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L'EcoRassegna della stampa correlata - "Focus Ucraina/2"

Di Claudio Martelli, Domenico Cacopardo e Mauro Del Bue

  25/02/2022

Di Redazione

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Ci riguarda, eccome

Introitiamo il titolo per questa presentazione degli interessantissimi editoriali di Claudio Martelli per l'Avanti (di Milano), di Domenico Cacopardo per Gazzetta di Parma, di Mauro Del Bue per Avantionline, da uno spunto del bell'articolo del quasi conterraneo Severgnini. Che aiuta i lettori, per quanto molto ipnotizzata dalla tragedia in corso nelle terre ucraine, da una riflessione molto più vasto e da uno sguardo molto più lungo delle preesistenze che hanno concorso a maturare questo quadro inestricabile. Comprendiamo le ragioni anche di un altro titolo apparso sul quotidiano locale di oggi: “Cosa spetta il mondo?” Si chiede Imma, la giovane ucraina approdata al nostro territorio da alcuni anni e, giustamente in apprensione per la sorte dei congiunti alle prese con un dramma immaginabile. Ma non al punto da far sorvolare la nostra analisi da un palpabile linea guida recriminatoria, premessa di una perorazione di una risposta da armageddon e da farci deragliare dai cardini di una analisi ispirata da lucidità ed equilibrio. 

Sarà per questo che in questo incipit seguiremo più la spinta della riflessione razionale che quella dell'emotività. 

Il 25 dicembre 1991 alle 19,32 con l'ammaina bandiera rossa sul Cremlino si sarebbe aperta un'opportunità per tutti, per i russi ex sovietici e per il mondo libero, di cui volevano far parte 

Quell'opportunità è stata sprecata. Dallo scontro per bande degli ex oligarchi forsennatamente impegnati nella spoliazione degli asset patrimoniali dell'economia di stato 

Fallimentare anche l'approccio del cosiddetto mondo libero, appagato dal default del modello sovietico, come ipotesi sperimentata politica, economica e militare e cinicamente interessato a trarne vantaggio, da due circostanze: la presunzione del venire meno di un competitor, dotato di richiami populistici e di apparati militari penetrabili nel campo avversario e, in prospettiva, candidato a diventare una pedina di partenza per il completamento della globalizzazione ed un partner, apparentemente fragile, per l'apertura di un enorme mercato interno. Verso cui far transitare le produzioni occidentali e da cui trarre vantaggi dall'incrocio del controllo dei cespiti energetici. 

Come si vede, già dall'inizio delle strategie di ottimizzazione dei vantaggi si era in presenza di aspettative e calcoli, speculari, non esattamente in linea con l'”opportunità per tutti”. 

Insomma, sui due fronti di origine contrapposta e di potenziale armonizzazione e convergenza si è pensata la soluzione facilior. 

Dandosi reciprocamente un po' di offa e continuando con molte illusioni. Da parte Occidentale colpevolmente coltivando l'autoinganno della remissività di un modello deragliato, ma incorporante un complesso di potenzialità e, soprattutto, l'idiosincrasia a mutare il dna sovranista ed autoritario; da parte ex sovietica incardinando una tattica articolata, fatta di apparente interesse ad incorporare i tratti liberaldemocratici, in politica, e le regole del liberismo in economia, ma in realtà finalizzata, anche grazie a mantenimento dei formidabili apparati militari e dai giacimenti delle materie prime, a costituire un'offerta, tendenzialmente ineludibile nel tempo. 

Insomma, le terribili vicende dell'Ucraina, emerse recentemente ma latenti almeno in tutto il ciclo putiniano, dimostrano che il critico approdo di questi giorni è rivelatore di bilaterali calcoli incongrui con le premesse dell'ammaina bandiera di 30 anni fa. 

Che i tratti dell'autarchia del nuovo zar possano essere ritenuti coerenti con le premesse di un'entità statuale, mai proclive (dallo zarismo al bolscevismo) alla contaminazione con l'impianto liberaldemocratico) sembra scontato, quasi banale. 

Ma la risposta del “mondo libero” (accezione che andrà revisionata alla luce di una pervasiva tendenza favorevole a varianti se non dittatoriali sicuramente autoritarie, anche nel suo campo) non può che essere a lungo raggio di lettura ed elaborazione, soprattutto di respiro strategico e di massima condivisione e determinazione 

Più che mai: massima capacità nel leggere le vicende di questi ultimi 30 anni e delle ultime settimane, nel coniugare recuperate e feconde strategie suscettibili di rimettere in asse quell'equilibrio politico e macroeconomico mandato in frantumi da visioni ciniche e da calcoli poco avveduti; nel definire una risposta. Che sia un segnale molto condiviso, molto intellegibile, soprattutto capace di correlare efficacemente la risposta politica, economica, militare. 

L'incipit di questa risposta non può non incorporare, fino a farne un brand identitario, il binomio “no alla guerra, no alla soppressione delle prerogative di autodeterminazione, dei popoli e degli stati. 

I contesti impongono, soprattutto, una forte consapevolezza del profilo, passato e presente, della Repubblica d'Ukraina e della sua aspettativa, diversamente dal modello postsovietico praticato dal maggior partner ma anche da molti del ex junior partner d'Oltrecortina (a prescindere che siano rimasti fedeli alla Russia o che siano entrati nell'orbita, spesso in posizione grigia, atlantica ed europea, di entrare a pieno titolo nel sistema del libero mercato temperato dalla socialità e della liberaldemocrazia. 

Da ultimo percepiamo come fecondo una larga convergenza in termini di condanna dell'aggressione putiniana. Come dato laterale, ci fa piacere che un certo pacifismo, recalcitrante a mobilitarsi quando non c'è da bruciare bandiere a stelle e a strisce o bandiere israeliane, non abbia perso l'occasione di convergere in una testimonianza universale. 

Non sappiamo se e quanto, ma se l'autarca del Cremlino volesse percepire i segnali, avrebbe di che riflettere. 

In un successivo format riporteremo lettere dei lettori e dichiarazioni di movimenti politici e di associazioni, mobilitati per una vasta denuncia.

(e.v.

Una dichiarazione-appello di Claudio Martelli sulla guerra in Ucraina 

Una belva sull'uscio di casa 

Il popolo ucraino ha conquistato l'indipendenza nel 1991 con la dissoluzione dell'Unione sovietica, tuttavia nel 2000 con l'avvento di Putin la morsa russa è tornata a stringersi. Instabilità politica, conflitti e torbidi si sono moltiplicati toccando l'apice durante la presidenza Yanukovic, un quisling filorusso, un corrotto miliardario che ingannò il suo paese illudendolo di negoziare un trattato con l'Unione Europea.  Al richiamo di Putin, Yanukovic ruppe il negoziato con l'Europa nella quale gli ucraini riponevano le loro speranze di un futuro di libertà e dignità. La protesta popolare divampò soprattutto nella capitale e in quel 2014 piazza Maidan divenne famosa in tutto il mondo per il coraggio e la tenacia con cui decine – a tratti centinaia – di migliaia di insorti per più di tre mesi occupando la piazza reclamarono le dimissioni di Yanukovic e l'adesione all'Unione Europea. Resistendo alle bastonature, alle granate stordenti, al cecchinaggio, alle cariche della polizia, delle forze speciali e dei mercenari filo russi gli insorti di tutte le fedi religiose e politiche testimoniarono la loro voglia di libertà e di Europa con più di duecento morti e mille e ottocento feriti. Infine il coraggio pagò: l'opposizione parlamentare per un momento si unì e Yanukovic fuggì a Mosca con le valige piene di miliardi. La reazione di Putin fu rabbiosa: la Crimea fu annessa alla Federazione russa con un colpo di mano militare velato da un referendum organizzato da un occupante straniero. Subito dopo cominciò l'assedio russo a due città della regione orientale del Donbass, Donetsk e Lughanks poi erettesi a repubbliche indipendenti sotto la presidenza di due fedeli di Putin. L'indipendenza è durata lo spazio di un mattino: le due neonate repubblichette subito riconosciute dal Parlamento russo sono state ancor più prontamente annesse alla Federazione Russa.  

Con la sfrontatezza di chi usa la forza sicuro di non incontrare resistenza in una inquietante conferenza televisiva Putin ha comunicato a pochi dignitari del suo regime le sue volontà correggendo le dichiarazioni dei suoi subalterni quando non ricalcavano esattamente le sue parole. La novità del discorso di Putin è una ricostruzione storica che fa acqua da tutte le parti soprattutto da quella che ha negato l'esistenza storica dell'Ucraina come nazione distinta dalla Russia. Le storie delle due nazioni sono certamente intrecciate ma, all'opposto di quel che dice Putin, già prima dell'anno mille l'U-craina (terra sul confine) era stata cristianizzata dalla chiesa bizantina in lotta con quella franco germanica e la capitale Kiev era così evoluta da edificare splendide basiliche come Santa Sofia e monasteri come San Michele. A quel tempo le immense pianure che poi costituiranno la Russia erano invase dalle orde mongole e furono proprio gli ucraini a battezzarle con il nome di Rus'.   

E l'Europa? E l'occidente? Minacciano sanzioni se l'aggressione russa non si ferma e Putin stringe d'assedio tutta l'Ucraina. Non si vede neppure una mobilitazione delle coscienze di fronte alla nuda verità: è cominciata un'altra guerra nel cuore dell'Europa. La sua nazione più grande, l'Ucraina con i suoi 600.000 kmq al centro del vecchio continente, viene aggredita e smembrata perché vuole essere libera di essere europea. Certo, la Russia è molto più grande, ma, secondo l'attuale czar (cesare, kaiser ecc) Putin, “la Russia non è né Europa né Asia, è Russia”. In effetti è essa stessa un continente, anzi, è un impero bicontinentale grande trentadue volte l'Ucraina e sessantatre volte l'Italia. La nazione più grande al mondo ha un PIL di soli 1480 miliardi di dollari ben al di sotto di quello italiano coi suoi 1881 miliardi, un reddito medio per abitante di 10.000 dollari annui contro i 31.000 dell'Italia. Come è noto la risorsa economica della Russia è il gas –51% del pil – e dal gas dipendono molte nazioni europee - tra le prime l'Italia. Tanto basta per inginocchiarsi? 

Da ragazzo sentii dire “meglio rossi che morti”, ieri che non si può morire per la Crimea, oggi per il Donbass, domani lo si dirà per Kiev. Rinunciare alla libertà e alla dignità per il gas invece si può? Non ci hanno insegnato nulla gli insorti di piazza Maidan e tutti gli italiani che prima di loro morirono per la libertà di vivere e di scegliere da che parte stare? Non si vive di sola economia e chi si fa pecora il lupo se lo mangia. 

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Gli scacchisti

di Domenico Cacopardo 

Ciò che emerge con prepotenza dalle vicende delle ultime ore è la natura politica della vertenza aperta da Vladimir Putin che l'ha indotto a far la guerra all'Ucraina. L'assoluta disparità delle forze in campo rende ridicole e dimostra menzognere le asserzioni dello zar moscovita in ordine alla minaccia ucraina. 

Il fatto che è la politica a determinare l'articolazione delle forze in campo, ci dà l'opportunità di esemplificare considerando la questione strategica globale come una scacchiera a più lati e con più giocatori. Un campo di battaglia quindi che presenta un numero infinito di variabili e che premia e premierà chi sa giocare bene pianificando mosse e contromosse. Un gioco nel quale si mettono in palio e a repentaglio milioni di vite umane, nell'ipotesi che nella scacchiera, tra i pezzi, non ci siano le bombe atomiche. Qualche miliardo di donne e di uomini se nella scacchiera alcuni pezzi fossero costituiti da bombe nucleari e termonucleari. 

Dobbiamo peraltro tenere presente che non c'è nessuna garanzia di mantenimento di uno scontro a livello di armi convenzionali: il perdente, colui che sul campo si rivelasse più debole e, quindi, soccombente, ricorrerebbe di certo all'atomica se è nel suo arsenale. E va sul punto sottolineato che la disponibilità di atomiche tattiche delle forze armate russe è stata ripetutamente considerata dallo stesso Putin utilizzabile se la situazione sul terreno lo rendesse necessario. Il che non è escluso in Ucraina. 

In questo gioco difficile e, di fondo, fuori controllo Vladimir Putin ha messo sul tappeto un azzardo. Un azzardo che potrebbe vederlo in difficoltà e perdente, giacché come tutti i satrapi in fin dei conti si è circondato da «yes men», obbedienti e adulanti. Il che in genere ottunde ogni spirito critico. Chi ha dimestichezza con l'immensa pubblicista sulla seconda Guerra mondiale sa bene quanto Hitler abbia perso il contatto con la realtà per personali responsabilità e follie e per gli eccessi di obbedienza e di adulazione che lui stesso pretendeva. 

La scenetta trasmessa in tutto il mondo in cui uno dei capi dell'Intelligence russa esprimeva perplessità sulla linea scelta dallo zar dei nostri giorni è indicativa dello stato dell'unione di stati dell'Est. 

Perciò questo azzardo di Putin non ha alcuna relazione con lo stato dell'Ucraina, con le ridicole accuse di attacchi ucraini ai due staterelli della regione del Don, con l'asserita aggressività della repubblica di Kiev. Ha a che fare, invece, con la necessità interna di consolidare il proprio potere con un colpo di forza tale da accrescere il consenso nei suoi confronti e del suo sistema di potere personale. E il gravissimo crollo della Borsa di Mosca è un duro colpo, il più duro subito sino a ora da Putin, perché gli aliena il mondo degli affaristi su cui si è fondata gran parte del suo potere corruttivo e di suo corrotto. Un potere che fa parlare di cleptocrazia. 

Oggi e nelle prossime settimane Vladimir Putin deve guardarsi le spalle più che dagli americani dai suoi stessi gerarchi, dai suoi medesimi sodali, legati al capo da un giro di soldi e di benefici che l'azzardo ha messo in pericolo. 

Se questo non accadesse, dato che è molto difficile che accada, il corso delle cose si avvierà secondo natura. Intendo dire secondo la natura delle cose politiche e delle cose strategiche che segneranno il futuro di questo secolo dall'esordio drammatico. 

L'Ucraina, comunque, sarà l'Iraq della Russia o, se preferite, il suo secondo Afghanistan. Territorio immenso e popolazione ostile, in parte nemica, soprattutto nella Galizia, la regione occidentale più teutonica e meno russa del quadrante orientale. Là dove si potrebbe costituire -dopo il crollo di Kiev e dello stato ucraino- una nazione autonoma, alleata dell'Occidente. 

Naturalmente, sarà facile al padrone dell'impero insediare a Kiev un qualsiasi Vidkun Quisling (l'uomo messo da Hitler al comando della Norvegia) come presidente e dotarlo di una sua milizia composta da russofoni e da truppe mercenarie. Ma tutta l'operazione follemente messa in atto in Ucraina è ormai andata troppo avanti. La remota decisione propugnata da Nikolaj Krusciov di farne una repubblica, la n. 1 tra le altre, l'unica che dispone sin dalla costituzione dell'Onu di un proprio seggio nel consesso, ha prodotto i suoi frutti, dando alla fine, con il crollo dell'Urss, un'idea di nazione e di diversa appartenenza al popolo ucraino. Fu la tedesca Caterina La Grande che, estromesso l'occupante turco, creò un nuovo popolo costituito da tedeschi, russi, ebrei e italiani raccolti in giro per l'Europa. Gli accordi post sovietici, nei quali si discusse dell'arsenale nucleare e dei vettori rimasti in mano agli ucraini, hanno sì neutralizzato la comunque modesta capacità di offesa della repubblica Ucraina, ma hanno confermato la sua identità statuale. La conquista della Crimea e la creazione delle due repubblichette russofone ha completato il percorso necessario per fare di un popolo apparentemente simil-russo un popolo nemico dei russi. 

La logica del potere di Putin andrà alimentata nei prossimi mesi e nei prossimi anni di nuove sfide e di nuove conquiste, la prima delle quali è sotto gli occhi di tutti: si chiama Kaliningrad ed è una enclave incastonata tra Polonia e Lituania che ospita poco più di 1 milione di persone. Kaliningrad sarà la prossima mossa, la Danzica degli anni del primo secolo del terzo millennio, a dispetto dell'appartenenza alla Nato della Lituania e della Polonia. Potrebbe bastare un incidente nel quale qualche russofono ci perderà la pelle per autorizzare Putin a muovere le forze corazzate. 

Da qui ad allora, quando sarà, Putin non dovrà scontrarsi con l'Europa col nodo scorsoio dell'energia alla gola. Dovrà scontrarsi con gli Stati Uniti che, nel frattempo, avranno rafforzato ben oltre il possibile per Russia e Cina il loro arsenale militare.  

E l'Europa, se vorrà esistere e contare anche e soprattutto nei confronti dell'America e se vorrà salvaguardare le sue decine milioni di bottegai dovrà mettere mano al riarmo e alla costruzione di una identità politica reale, fondato sull'armata e su una politica estera a 3 soggetti e mezzo (Europa, Usa, Cina: il mezzo è la Russia). 

Certo, nell'attesa de la hora de la verdad, potremmo scegliere il disonore, ma avremo comunque la guerra (Churchill, dopo Monaco). 

In ogni caso, con questa guerra di significativa intensità, cadono le illusioni. Il confronto tra le grandi potenze va avanti inesorabilmente sino a quando non sarà necessario ricorrere alle armi. 

Un'ultima considerazione: a differenza di ciò che ritenevo qualche giorno fa, la Cina non approva la mossa avventata di Putin e per ragioni politiche concrete. L'America non è più in condizione di cedere 1 millimetro sul caso Formosa e Xi Jinping deve guardarsi le spalle, per il Kombinat comunista del suo paese, vero custode della Rivoluzione e dei valori del comunismo ibridato di capitalismo inventato da Deng Xiaoping. Un Kombinat, quello cinese che rifugge dalle avventure e pianifica a lungo raggio, secolare. 

www.cacopardo.it

Le parole e la guerra

Mauro Del Bue del 25 Febbraio 2022 L'editoriale 

Poiché leggo da molte parti posizioni piuttosto ambigue cerco di riepilogare quelle che per me sono osservazioni sbagliate e termini sbagliati. Comincio dalla prima osservazione. L'Ucraina non sarebbe stata invasa se la Nato, o gli Stati uniti per essa, avessero garantito che mai questo paese avrebbe fatto parte dell'Alleanza atlantica. Non é vero. Basta leggere quel che sostiene Putin. Il presidente russo nega identità statuale all'Ucraina. Per lui e il suo governo l'Ucraina é russa. Ha scomodato anche il Russ di Kiev, cioè il medioevo. per dimostrarlo. Al massimo può accettare una finta autonomia. Cioè un governo fantoccio simile a quello della Bielorussia. Secondo osservazione. Anche Kennedy nel 1962 minacciò una guerra qualora Krusciov avesse installato i missili a Cuba. Sbagliato. Kennedy non invase Cuba, anche se ci fu un goffo tentativo alla baia dei porci l'anno prima, e poi oggi non hanno alcun valore i missili alle frontiere in presenza di ordigni nucleari intercontinentali che possono colpire un grattacielo di New Iork da Mosca in pochissimo tempo e viceversa. Edward Luttwak lo ha precisato autorevolmente anche ieri sera in tivù. Terza osservazione. La Russia si sente accerchiata. Ma da chi? Chi sta minacciando la sua integrità, chi l'ha mai aggredita? Nessuno. Di più: se molte repubbliche ex sovietiche, a cominciare da quelle baltiche e per finire alla stessa Ucraina, hanno chiesto, e le prime ottenuto, di far parte dell'Alleanza atlantica una ragione ci sarà. E l'unica ragione possibile é che semmai esse si sentono in pericolo per la loro indipendenza nazionale mai riconosciuta dallo zar di Mosca. E aggiungo su questo punto quel che ha giustamente sottolineato il ministro degli Esteri italiano Di Maio, e cioè che tutte le nazioni hanno il sacrosanto diritto di scegliere i loro alleati. Comprese quelle ex sovietiche. Tanto più oggi visto che solo l'adesione alla Nato permette a Lettonia, Lituania ed Estonia, già assegnate all'Urss dal patto Ribbentrop-Molotov del 1939, di sentirsi relativamente al sicuro dalle pretese di Putin. Poi c'é la solita filosofia benaltrista che salta sempre fuori quando c'é da dar ragione agli americani, che di torti certo ne hanno avuti non pochi. Ma per dare solidarietà al popolo e alla nazione ucraina abbiamo proprio ancora bisogno di ricordare il Vietnam e lo sbandamento in Afghanistan? Perché non si è mai fatto la cosa all'opposto. Di ricordare, durante gli anni del Continente caserma anche i loro meriti. Ad esempio di averci liberato dal nazifascismo? Io, penso, e nessuno me lo toglie dalla testa, che ancora talune timidezze che intravedo a sinistra dipendano da questo malcelato pregiudizio ideologico che traspariva chiaramente dalle parole di Bertinotti, oggi in radio.  Un gioco di equilibri e di equazioni francamente un po' stomachevoli. Le timidezze putiniane di destra sono invece dovute a una certa ammirazione per l'uomo forte. Vedi Urban, il più restio anche in Europa alle sanzioni. E per il modello di stato, una democrazia illiberale, che accomuna i due. Oltre che dalle scommesse berlusconiane andate a finir male. Anche la terminologia va cambiata. Quando si va in piazza per la pace mi viene subito un dubbio. Si vuole la pace tra l'aggressore e l'aggredito? L'unica pace possibile é la pace imposta dal più forte. Dunque la pace dopo la capitolazione. Questa pace non mi interessa. Bisognerebbe cambiare termine. E rivendicare la pace dopo il ritiro delle truppe dell'invasore, la pace come trionfo del diritto all'autodeterminazione dei popoli. E quando si parla di pace, peggio ancora, non si intenda la nostra pace. Che significa trasformare la nostra impotenza, o peggio ancora, il nostro egoismo, in virtù. Se non possiamo far nulla, i nostri nonni fecero molto e partirono volontari per la Spagna e prima ancora per la Francia e la Grecia, non vantiamocene. Almeno stiamo zitti. 

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