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Parata di Stars per Biden

Da oggi il mondo è un posto migliore

  21/01/2021

Di Roberta Tosetti

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Il nostro corrispondente dall'America, il mitico fotoreporter americano Luigi Cazzaniga, nella cerimonia più importante per l'anno, non si lascia sfuggire nulla. Una parata di stars americane dello show business hanno costellato il cielo di Whashington nella giornata di ieri. Da Bruce Springsteen, a Tom Hanks, a Eva Longoria, a Bon Jovi, a Yo Yo Ma, a Justine Timberlake, a Black Puma, a Lin Manuel director dell'opera teatrale Hamilton, a John Legend tutti uniti per cantare o recitar, grazie a un brano, per Biden (nella foto di copertina - Ansa). 

“L'America ha tirato fuori la sua Anima real and soul -dice Cazzaniga- per rendere un giorno importante, un giorno unico”

Milioni di Americani incollati alla televisione per seguire ogni momento della cerimonia a quello più soft dello spettacolo. Il cuore del popolo pulsa alle parole del Presidente e, si commuove ascoltando i brani interpretati dai vari musicisti e attori invitati. 

Ecco. L'America è anche questa e soprattutto quella che anche noi italiani abbiamo vissuto guardando quei momenti storici dalla nostra televisione. Ora inizio un altro corso della storia americana e, il suo presidente lo testimonia nel momento in cui giura fedeltà alla Costituzione Americana su una vecchia Bibbia di famiglia. 

Buon lavoro Mr President! L'America è con lei!

r.t.

Da oggi il mondo è un posto migliore

Già, lo diciamo anche a beneficio dei supporters della parte avversa, dei negazionisti, degli scettici e degli indifferenti, immaginiamo cosa sarebbe stato degli USA (e del mondo) se il 3 novembre le urne avessero malauguratamente dato un risultato invertito. 

Della tardiva consapevolezza del pericolo devastante per la stabilità dell'entità leader e riferimento del modello liberaldemocratico c'è riscontro nel sondaggio del gradimento del competitor sconfitto. 

Che, speriamo, rientrerà nell'ombra dal cono di luce in cui per cinque anni ha proiettato un messaggio potenzialmente destabilizzante a livello globale. 

Con l'insediamento di Biden (Joe sleepy, l'aveva irriguardosamente canzonato per quella sua innata pacatezza) nella pienezza dei poteri, gli USA rientrano tendenzialmente in contesti meno mossi e meno esposti a discontinuità (fatte temere dall'assalto eversivo ai palazzi legislativi) drammatiche e sconvolgenti. 

Con loro, pur nella permanenza di scenari fortemente critici, mondo è un posto migliore. 

Percezione e consapevolezza nutrite dalla vasta corrente di pensiero di coloro che, senza far mancare le dovute critiche e denunce, non hanno mai smesso di guardare con simpatia al “nuovo mondo”. 

Verso cui tre secoli fa confluirono le sensibilità del “vecchio mondo”, a disagio coi conservatorismi, orientarono oltre atlantico l'auspicio di trapiantare le frustrazioni e gli impedimenti del rinnovamento delle religioni, della cultura, della politica. 

Già, ci sono stati il Vietnam, il tallone della repressione sul quel back yard del sub-continente, la segregazione razziale. Ma andrebbe anche ricordato che, senza gli USA, l'Europa sarebbe precipitata, all'inizio del 900, nella spirale di dominio dell'autoritarismo degli Imperi Centrale e, negli anni Quaranta, nella totale sottomissione al nazismo. 

Con tutte le claudicanze e le falle la federazione stelle e a strisce permane un imprescindibile punto di riferimento; soprattutto, per un'entità in grave sofferenza, qual è l'Europa, che, in aggiunta all'instabilità indotta da un'incontrollata globalizzazione, è tuttora alle prese con tendenze disgregative. 

Nella riaffermazione della piena autonomia di visioni e di scelte, non v'è chi non veda la possibilità che riprenda, anche più intensamente di prima, una feconda partnership tra le due sponde atlantiche. Di cui trarrà sicuramente vantaggio la stabilità del mondo intero. 

Sono questi gli auspici che ci sentiamo di trarre dall'insediamento del Presidente eletto. Evento simbolico che, grazie alle preziose e puntuali corrispondenze di Luigi Cazzaniga ed al supporto redazionale di Roberta Tosetti, penetrerà agevolmente nelle nostre percezioni. Che si avvarranno dalla visione della Gallery iconografica giunta con le riprese di Cazzaniga e postata a corredo di questo articolo. 

Alle belle immagini del nostro apprezzato corrispondente ci permettiamo aggiungere una foto “imbucata”. 

La piratiamo dalla stampa quotidiana. Riguarda un player percepito, nelle sensibilità più benevole, come marginale, più che un attore non protagonista, quasi una comparsa, forse un caratterista. 

Un profilo che Bernard Sanders, il vecchio Bernie socialista, battitore libero delle battaglie di emancipazione civile e sociale, sempre indipendente e sempre senza reti o paracadute dei grandi partiti di raccolta, sempre eletto nel seggio parlamentare senza i sussidi che non fossero le micro donazioni popolari, si è cucito addosso da sé.

Lo dimostra la dimessa immagine ripresa della sua partecipazione, molto defilata e assolutamente sotto gli standards di chi vuole apparire. Che lo consegna alla fattispecie di uno capitato per caso ad un evento dal grande valore simbolico rassicurante.

Bernie seduto in disparte, con un look al limite dell'assimilazione se non proprio ad un homeless, sicuramente ad un under dog, un neanche ospite sia del giuramento sia dei percorsi politici successivi. 

In realtà il Senatore del Vermont, socialista, qualifica che negli USA retrogradi è sentenza quasi più severa di ciò che è diventata in Italia dalla seconda repubblica in poi, andrebbe sottratto, per ragioni di giustizia e di verità oltre che di vantaggio per quella sinistra plurale che sono i democrats, da quella marginalità. 

Per una serie di motivi. Il primo dei quali è l'incontrovertibile merito del peso che ha avuto la sua testimonianza (a partire dalle primarie) nel risultato delle Presidential Elections del tre novembre 2020, in cui il democrat party, Biden e la democrazia americana hanno arrischiato il collo. 

Come si ricorderà, non fu così con Hillary; nei confronti della cui candidatura l'ala socialista operò una specie di deterrenza che non poco, al di là delle intenzioni, favorì il campione del sovranismo mondiale. 

Consapevole dei pericoli insiti in una situazione ai limiti dell'involuzione autoritaria la sinistra democratica (che quando vien comodo viene definita radicale), Sanders e l'ambiente a lui vicino ha operato, senza dar fiato alle trombe ed il rullo dei tamburi), in modo fattivo alla chiamata al voto delle fasce giovanili, dei blu collars, dei disagiati ed emarginati e, soprattutto, delle donne (il vero valore aggiunto). 

Il secondo dei motivi, che militano a favore di un richiamo a funzioni di corresponsabilità, riguarda il vantaggio della metabolizzazione della testimonianza di Sanders e dei socialisti USA nei meccanismi dialettici e nella formazione delle decisioni. 

Senza di che “la mano” determinante della sinistra democrat rientrerebbe un po' nell'ombra e nell'irrilevanza; subissata dalle ragioni di real politik che fanno premio sulla priorità di un'immagine del Partito Democratico e del Presidente eletto di piena ed esclusiva appartenenza all'establishment. 

Sarebbe lo stesso errore esiziale che quattro anni fa destabilizzò la “scontata” candidatura dell'ex first sciura Clinton, aprendo le porte della vittoria all'antagonista e di una fase a dir poco drammatica del quadriennio successivo. 

Il profilo della testimonianza socialista va assolutamente integrato nel parterre delle appartenenze e del diritto di tribuna e di codecisione. L'indotto della globalizzazione ha travolto certezze per troppi anni granitiche, che si sono rivelate erronee. 

Anche gli USA, per uscire dalle criticità e per avviare una fase di rilancio su basi aderenti ad un modello di coesione sociale fatto di nuovi e maggiori diritti e di condizioni di vita più giuste, devono introitare nelle analisi e nell'azione di governo un segmento che per troppo tempo è stato un buco nero. 

Ma, per concludere, il percorso, remoto e recente, di Sanders ha un valore simbolico e sostanziale anche per l'Italia; dove l'omologo Partito Democratico si rivela ancor più malmesso. Se è vero come è vero che, tanto per voler fare il verso ai Democrats d'oltreatlantico, si è privato totalmente di una accettabile teoria di trasformazione della società e si è spiaggiato letteralmente a livello di rappresentanza delle istanze di rinnovamento e di maggiore giustizia sociale. 

La rivisitazione della testimonianza e del ruolo della sinistra liberal e socialista americana è da percepire anche come metafora delle dinamiche e delle potenzialità nei contesti domestici. 

In cui appare evidente l'arretratezza della nomenklatura autoreferenziale di un PD che, pur in qualche modo rivendicando le radici della preesistenza post-comunista, ha completamento reciso qualsiasi rapporto teorico e di rappresentanza coi suoi bacini naturali, sociali, ideali e culturali. 

Fino a divenire un aggregato di autoreferenzialità disgiunte da quella che dovrebbe essere la mission. Ed in cui la qualificazione “socialista” non è di casa, anzi è stata recisamente espunta dal quadro delle opzioni teoriche.

e.v.

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