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Focus Ponchielli

La luna ed il dito

  27/05/2020

Di Enrico Vidali

Focus+Ponchielli

Non si sa se a seguito più di un occasionale incrocio tra alcune delle conseguenze del Coronavirus (che impongono di collocare al centro delle riflessioni anche questioni superficialmente ritenute laterali al disastro biblico) ovvero di taluni ineludibili adempimenti della vita pubblica, vero è che, quando il fato ha voluto, l'affaire del maggior Teatro è ruzzolato sulla scena cittadina.

Diciamo che l'argomento è stato per anni in stand by. Semmai ha sempre stupito quell'aggregato di imbarazzati ammiccamenti e di esibite riluttanze, che per oltre trent'anni é stati riservato ad un problema apparentemente inesistente o ad un macigno esistente ma destinato alle grinfe conformistiche.

Eccome, invece, esisteva e sta emergendo in tutte le sue peculiarità.

Per i tanti piatti volati e per i toni decisamente alti della querelle, sarà difficile procedere, come in passato, a fari spenti e con epiloghi in automatico. 

I contenuti della contrapposizione, che vede in campo opposte “scuole di pensiero”, appaiono difficilmente mediabili. Pena la perdita di credibilità dei comparenti e l'avvitamento di una questione che impone approdi limpidi e, soprattutto, in linea con l'interesse comunitario.

Ciò non sembra, invece, nelle priorità (se non addirittura negli intenti) di almeno una delle parti in conflitto. Manifestamente interessata a sottoporre a make up quella sorta di parterre de roi, che, dopo trent'anni, scivoli verso la fattispecie di  una confraternita di vergini violate o di prefiche.

Con tutto il rispetto, dovuto alle persone, non ci pare proprio conveniente e per alcuni versi neanche decente impaludarsi in tattiche diversive e fuorvianti (che fanno agio sul “modo che ancor m'offende”); tanto meno, di fronte all'incontrovertibile evidenza delle criticità. 

Ferma restando la premessa, che la questione è partita decisamente col piede sbagliato.

Si è assistito, fin tanto che non è stata resa pubblica la relazione della maggioranza del Consiglio di Amministrazione, ad un profluvio di doglianze e ad un'alzata di scudi, riversati non tanto sulla  valenza (anche simbolica) del preannuncio della volontà di cambiar pagina, quanto sulle modalità del benservito o del semplice preannuncio di un proposito di discontinuità con un passato da scansione preistorica.

Se i titolari di tale importante (quanto fondamentale) outing, anziché acconciarsi alla libera circolazione dei  rumors, avessero agito nelle forme canoniche ed in tempestività, la questione sarebbe stata incanalata sui giusti binari; contribuendo in tal modo ad evitare che prevalesse, nelle percezioni, la centralità del dito anziché della luna.

E per luna intendiamo la messa a fuoco della (residua) sostenibilità del Ponchielli, in essa considerando alcuni parametri fondamentali: la qualità dell'offerta, la saldezza dei conti, la metabolizzazione sia delle complessità sedimentate sia i gravami indotti da uno tsunami, che, pure in molto parziale remissione,  non riserverà certamente carezze alla vita culturale ed alle istituzioni artistiche.

Riassumiamo per capire e capirci meglio. Il Teatro cittadino da più di trent'anni è governato da un sovraintendente che è stato sostanzialmente prorogato in automatico.

Stupisce che commentatori e personaggi avveduti e stimati abbiano totalmente trascurato tale consolidata circostanza, che, sul piano della procedura e delle ricadute di merito, non costituisce affatto  un'infrazione bagatellare.

Stupisce ancora di più che siano state ostracizzate le premesse di uno snodo che, almeno dal punto di vista metodologico, dovrebbe appartenere alla normalità. E non, invece, come è rimasto per più di trent'anni sospeso  ad una sorta di discrezionale sine cura, tipica dei contesti anchilosati, poco trasparenti, abituati a non rendere conto.

In uno degli abitualmente pacati e, soprattutto, competenti contributi, Evelino Abeni un protagonista della vita pubblica che unisce ad alti standards di preparazione politica anche una particolare conoscenza del ramo (per la quale è difficile spiegarsi la ragione per cui Cremona non abbia continuato ad attingere a questa sua competenza), ha rilevato una curiosa ed inspiegabile circostanza. Vale a dire che nella stessa scansione trentennale in cui il Ponchielli ha praticato l'istituto dell'inamovibilità del proprio vertice, in quello del massimo teatro mondiale, la Scala di Milano, si sono succeduti ben sei titolari. Di cui, il più noto dell'epoca recente, Paolo Grassi, peraltro fondatore insieme a Strehler dell'altra eccellenza mondiale Il Piccolo Teatro, è stato in carica cinque anni. Mentre il successore, di cui diremo nel prosieguo, Carlo Maria Badini si vide prolungare l'incarico fino a dodici anni. Mentre il predecessore Grassi avrebbe, al termine dell'incarico di Sopraintendente scaligero, traslocato alla presidenza della Rai, il successore Badini, non più rinnovato nell'incarico durato 13 anni (in cui ebbe come direttori Abbado e Muti, conseguì il pareggio di bilancio e realizzò l'impresa del primo debutto a Tokio) affrontò signorilmente la prospettiva della quiescenza.  Anche se può apparire inelegante aveva qualche anno in meno dell'età dell'attuale Sovraintendente del Ponchielli. Non strillò, non mise in campo laudatores e i claques reclamanti la permanenza nel ruolo (perinde ac cadaver) della beniamina sovraintendente.

Sarebbe il caso di cominciare a guardare, e bene, la luna; in quanto la priorità non è rappresentata dal minuetto, ai ritmi ed alle grazie del quale protrarre all'infinito una situazione che, prima di essere critica, è addirittura maledettamente imbarazzante.

Bensì, andando al sodo, la situazione del Teatro, che è diventata maledettamente seria.

Avremo modo nel prosieguo di compere un'analisi dettagliata e rigorosa dell'aderenza del modus operandi alle motivazioni strategiche che trentacinque anni fa indussero il governo comunale a rilevarne la gestione.

Un factchecking che sin d'ora, come avremo modo di osservare (anche attingendo alle riflessioni di Abeni rese pubbliche dal quotidiano locale, ma non degnate di un minimo doveroso riscontro che fosse anche una argomentata confutazione), difficilmente condurrà a conclusioni molto diverse dal nucleo delle valutazioni del Consiglio di Amministrazione.

Rilevante sul piano sia delle strategie che del format gestionale.

Sulle prime, come abbiamo appena anticipato, si soffermeremo nel proseguo.

Mentre sui rilievi strettamente gestionali desideriamo essere molto franchi; anche per controbattere alle compiacenti sottovalutazioni (non già sulla tenuità, bensì addirittura sull'inesistenza dei fatti), sulla base delle quali è stata fatta la voce grossa sull'improcedibilità di qualsiasi percorso che non abbia come meta la continuità del modello e dell'artefice.

Ora, se è pur vero che l'impresario teatrale abruzzese don Ciccio Caracioni (di Polvere di stelle) era di ben altre vedute gestionali, la gestione sovraintendenziale del Ponchielli dovrebbe sentirsi ispirata e vincolata da ben altri perni.

Hanno osservato (senza che in materia ci fossero state controdeduzioni) che il punto focale del mandato amministrativo in corso, esordito con una significativa discontinuità nella composizione del Consiglio (che comprende, tra gli altri,  due papi stranieri ma accreditati da congruenti ruoli accademici e da discipline pertinenti il ruolo),  ha riguardato e riguarda “l'aspetto economico e la sostenibilità della Fondazione”.

Cardini fin qui men che marginali nelle attenzioni e nelle priorità, oltre che del Sovrintendente, del Consiglio di Amministrazione e, salendo per li rami, della Civica Amministrazione il cui capo riveste anche l'incarico di Presidente della Fondazione medesima).

Non vorremmo essere fraintesi con coloro che, pur di far prevalere pervicacemente il proprio punto di vista, mettono in campo il sensazionalismo scandalistico.

Infatti, diciamo subito che non deve essere quello il punto dirimente della discontinuità nelle responsabilità di vertice.

Non dirimente ma neanche irrilevante è l'esegesi fatta dai due consiglieri (uno dei quali docente della Bocconi) la dove viene praticamente fatto a pezzi l'impianto della spesa (che ha evidenziato pratiche ritenute non economiche e non consone, in quanto accese presso fornitori abituali privi di comparazione ed, in alcuni casi, assistiti da rapporti di parentela).

Non conosciamo approfonditamente la declaratoria che ispira e vincola i criteri di individuazione dei fornitori; ma ci basterebbe ricordare a noi e a coloro che in questi anni hanno avuto responsabilità amministrative nella Fondazione che la Fondazione, appunto, è o dovrebbe, anche considerando la partnership dei soggetti associativi e/o privati, essere vincolata all'osservanza dell'ordinamento pubblico e delle sottostanti procedure.

Circostanza sulla quale sono chiamati a fornire circostanziati chiarimenti tutte le parti in causa: il presidente della Fondazione, il Consiglio di Amministrazione, il responsabile amministrativo, il Collegio dei Sindaci Revisori e, ovviamente, il Sovrintendente.

Concludiamo sul punto affermando che questo solo versante dei rilievi mossi dal CdA (in carica) dovrebbe agire come smottamento delle indefettibile certezze di coloro che non riescono ad immaginare il Ponchielli senza…

Senza che i medesimi fossero indirizzati espressamente, a nessuno (men che meno la numero 1) dovrebbe essere consentito di svicolare.

Ma, al di là della trasparenza della procedura (che pure potrebbe aver avuta una ricaduta sulle diseconomie), pesa come un macigno (ingombrante quando non inamovibile)  un avvertimento: il fondo di dotazione non può sostenete altre perdite di esercizio pari a quelle degli anni precedenti.

In pratica i consiglieri evidenziano un elemento analitico incontrovertibile: da anni (quanti?) la dinamica della spesa sormonta sistematicamente le entrate.

Al punto che, per far pareggiare costi e ricavi, si è attinto, appunto, al fondo di dotazione. Che, detto un po' all'ingrosso, rappresenta il patrimonio della fondazione e, come tale, asset patrimoniale intangibile (se non per comprovate, eccezionali circostanze gestionali)

Che tali circostanze non siano, da un bel po' di anni, eccezionali (atteso che ad esse si è attinto abitualmente con la facilità del bancomat), è dimostrato dal ricorso diventato abituale, motivato non da appostazioni strategiche, bensì dalla necessità ricorrente di tappare il buco del divario tra spese costantemente crescenti e forse incomprimibili (secondo il punto di vista del gestore) e entrate altrettanto costanti ma inadeguate al pareggio economico.

This is the question.

Da anni si è assistito ad una comunicazione che in materia dei bilanci rimanda ha fatto premio sulla suspence, giocata su degli scostamenti narrati ad usum delphini.

Se non altro perché il Sovrintendente ha sempre tenuto a dichiarare che il prestigio di un'istituzione teatrale non si giudicata dalla quantità ma dalla qualità.

Speech questo che fa della sostenibilità economico-finanziaria una variabile indipendente della mission, sistematicamente ancorata all'indefettibile certezza della grandeur, o comunque di un trend che il Ponchielli non può più (o non ha mai) potuto permettersi.

Mangiarsi, come si dice in cremonese, il vitello in pancia alla mucca può essere un éscamotage; non una linea-guida dai tempi lunghi (scansione maledettamente suscettibile di mostrare le pezze sul c…in combinato con maldestre ingegnerie contabili).

Non è detto che sarà necessario portare i libri…

È implicito, però, che per salvare la “ditta” bisognerà tener conto dei rilievi del CdA; il primo dei quali attiene all'imperativo di rivoltare, come si suol dire, il Ponchielli, come un calzino.

Ad approfondimento della materia pubblichiamo per intero la riflessione di Evelino Abeni recentemente ospitata dal quotidiano locale

Egregio direttore,

in tempi come questi – in cui le buone notizie non abbondano – quando ne appare una di segno positivo (anche se non eclatante) merita di essere sottolineata. È il caso di quella apparsa su queste colonne a proposito del bilancio del Teatro Ponchielli, che evidenzia un avanzo di gestione (seppure non rilevantissimo). Un risultato che - con i chiari di luna che si vedono nella vita dei teatri - vale la pena di valorizzare. Avendo ben presente che la situazione che si prospetta per il prossimo futuro sarà difficile da gestire in rapporto alle nuove problematiche derivanti dalla pandemia del coronavirus. Difficile, ma che può costituire anche l'occasione per avviare nuovi discorsi e percorsi nella vita del nostro teatro, per i quali sarebbe bene che prendesse corpo un coinvolgimento – assieme agli organi istituzionali – della città nelle sue varie componenti (culturali, economiche, sociali). Penso, ad esempio, alla convocazione di un'assise sulla vita teatrale cremonese, che prenda in considerazione l'ipotesi di realizzare un sistema fra le realtà teatrali cittadine (Ponchielli, Filo, Monteverdi, Auditorium Giovanni Arvedi). Fatti salvi i livelli di autonomia gestionale, si dovrebbe puntare su un programma coordinato delle attività culturali e di spettacolo. Tenendo conto dei problemi che la pandemia porrà anche quando, augurabilmente, cesserà l'emergenza (quantità degli spettacoli e costi da sostenere; fruizione dei posti per gli spettatori; aspetti organizzativi ed amministrativi). Una programmazione che – intrecciando i livelli qualitativi con il contenimento dei costi – dovrebbe trovare più ampi spazi per le presenze di significativi gruppi e complessi cremonesi. Una programmazione che parta anche da un'attenta disamina delle tradizionali “stagioni” per vedere quali correttivi possa apparire necessario apportare. In un teatro di importante tradizione musicale qual è il Ponchielli è sufficiente l'effettuazione della stagione lirica, senza che per il resto dell'anno vi siano significativi appuntamenti con il melodramma? La presenza all'interno del circuito regionale “Opera Lombardia” è l'unico orizzonte che ci è consentito di vedere? Le problematiche che si profilano sono diverse ed impegnative. Si approssima la scadenza del contratto con la Sovrintendente. Al di la della scelta che si compirà (cambiamento o riconferma), il Consiglio di Amministrazione, oltre alla scelta della persona, saprà porsi nella condizione – nel confronto con essa – di proporre un'idea di programma che tenga conto delle nuove esigenze poste dalla situazione? Un teatro di importanza riconosciuta come il Ponchielli può fare a meno di un Direttore Artistico? Se si affermasse l'idea di un sistema teatrale cittadino,  dovrebbe avere una direzione artistica unica. Non posso dilungarmi oltre nell'evidenziare problemi e porre interrogativi, ma intendo semplicemente sottolineare che il rilancio dell'attività teatrale cremonese dovrà avvenire in un contesto nuovo, per affrontare il quale sarà importante l'impegno del Consiglio di Amministrazione, del Sovrintendente, ma sarebbe anche più importante, decisivo ottenere l'apporto convinto, appassionato – attorno al suo teatro - della città nelle sue varie componenti. A Cremona, passione e competenze non mancano. Ecco perché l'idea di un'assise potrebbe essere seriamente presa in considerazione.

Evelino Abeni

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