo qualche ben educata perplessità.
Che il candidato di centro-sinistra, iscritto ad un partito, il PD in cui, almeno a Pizzighettone, la testimonianza post-comunista è stata quasi totalmente eradicata, interpreti la campagna elettorale (cosa resa esplicito dalla convention inaugurale) come la trasposizione fisica della marcia verdiana dell'Aida, coi tempi che corrono ci può stare.
Ma c'è un'ultima condizione su cui il candidato di “Pizzighettone chiama” dovrebbe, per un dovere di trasparenza nel rapporto con gli elettori, essere molto diretto. Dimostrando di voler, come dice un efficace slogan commerciale, “vincere facile” almeno in casa sua, non ha fatto le primarie, ha attivato una consultazione tra pochi intimi, ha tolto, soprattutto, di mezzo oltre che incomodi esterni anche l'unico competitor che aveva occhieggiato per qualche settimana nei toto-candidati.
Quell'avvocato Elena Bernardini, trentaquatrenne capogruppo consiliare (e, secondo certi schemi, naturale candidato Sindaco).
Sennonché, nelle more dello sforzo titanico intrapreso dal Tagliati contro “la disaffezione dei cittadini verso i professionisti della politica”, accade un fatto nuovo ed inaspettato: il potenziale candidato Sindaco in quota rosa viene proditoriamente strappato dalle civiche sponde dell'Adda da una proposta che non si può rifiutare. Per spirito di servizio, ça va sans dire!
Diviene così nuovo amministratore unico di Servizi per Cremona Srl, braccio operativo del Comune Capoluogo per l'espletamento ed il miglioramento delle attività strumentali (manutenzione strade e marciapiedi, segnaletica, varchi e sgombero neve).
Vai a prevedere le bizze del destino! Sarebbe stato uno scenario da mulino bianco: Tagliati, confermato alla presidenza delle ACLI, partecipava alle primarie contro Bernardini, destinata a rimanere nell'attività forense. Indubbiamente una bella gara all'insegna del decoubertinismo! Invece no!
Il destino cinico e baro si è messo di mezzo. E vai a vedere che qualcuno penserà, in contrasto con l'edificante campagna dell'unico candidato rimasto in campo contro i professionisti della politica, che, nella vicenda, c'è qualche traccia dell'impulso a confondere la testimonianza civile con le porte girevoli e con l'ascensore sociale attivato proprio dalla politica mestierizzata.
e.v.
LA STORIA: PRIME ELEZIONI DEMOCRATICHE DELLE AMMINISTRAZIONI COMUNALI
Domenica 17 marzo 1946 si svolse la prima delle tre tornate, che includeva quindici comuni: Cappella Picenardi, Cella Dati, Cicognolo, Derovere, Gabbioneta Binanuova, Gadesco Pieve Delmona, Grontardo, Persico Dosimo, Pescarolo, Pessina, Pozzaglio, Robecco d'Oglio, Scandolara Ripa d'Oglio, Sospiro e Vescovato.
Non ci fu partita: cappotto quindici a zero per le sinistre.
Come in quella successiva del 23 marzo che interessò altri quindici comuni: Annicco, Bonemerse, Bordolano, Castelverde, Crotta d'Adda, Gerre dè Caprioli, Grumello Cremonese, Isola Dovarese, Malagnino, Ostiano, pieve d'Olmi, Pieve S. Giacomo, S. Saniele Ripa Po, Sesto Cremonese, Corte dè Cortesi.
E come nella successiva del 1° aprile che ne elesse 14: Casteldidone, Castelvisconti, Cumignano sul Naviglio, Rivolta D'Adda, Salvirola, Soresina, Cappella Cantone, Martignana Po, Rivarolo del Re, Spineda, Ticengo, Trigolo e Voltido.
E come gran parte delle successive che si conclusero ad ottobre con l'elezione degli amministratori di altri 31 Comuni, fra cui Crema, Casalmaggiore, Pizzighettone (a sinistra) e Soncino.
Al termine dell'impegnativa stagione di elezioni comunali, che insediò governi eletti dal popolo, la tendenza elettorale era inequivoca: la D.C. era maggioranza in una ventina di Comuni, prevalentemente piccoli (ad eccezione di Soncino) collocati nel cremasco; il P.S.I. aveva ottenuto, su 110 comuni (115 sarebbero divenuti successivamente, quando sarebbe entrato in funzione il telaio di Penelope, che avrebbe annullato le poche aggregazioni di piccoli comuni, operata, sia pure autoritariamente, dalla politica mussoliniana), 60 sindaci, a cominciare dai centri più importanti.
Oltre al capoluogo, in cui si votò, come vedremo tra poco, a Crema col Dott. Carlo Rossignoli –primario ospedaliero-, Casalmaggiore col Dott. Rienzo De Padova – dirigente-, Soresina con l'Avv. Maestroni, a Pizzighettone con l'Ing. Giuseppe Sini – dirigente industriale, a Rivolta d'Adda con Tullio Cazzulani – agente di commercio.
Domenica 24 marzo si sarebbe votato per il Comune Capoluogo.
La testata socialista L'Eco del Popolo avrebbe fatto un commento un po' riassuntivo dell'importanza dell'elezione, democratica e diretta, delle amministrazioni locali.
Ora con la conquista dei comuni da parte dei rappresentanti dei nostri partiti, nuove responsabilità vengono addossate agli amministratori ed agli uomini responsabili della vita politica.
Necessita saper amministrare con onestà, disinteresse, abnegazione.
Le difficoltà sono immense, ché le casse sono vuote e coloro che dovranno contribuire a riempirle, già si dimostrano recalcitranti.
Abbiamo ugualmente fiducia. Tutto quello che si potrà fare si farà, poi vi penserà la Costituente.
Ma le bandiere del proletariato che oggi sventolano sull'alto delle civiche torri dei nostri comuni non saranno ammainate come avvenne nel lontano 1922 perché il proletariato risponderà, se la violenza avversaria volesse nuovamente abbattersi sulle nostre organizzazioni e sui nostri comuni.
Ore di pace, di concordia, di vita civile quella di oggi e quella che vogliamo per domani, per ricostruire nel silenzio e con l'opera alacre, per rimediare alle distruzioni ed alle sventure che hanno colpito l'Italia; non violenze, non prepotenze in quest'ora di trionfo e di soddisfazione, ma propositi di uomini che hanno nella mente la visione di un popolo che tanto ha sofferto e nel cuore il desiderio di svolgere per tutte le strade della nostra città e della nostra provincia, opera feconda di bene, di amore e di pace per tutte le genti affaticate, propaganda per la loro elevazione morale, elevamento per le conquiste necessarie al miglioramento della vita di tutti i lavoratori”
Il voto comunale a Pizzighettone
A Pizzighettone, il 6 ottobre 1946, si sarebbe svolta, nel contesto della terza tornata di elezioni comunali, una impegnativa tenzone per la conquista del governo municipale.
I socialisti erano predominanti in quel significativo centro industriale sia a livello di rappresentanza sindacale e di direzione della cooperativa sia nella gestione comunale, presieduta dal Sindaco della Liberazione, il vecchio antifascista Giovanni Azzali.
Si presentarono due liste contrapposte: quella socialcomunista, guidata dall'Ingegner Giuseppe Sini, direttore tecnico della Pirelli, e la lista scudocrociata, che reclutava, tra l'altro, i cascami del vecchio blocco agrario-fascista.
Il PSI aveva svolto un'intensa campagna elettorale con una vasta mobilitazione.
Il 25 settembre l'on. Pressinotti aveva presieduto un convegno ed il 29 Angelo Majori aveva tenuto due comizi nelle frazioni di Regona e di Ferie.
I risultati non si fecero attendere (la lista social-comunista conquistò una schiacciante maggioranza dei 3202 votanti), ma anche un consistente strascicalo polemico, scaturito in penale.
Riportiamo per esteso l'articolo di seconda pagina dell'Eco del Popolo n° 78 del 19 ottobre 1946, intitolato “ DA PIZZIGHETTONE La grande vittoria elettorale – Certi metodi politici e il caso del compagno Boldori “:
“ I pizzighettonesi hanno visto con commozione la bandiera rossa sul Comune e sul torrione.
È infatti la prima volta che il nostro partito – ora col Partito comunista – conquista il Comune di Pizzighettone, che fu in passato un feudo popolare, dominato dal clero e da un ristretto numero di persone cosiddette ‘benestantì.
Ora anche Pizzighettone si allinea; il sole del socialismo è spuntato anche sull'Adda, e la cappa di piombo democristiana (leggi: agraria) che incombeva sul paese, si sta sollevando.
Figurarsi i democristiani dopo la prova generale delle elezioni politiche nelle quali sono stati quasi battuti dai soli socialisti (senza contare i comunisti) hanno cominciato a masticare amaro ed hanno tentato ogni carta per vincere alle amministrative.
Quindi gran lavorio fra gli esponenti democristiani di Pizzighettone e di Cremona.
Il loro gioco politico di allearsi con altri partiti è stato sventato dai nostri compagnie dal buon senso, mentre i preti predicavano veleno contro i ‘rossì, attaccandosi a tutti i pretesti, magari anche al matrimonio civile di un nostro compagno, a proposito del quale in chiesa, in una predica mattutina, sono state pronunciate queste amabili parole: ‘vanno insieme come fa il gatto con la gatta e il cane con la cagnà.
Dove si vede che per i preti la libertà di coscienza non esiste e che per loro chi non si sposa in chiesa non fa parte della umanità anche se è un fior di galantuomo.
Non contano le allusioni politiche contenute nelle prediche quasi ogni giorno.
Non parliamo poi degli altri tentativi di arrivare al Comune, come la esaltazione di qualche ricco candidato democristiano di cui anche su queste colonne si è avuta l'eco.
Il risultato è stato… la vittoria della lista social-comunista.
Ma l'ultimo losco e ridicolo tentativo è stato fatto la notte prima delle elezioni da ignoti avversari (ma sembra che si conosca qualche nome) con la distribuzione di manifestini contenenti stolte calunnie contro il compagno Dottor Comunardo Boldori, con la evidente intenzione di nuocere al Partito Socialista di cui il compagno è un esponente, e forse con la intenzione di offuscare il martirio del padre suo.
È inutile riportare queste calunnie, né vale la pena di smentirle.
Non possiamo nemmeno dire chi le ha scritte, ma ognuno di noi può immaginarlo.
Chi conosce Boldori e gli è stato vicino nel periodo del fascismo, chi ha lottato con lui nel periodo clandestino conosce la sua pura fede di antifascista e di socialista; sa come egli – in vista com'era – abbia rischiato continuamente per la causa dell'antifascismo e ben conosce la sua vita, modesta vita di lavoratore volta al bene della famiglia e dei compagni.
Signori avversari, il sottoscritto, che voi ben conoscete, è uno dei due soli superstiti del gruppo che fu deportato a Mauthausen ed indignato dei vostri sporchi metodi politici, ed è liete che la più bella smentita ve l'abbiano data i pizzighettonesi che, votando rosso, hanno dimostrato di infischiarsene di voi e della vostra propaganda e hanno nello stesso tempo confermato la loro piena solidarietà al compagno Boldori.
Scrivo queste cose perché si sappia concepire la politica nella giusta maniera e perché si comprenda, che è la verità che presto o tardi viene a galla, come ha trionfato in queste elezioni.
Scrivo anche per ricordare che chi lotta per un ideale si limita a difendere il suo ideale sia pur con passione ma non usa certi metodi politici: gli ideali, voi signori avversari, probabilmente non sapete nemmeno che cosa siano.
IL BARBA Lo pseudonimo è stato svelato grazie sia alla buona memoria dell'ottantenne compagno Rino Ottoboni sia all'articolo “Parla il Barba” dell'1/9/1945, firmato da Guglielmo Salvadori, ingegnere della Ditta Moranti di Milano operante all'interno della Pirelli, membro del Direttivo Provinciale (che, per inciso, aveva pagato la sua fede socialista ed antifascista con un anno e mezzo di internamento al lager di Mauthausen).
L'articolo, rivelatore, in anticipo, dell'assenza di scrupolo cui il fronte democristiano-reazionario avrebbe ispirato quella e le successive crociate, nessuna esclusa, a cominciare dal ruolo terroristico-oscurantista della parrocchia, retta a quel tempo da Mons, Luigi Severgnini.
Che era giunto a Pizzighettone, da Caravaggio con code nepotistiche, all'inizio degli anni quaranta, e che tosto si applicò a dare sfoggio di una certa arroganza nell'invadere il campo politico, in cui, per il vero, eccelse durante tutto il suo ministero parrocchiale.
Ben coadiuvato, per il settore relativo alle polemiche contro la CGIL, da quel tal Don Giovannino di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo.
Con tale curriculum, viene da pensare che meno che infondata possa essere la rivelazione del ‘Barbà in ordine al pulpito (“Non contano le allusioni politiche contenute nelle prediche quasi ogni giorno “).
Chi fosse il “qualche ricco candidato democristiano”, adombrato dal ‘Barbà, è facile individuare, compulsando le edizioni del settimanale socialista di quella stagione, in cui, per il vero, i socialisti dimostrarono di non tirarsi indietro nella polemica.
Anche se usavano il fioretto a differenza della calunnia e della clava di cui continuavano a dar sfoggio preti e democristiani.
Cherchez il ricco democristiano e nei numeri 66 e 68/46 e trovate l'uomo più rappresentativo del fronte conservatore il N.H. Dottor Gaspare Cerioli, destinato ad essere battuto nelle comunali dell'ottobre del 1946, salvo rivincita quattro anni dopo.
Di lui, con garbata polemica, l'Eco scrisse:
“Le case dei contadini a Pizzighettone” e “Non è tutto oro quel che luce”:
(alludendo ad una polemica con la Riscossa,scaturita dallo sperticato elogio tributato all'impegno del candidato agricoltore a favore del risanamento delle case dei propri dipendenti):
“ (…) Gli oratori democristiani, o magari il Dott. Cerioli stesso, queste case non le hanno. (…)
Ma se, come sembra, l'articolo in parola, che è il secondo della serie ha lo scopo di mettere sull'altare il Dott. Cerioli per ragioni politiche, trovo strano che egli si faccia fare tanta pubblicità, perché lo stimo per una brava persona (e lo dico sinceramente), anche se è stato segretario politico del Fascio di Pizzighettone (…) Dopo di ciò ti renderai conto che il Dott. Cerioli prima di essere plasmato da tutte queste ovazioni e complimenti ha ancora molta strada da percorrere”.
Come è facile constatare, da parte dei socialisti, desiderosi di non essere turlupinati dalla propaganda democristiana, si tratta di una polemica da aplomb aristocratico.
Difformemente dalle pesanti intimidazioni e calunnie del fronte opposto.
Non sapremo mai cosa contenesse il volantino, nottetempo ed anonimamente, distribuito dagli ignoti avversari.
Senza saperlo esattamente, però, lo si può intuire ancor'oggi, dalla lettura del comunicato del Comitato Esecutivo della Federazione Provinciale Socialista:
“Il Comitato Esecutivo della Federazione Cremonese del P.S.I.U.P., a conoscenza che il compagno Comunardo Boldori ha querelato con ampia facoltà di prova gli autori ed i diffonditori del manifesto di cui si parla nell'articoletto del ‘Barbà, mentre conferma al compagno la più alta stima da parte di tutti i socialisti e di tutti gli onesti, sia associa alla indignazione generale contro certi metodi di lotta elettorale che non giovano a nessuno –nemmeno a chi li usa – e gettano in cattiva luce la nuova democrazia italiana.
Chi scrive questa nota è stato costantemente a contatto del compagno Boldori nel periodo clandestino e non può di fare a meno di additare al disprezzo pubblico gli autori, gli stampatori ed i diffonditori di quello stolto volantino – PIERO PRESSINOTTI”
Era evidente nell'operazione l'intento di neutralizzare il grande seguito popolare di Comunardo Boldori attraverso la calunnia.
Ma un'altra cosa non sapremo mai: l'esito processuale della querela.
Perché, ad alimentare una tragica saga famigliare di morti premature, Comunardo Boldori scomparve il 20 giugno 1947.
Una morte inattesa ed incredibile, di cui diede pubblica notizia, innanzitutto, il mondo della Cooperazione, di cui Boldori era stato il rifondatore, con un manifesto murale e con l'edizione straordinaria del Bollettino n° 7-giugno 1947 intitolato “La Cooperazione Cremonese”:
COMUNARDO BOLDORI
La tragedia aveva tolto al figlio il padre eroico e profondamente buono, il figlio aveva avuto in retaggio la fede, la bontà, e l'intelligenza.
Volle essere colto e si applicò agli studi con la tenacia degli umili.
Laureatosi in scienze economiche e commerciali mise a disposizione dei compagni Socialisti e dei Cooperatori le sue brillanti doti di cuore e di mente.
Dopo la bufera fascista il clima di liberazione Lo volle al posto di combattimento lasciato dal Padre e fondò la Federazione Provinciale delle Cooperative, alla quale disinteressatamente dedicò lunghi mesi di proficuo lavoro, superando ostacoli e difficoltà non comuni.
Diede i primi geniali ordinamenti all'Unione Cooperativa di Consumo, che ha dovuto lasciare quando le forze fisiche cominciarono ad abbandonarlo.
Continuò però ugualmente ad assistere le due Istituzioni così care al suo cuore, indicando ai cooperatori le vie da percorrere, le mete da raggiungere.
Mai la passione è venuta meno in Lui, fino all'ultimo avemmo da Lui consigli ed incoraggiamenti.
I Cooperatori Cremonesi perdono con Comunardo Boldori un apostolo e il compagno di tutte le battaglie, la Cooperazione Italiana uno studioso.
Mandiamo da queste colonne le condoglianze dei cooperatori cremonesi alla diletta sposa, alla madre e alla sorella da Lui tanto amate”
Ne diede notizia ufficiale l'EdP sul numero 113 “La morte del compagno Comunardo Boldori”:
“La morte di Comunardo è un grave lutto per il socialismo e per la Cooperazione cremonese.
Compagni ricordiamoci di lui. In tutto degno figlio di suoi padre ha posto i suoi affetti nella propria famiglia e per essa compì i più gravi sacrifici che un buon figliolo deve fare.
Affacciatosi alla giovinezza, compiuti i suoi studi, è stato avvinto da un altro grande affetto, quello per i suoi compagni, quello per i cooperatori.
Lo scorci della dominazione fascista gli servì per rafforzare il suo meditato pensiero, la lotta per la liberazione lo ebbe milite sagace, la liberazione lo avviò principalmente sulle vie della Cooperazione.
La Cooperazione! Ecco la grande idea che conquista gli uomini di buona volontà.
La cooperazione fra gli uomini, la cooperazione arma di lotta di classe per rendere giustizia agli uomini, la cooperazione educa gli uomini al disinteresse, alla solidarietà, alla mutualità.
I buoni devono essere i suoi sacerdoti e Comunardo, come il Suo Eroico Padre, fu avvinto da questa idea e per essa idea lottò anche quando le forze fisiche cominciarono a mancargli.
Si trattava di ricostruire fra i rovi e le rovine ed Egli ricostruì la Federazione della Cooperative, che lo ebbe fra i fondatori e animatori.
Duri furono gli inizi, mancavano gli uomini e i mezzi, egli per primo si sacrificò, ad essa diede buoni fondamenti e l'istituzione oggi va acquistando sempre più vitalità e funzionalità.
Ma quante volte ci guardammo in faccia dubbiosi!
La volontà prevalse su dubbi e la volontà è derivata dalla grande fede.
Un'altra istituzione fu cara al suo cuore: l'Unione Cooperativa; quante difficoltà, quanti ostacoli, solo il credere ha prevalso, si dedicò all'Unione con tutta la sua grande intelligenza, con tutta la sua volontà e riuscì a dare all'Unione saggi ordinamenti.
Unionista più che convinto ha indicato ai compagni che solamente la grande cooperativa poteva assolvere ai compiti della cooperazione di consumo, solo le forze unite avrebbero potuto difender i consumatori, solo le forze unite avrebbero potuto rafforzare questo istrumento della lotta di classe.
Perciò egli vide socialisticamente la risoluzione del problema, nessuno può dimenticare buono e gentile.
Chi ebbe la ventura di essergli a lungo compagno di lavoro ebbe campo di apprezzare oltre che alle doti di mente quelle del cuore.
Era buono e gentile.
Egli voleva educare i compagni ed il prossimo con la bontà e gentilezza.
Posto davanti a situazioni burrascose, ad elementi anche non degni della sua bontà, egli colla bontà e colla gentilezza intendeva risolvere la situazione.
Rispettoso della dignità umana di questo rispetto fece sempre regola di vita.
Dal padre, come Lui intelligente, conobbe le vere vie del socialismo e con fede ed amore ne percorse fin che il fato crudele lo tolse all'amore della famiglia e dei compagni.
Mandiamo da queste colonne le nostre più accorate condoglianze alla desolata famiglia.
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Sabato scorso hanno avuto luogo in Cremona i solenni funerali del Compagno Comunardo Boldori dell'Esecutivo Provinciale del P.S.I. e Consigliere Comunale.
Alle onoranze funebri hanno partecipato il Prefetto, il Sindaco Rossigni, Arnaldo Bera Segretario Responsabile della Camera del Lavoro, rappresentanti dei sindacati e della maestranze Pirelli di Pizzighettone.
Al Cimitero hanno parlato per il P.S.I. e per la Giunta Comunale il Comp. Avv. Gaetano Ferragni, Feraboli Rag. Arnaldo per le Cooperative, l'Ingegner Sini per la Pirelli ed un rappresentante della Sezione comunista di Pizzighettone.
Avevano telegrafato i compagni on. Piero Pressinotti e Lelio Basso, Segretario Generale del Partito”
Come è facile avvertire, la prematura scomparsa di Comunardo, anche gli aspetti fatalistici insiti nella conseguenza di un errore operatorio in un quasi banale e routinario intervento chirurgico, gettò nella disperazione, composta ma non meno lacerante, la giovanissima consorte che portava in grembo il primogenito Attilio Comunardo, i famigliari, il popolo socialista, i lavoratori della Pirelli ed, in generale, suscitò un vasto cordoglio in tutti coloro, che, al di là delle legittime differenze di fede politica, avevano avuto modo di conoscerlo.
Come uomo buono, leale, generoso e …coerente anche nella morte, se aveva lasciato precise disposizioni in ordine all'ultimo commiato, che si svolse col rito civile.
Scelta logica e coerente per un non battezzato che si era unito in matrimonio civilmente.
La Chiesa non gradì!
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PIZZIGHETTONE ALLE URNE IL 2 GIUGNO 1946
A) Elettori e votanti:
1) Elettori iscritti nelle liste di sezione compilate dal Comune:
Maschi = 1945
Femmine = 1913
Totale = 3858.
2) Elettori (iscritti nelle liste compilate dal Comune) che hanno votato:
Maschi = 1752
Femmine = 1827
Totale = 3573
3) Elettori che hanno votato a norma di quanto disposto dagli articoli 39 e 40 del D.L.L. 10 marzo 1946, n. 74:
Maschi = 31
Femmine = 1
Totale = n. 32
4) Militari delle Forze armate ed appartenenti a Corpi organizzati militarmente per il servizio dello Stato, che hanno votato a norma dell'art. 41 del D.L.L: 10 marzo 1946, n. 74:
Totale = 78.
Totale dei votanti:
Maschi = 1861
Femmine = 1822
Totale = 3683.
B) Risultati delle elezioni dei deputati all'Assemblea Costituente:
1) Falce, martello, stella, = voti 603.
2) Falce, martello, figura = voti 18.
3) Foglia Edere = voti 13.
4) Falce, martello, libro = voti 1273.
5) Bandiera con spiga e stella = voti 65.
6) Stella e 5 punte nel cielo = voti 51
7) Fiamma con motto giustizia e libertà = voti 67.
8) Scudo crociato = voti 1336.
(...)
Totale dei votanti n 3683
C) Risultati del Referendum sulla forma istituzionale:
1) Voti validi conferiti alla Repubblica n. 2262.
2) Voti validi conferiti alla Monarchia n. 1154.
9 giugno 1946.
Atto di giuramento del sindaco Sini Giuseppe
L'anno 1947 addì 26 del mese di febbraio nella Prefettura di Cremona, si è presentato il signor Sini ing. Giuseppe fu Francesco sindaco del Comune di Pizzighettone che, alla presenza dei sottoindicati testimoni, cogniti ed idonei, ha chiesto di prestare il giuramento di cui all'art. 6 della legge 23 dicembre 1946 n. 478.
Il predetto, a voce alta, chiara ed intellegibile ha pronunciato la seguente formula di giuramento:
“Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana ed al suo capo, di osservare lealmente le leggi dello Stato e di adempiere le mie funzioni al solo scopo del pubblico bene”.
Letto, confermato e sottoscritto
Il prefetto
(Illeggibile)
Il sindaco
Ing. Giuseppe Sini
I testimoni
(Illeggibile)
1° foto: Municipio di Pizzighettone
2° foto: Antica Fortezza di Pizzighettone
3° foto: Municipio Pizzighettone con fotina Giovanni Azzali (già sindaco di Pizzighettone)