Mauro Del Bue 4 giugno 2021 L'EDITORIALE
Perché i referendum giustizia
Il Psi (pubblichiamo a fianco la lettera del segretario Vincenzo Maraio di adesione ai referendum sulla giustizia promossi da Lega e Radicali) si è impegnato nella raccolta delle firme. Coi suoi dirigenti e i suoi militanti. Coi suoi tavoli. E coi suoi simboli.
Questo referendum sulla giustizia si collega a quello promosso nel 1987 dal Psi e dal Partito radicale limitatamente alla questione della responsabilità civile dei magistrati, purtroppo svuotata nei suoi propositi dalla successiva legge Vassalli, che prevedeva risarcimenti limitati e a spese dello stato. Ma i quesiti referendari (le firme da raccogliere sono almeno 500mila, poi vagliate dalla Cassazione e i quesiti dovranno poi essere ammessi dalla Consulta) non rilanciano solo il tema della responsabilità, e purtroppo solo riservandola alla magistratura giudicante, visto che è quella inquirente, che mette l'accusa spesso nei panni della protagonista, ad essere sotto la lente dei sospetti e degli abusi, coi Gip spesso ad essa sottomessi, tanto che la decisione relativa alla tragedia di Stresa pare una sorprendente eccezione. Ma sul tappeto vengono messi altri argomenti a noi storicamente cari, quali la separazione delle carriere dei magistrati, la riforma delle elezioni del Csm (noi, per sventrare la logica nefasta delle correnti, avremmo preferito il sorteggio), la riforma della carcerazione preventiva, oggi fonte principale di abusi, limitandola temporalmente. La presenza della Lega di Salvini non produce a noi alcun problema. Quando un avversario sposa le tue posizioni non sei tu a doverti sentire in difficoltà. Penso che la conversione di Salvini, en attendant Di Maio, sia frutto ad un tempo delle sue vicende giudiziarie a dello stimolo della garantista Bongiorno. Sepolto il tempo dei cappi e degli osanna al Pool Mani Pulite, Salvini si é messo a disposizione, con la sua forza elettorale e politica, per un progetto di giustizia giusta di stampo europeo (ricordiamo che la confusione tra magistratura inquirente e giudicante era presente tra i paesi europei solo nel Portogallo di Salazar). Attendiamo anche il Pd registrando con favore l'adesione di Goffredo Bettini al referendum sulla separazione delle carriere. Da elogiare, stavolta, il suo coraggio anche frutto, com'egli stesso ha ammesso, della professione del padre, avvocato penalista. Ma gli altri? Per ora zitti e coperti mentre il segretario Letta due (cioè quello ritornato dalla Francia) ammonisce che il referendum non è la strada giusta perché non fa altro che allungare cammino. Quale cammino, caro Letta? Perché è su questo che vorremmo trovarci d'accordo. Quello evidenziato dai primi segnali che emergono della riforma Cartabia, che non può essere definita come riforma della giustizia, ma solo come primi segnali dati all'Europa per la velocizzazione dei processi? Il Pd fissi la fine del cammino e dica con chiarezza se condivide i temi oggetto di referendum e se è pronto a votare una legge conseguente che accorci, più di quanto non fanno i referendum, i tempi della loro approvazione. In realtà non è così. Neppure oggi che l'assetto complessivo della giustizia in Italia sta vacillando sotto i colpi delle denunce e delle rivelazioni che hanno portato alla sua delegittimazione popolare, neppure oggi il Pd, contrariamente alla Lega, rivede le sue antiche posizioni di sostegno acritico, del quale il 1992 è stato ad un tempo testimonianza e pegno. Sarà bene che, dopo il Psi, anche le altre forze liberalsocialiste sostengano in tutti i modi e con dichiarazioni esplicite i referendum sulla giustizia e che questo diventi il cemento della futura alleanza.
Pubblichiamo con piena convinzione e con la dovuta evidenza divulgativa il bell'editoriale del Direttore dell'Avantionline, dedicato alla scesa in campo dei socialisti a sostegno dell'opzione referendaria. Che resta, a parere di chi scrive (di profilo pauci-referendarista) l'unica strada per riformare l'ordinamento giudiziario. Un aggregato di inefficienze e di sistematica violazione della separazione dei poteri.
Sembra di essere ritornati nel tempo alla seconda metà degli anni ottanta. Quando socialisti e radicali incardinarono, sull'onda dello sprone popolare, i 5 referendum.
Cui arrisero vasti consensi; che, tuttavia, non avrebbero messo il pronunciamento riformista al riparo del tornante contro riformatore.
Che puntualmente sarebbe avvenuto e con una intensità resa devastante dalla reazione degli interessi messi in discussione dall'esito referendario.
La trasformazione in atti legislativi ed attuativi avrebbe esattamente invertito il senso del mandato popolare. Creando le condizioni, pochi anni dopo, per il dissesto totale della giustizia italiana. Ci sarà ben un motivo se tra le condizioni del governo europeo per il PNRR c'è al primo posto la condizione ineludibile della riforma dell'ordinamento giudiziario. Che resta colpevolmente il più inefficiente ed il più permeabile a inputs che nulla hanno a che vedere con un corretto esercizio di un ganglio vitale della Repubblica.
Per come si sono messe le cose, non è difficile intravvedere il pericolo di una melina, che, affidando all'ordinario iter legislativo fortemente influenzato da pressioni antiriformistiche, partorirebbe un topolino non esattamente congruo al problema italiano.
Per questa ragione, condividiamo le ragioni espresse dall'editoriale e la linea della segreteria nazionale del PSI. Fatto che comporterà per chi si riconosce nella linea dell'Avanti e del PSI nazionale l'attivazione della campagna per la raccolta delle firme.
Di personale aggiungiamo le rimembranze di un analogo contesto lontano da questi tempi correnti, ma congruo nei contenuti.
I socialisti nel 1987 si impegnarono per i 5 quesiti; come faranno a partire dai prossimi giorni. Nel 1987 venne a Cremona per un'importante Conferenza, il professor Francesco Guizzi, che nel volgere di qualche anno avrebbe ricoperto il ruolo di Presidente della Corte Costituzionale.