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Nuovo ospedale

Praticamente un “pacco”

  11/03/2021

Di Redazione

Nuovo+ospedale

Per restare aderenti alle regole basilari (di derivazione anglosassone) dell'etica giornalistica, la notizia dovrebbe venir prima. Trattandosi di un prevalente approfondimento, imperniato (questa volta) sulla traslazione di contributi esterni (più o meno sollecitati e/o estrapolati da altri organi), ci permettiamo la licenza poetica di anticipare un potenziale conflitto d'interesse, in capo alla condizione di non totale indipendenza dalla materia in trattazione. 

Abbiamo, sia pure da socialisti in erba appartenenti alla fascia anagrafica in trasmigrazione dall'adolescenza alla gioventù, conosciuto i fondatori dell'attuale ospedale: il medico cattolico Emilio Priori e la maestra socialista Maria Galliani.  

Avremo modo, tra non molti giorni, di postare sulla nostra testata un ampio dossier documentaristico sul passaggio della sanità cremonese dalla cultura primordiale della carità verso gli ultimi alla qualificazione del diritto universale ed alla conseguente modernizzazione strutturale. Di cui la convergenza in un'entità unitaria (dovuta principalmente alla testimonianza di Giuseppe Garibotti) e la costruzione di un moderno nosocomio sarebbero stati gli obiettivi simbolici e strategici.

Forse ci siamo dimenticati (per utilità o per cattiva coscienza?) troppo in fretta del valore di questo percorso, lungo, impegnativo e dal risultato non scontato. 

La sanità pre-riformata era, in quella temperie, costituita in regime di IPAB (Istituti di Assistenza e Beneficenza), emanazione delle istituzioni locali sotto il controllo amministrativo della Prefettura. 

Operava in sinergia con i Comuni per l'aliquota relativa agli utenti in povertà ed in convenzionamento con le Casse Mutue.  

Per costruire o modernizzare ospedali non restava che l'autofinanziamento, per lo più basato sulla gestione del flusso delle donazioni. 

Fatto questo che costituiva un'evidente sproporzione tra l'immane fabbisogno finanziario e patrimoniale richiesto da un'impresa “storica” e la vastità della mobilitazione idealistica e concreta di massa. 

Si tenga conto dei tremendi tempi di povertà diffusa e di relativa ricchezza concentrata nelle mani di non molti abbienti e/o ricchi.  

Allora non ci si poteva avvalere dei vantaggi della messa in campo di influencer ma fortunatamente non venivano praticati il fundraising, tipo la campagna, di cui domani cadrà il primo anniversario “Uniti per la provincia di Cremona, insieme per aiutare il territorio” (c'è da giurare che ci torneremo su!). 

Il fabbisogno veniva raccolto dalle piccole e grandi donazioni, mobili e fondiarie, il cui buon investimento forniva un gettito da incremento. 

Un percorso di forte base idealistica e di alto livello prestazionale, mai schizzato da peculato (con la sola eccezione di sussurrate malversazioni in capo al Ras del Ventennio). Che avrebbe condotto ad affrontare e a concludere un progetto titanico. 

Di cui la città (e i subentranti gestori post riforma sanitaria) dovrebbero essere eternamente grati ai padri fondatori, che abbiamo citato. Ma saremmo reticenti se in questa luminosa fattispecie civile, non menzionassimo anche i grandi dirigenti amministrativi (Cottarelli e Majori) e sanitari (Lanzarini), grandi primari, centinaia di infermieri e ausiliari. Tutti orgogliosi del loro ospedale. Per carità, nulla, come sostenne Lavoisier, è immutabile. E non vogliamo impiccarci all'albero dei ricordi. Ma non consentiamo sul piano del rispetto che, per fronteggiare l'ignominia prestazionale della gestione pandemica e del default di un quarto di secolo del nosocomio cremonese, ci servano impunemente il “pacco” del nuovo ospedale. 

L'incalzare degli eventi pandemici, col loro portato di sofferenze e di morti tragiche, di sconvolgimento dei tradizionali binari esistenziali e comunitari, di carichi esponenziali di impegno professionale e di coinvolgimento emotivo collocati sulle spalle degli operatori del settore non consente queste spudorate vie di fuga dalle responsabilità delle poche virtuose gestioni e dal dovere di progettare nuovi ambiti e modalità di azione. 

Ma crediamo sia giunto il momento giusto per fare mente locale su questa proditoria distrazione di massa, delle consapevolezze e delle coscienze. 

Appare quanto meno strano il fatto che, normalmente, la dialettica politica ed istituzionale si manifesti prepotentemente su quasi tutte le questioni in campo. 

Mentre su un dossier come questo si manifesta una calca conformistica di sostegno di un progetto, peraltro, neanche ben delineato. Né nei prerequisiti di opportunità né sulla tempistica. Ammesso e non concesso che il proposito ci convincesse non potremmo non alzare la manina sulla destinazione di quella impressionante cubatura di detriti (prevalentemente tossico-nocivi) risultante dalla dismissione e dalla rottamazione. 

Ma neanche su questo aspetto sensibilità solitamente iper-reattive non battono ciglio. 

Si può stimare che, se i mandanti di questa operazione fishing sono rinvenibili nella sala regia dei “poteri” forti rispetto a cui la democrazia politica ha deciso di assumere un ruolo ancillare, il peggio della conduzione si sta avvalendo del tacito allineamento perbenistico. Tipico di una testimonianza collettiva che non sa più esprimere le ragioni della convenienza comunitaria. 

La nostra testata sta senza se e senza ma dalla parte più radicale del no. 

Ce ne dà un ulteriore motivo l'esternazione del dott. Cavalli, ospitata in un'area un po' defilata rispetto all'insistita centralità priva di contraddittorio con cui i promoter esitano gli immancabili destini del nuovo ospedale. 

Al contrario il contributo del dott. Cavalli oltre che essere nel diritto di par condicio espositiva, dovrebbe essere assunto come grande opportunità di riflessione a tutto campo. 

Per questo motivo lo proponiamo integralmente, nonostante sia stato già pubblicato. Per il suo valore assoluto e perché viene da una fonte che non si può impunemente catalogare come appartenente alla politique politicienne. Cavalli esprime con chiarezza ciò che la quasi totalità del mondo medico ed ospedaliero pensa. Che pensa la gran parte della rete istituzionale minore. Importante sarebbe far emergere questo sentiment inespresso.

Pubblichiamo, inoltre, il contributo di Giuseppe Carletti, per lungo tempo assessore comunale, ed Ettore Manes, consigliere comunale del Capoluogo. Entrambi hanno ricoperto in epoche diverse il ruolo di consiglieri di Amministrazione dell'Ospedale di Largo Priori. Possiamo azzardare che siano gli unici due sopravvissuti del ciclo della cosiddetta prima repubblica. (e.v.)

CORONAVIRUS: I PRESIDI SANITARI 

Un'idea magnifica. Una struttura ospedaliera nuova di zecca per la città di Cremona a ridosso della vecchia struttura ormai obsoleta, da riconvertire magari in un allevamento di piccioni. L'attuale ospedale è infatti vecchio di cinquant'anni, un tempo lunghissimo per una spedalità in così rapida evoluzione e quindi con la prospettiva entusiasmante di dismettere molte altre strutture per poter ricostruire nuovi ospedali a destra ed a manca: il Niguarda di anni ne ha più di 80, l'ospedale Poma di Mantovane ne ha 109, le origini del Policlinico di Milano si perdono nella notte dei tempi, l'ospedale di Crema è di qualche anno più anziano di quello di Cremona, gli Spedali Civili di Brescia anno superato la settantina... Se l'anzianità dei progetti di edilizia ospedaliera è il motivo che giustifica la costruzione di nuovi ospedali, ci sarà da divertirsi. 

Forse, però, riflettendoci bene, non è solo la vetustà del progetto a rendere critica una soluzione edilizia, quanto la mancanza di manutenzione e di aggiornamenti. Altrimenti Piacenza, il cui ospedale ha almeno cinquecento anni di storia, non avrebbe atteso il 2021 per il progetto di una nuova costruzione. Non c'è bisogno di essere particolarmente intelligenti per comprendere che tutti gli edifici e gli impianti hanno bisogno di manutenzione periodica: 

chiunque abbia la fortuna/sfortuna di essere proprietario di un immobile conosce bene la necessità di una corretta manutenzione. Strano invece che la gestione di molte strutture dedicate al servizio del pubblico obbedisca a logiche differenti, nelle quali non si riesce mai ad identificare alcuna responsabilità individuale. Ma tant'è, ci siamo abituati.

Comunque, al di là del finanziamento regionale per la costruzione di una nuova struttura ospedaliera e dell'entusiasmo con il quale gran parte del mondo politico ha accolto la notizia, restano almeno due problemini facili facili da risolvere: 

il destino del vecchio ospedale ed il destino del nuovo ospedale. Se per il primo abbiamo già interessanti indicazioni che ci derivano da precedenti esperienze, quali l'ex Inam di via Trento e Trieste che, a distanza di anni, è stato individuato come un importante Centro di protezione e rifugio dei volatili cittadini, per il secondo problema la soluzione è ancora più a portata di mano. A fronte dell'esodo in massa dei medici della attuale struttura ospedaliera e dei programmi regionali di ridimensionamento dell'attività clinica ed assistenziale cremonese (ultima la Tin), resta solo da capire come verrà riempito il nuovo edificio. La percezione attuale, in assenza di dati pubblici, è che molti cittadini cremonesi preferiscano, quando possibile, rivolgersi ad altre strutture sanitarie. Senza entrare in particolari scoraggianti, è un fatto che precedenti amministrazioni ospedaliere hanno minato il rapporto di fiducia dei cittadini nei confronti del nostro ospedale, laddove a mantenere il legame necessario con la popolazione ci ha pensato solo ed esclusivamente il personale sanitario. Oggi allo stremo. 

Se i medici fuggono dall'ospedale, ci sarà un motivo. Se i pazienti fuggono dall'ospedale ci sarà un motivo. È troppo allora chiedere ai rappresentanti delle istituzioni di fermarsi un momento a riflettere su questi gravi problemi, prima di costruire l'ennesimo edificio che ancora nessuno ha compreso come verrà riempito? Con quali specialità, quale personale, quali strumentazioni, quali rapporti con il territorio e le altre strutture sanitarie? L'unica soluzione è, a parere di molti (non necessariamente ‘tira indreè), quella di riguadagnare la fiducia dei cittadini cremonesi, mediante un programma chiaro, condiviso, basato su una corretta programmazione sanitaria, su dati trasparenti, sul coinvolgimento dei medici, sulle esigenze del territorio ed inserito in un progetto più ampio di revisione delle politiche sanitarie regionali. 

Servono più servizi non un nuovo ospedale 

Non sono tra i cremonesi che sentono la necessità di un nuovo ospedale. Sono tra quelli che un aiuto dagli enti superiori lo vorrebbero certamente. Ma per un raccordo ferroviario rapido con Milano, uno più rapido su strada con Mantova-Rovigo ed il ripristino della piena viabilità sui tre ponti che attraversano il Po. Credo che il nostro ospedale non meriti la demolizione per ragioni di adeguamento a normative regolanti il risparmio energetico e l'antisismica; perché altrimenti dovremmo abbattere l'intero centro storico di Cremona, a partire da Palazzo Comunale. Il nostro ospedale merita il reintegro delle competenze che ha sempre avuto; mentre i cremonesi non meritano di doversi rivolgere alle cliniche private o al settore pubblico di altre città. 

Meritano, invece, di sapere molto francamente e senza giri di parole, una cosa soltanto: il nuovo ospedale comporterà automaticamente il ripristino dei servizi smantellati? A me piacerebbe che si potesse investire per servizi all'avanguardia e a beneficio dei cremonesi. 

Temo, invece, che ci costruiranno un efficientissimo reparto di pronto soccorso a servizio del Sud Lombardia. 

Sta bene, ci mancherebbe! Ma non ditemi che state costruendo un nuovo ospedale per i cremonesi. L'ospedale di Cremona è stato costruito grazie ai lasciti dei cremonesi; non certo con finanziamenti di enti superiori. 

Io temo che l'investimento sulla nuova struttura non sarà accompagnato dal ripristino dei servizi via via smantellati negli ultimi anni. 

Mi pare che tutti si resti abbagliati da un'operazione della quale non si vedono i vantaggi per i cremonesi. 

Giuseppe Carletti

Da grande nosocomio a “ospedalino” 

L'aver passato 14 anni da Amministratore del nostro bel Ospedale mi ha convinto che non è necessaria la sua sostituzione con uno nuovo. Soldi sprecati, mi viene da dire subito. Perché? Ci sono fior di Ospedali come i Civili di Brescia ed il San Matteo di Pavia che funzionano benissimo, nonostante le strutture più datate del nostro che, per di più, negli anni recenti ha già ristrutturato diversi reparti. Sono sempre curioso di sapere per quante e quali altre città si è deciso, come pare si voglia fare a Cremona. di lasciare al suo destino un grande ospedale costruito solo cinquanta anni or sono e di sostituirlo con un nuovo "ospedalino" localizzato su una porzione dell'attuale recinto ospedaliero (riservata all'elisoccorso). Perché? Ma come, se fino a pochi mesi fa non c'erano più soldi neppure per poter mantenere la Terapia Intensiva Neonatale (un fiore all'occhiello del nostro nosocomio)? E poi, ancora considerando l'esodo massiccio di tanti professionisti (ortopedia, radiologia, neurologia, cardiologia.... Un Ospedale si distingue per l'alto livello specialistico e professionale. Essendo stato anche più volte ricoverato e dopo aver subito alcuni interventi ritengo, che il livello paramedico ed infermieristico sia di altissima qualità. 

Per quanto riguarda il livello medico specialistico penso che le dimissioni di medici capaci siano sufficientemente significative. Tempo fa si decise di togliere la politica dagli Ospedali ed oggi tutti sanno quanto di fatto non sia mai avvenuto. Avete mai letto su organi di informazione del riparto politico della scelta dei direttori generali da parte dei partiti che compongono le maggioranze in Regione? A tal proposito voglio soffermarmi sulle vicende che hanno riguardato in prima persona Formigoni reo di aver avvantaggiato le strutture private convenzionate a scapito del pubblico. Ecco probabilmente un Ospedale di ridotte dimensioni richiederebbe altri posti letto convenzionati (coi privati). Voglio sperare che non sia questo il disegno che ci sta sotto. Sappiamo tutti che la prevenzione sul territorio è stata fortemente penalizzata per trovare risorse per le convenzioni e sappiamo tutti quanto il covid abbia colpito per la carenza di strutture territoriali. Non lo sostengo solo io. Infatti, nell'Aprile 2020, più autorevolmente i 12 presidenti degli Ordini dei Medici di tutte le Province Lombarde hanno presentato una forte denuncia in tal senso. Teniamoci il nostro bell'Ospedale e si rafforzi la prevenzione sul territorio, una volta fiore all'occhiello della nostra intera Provincia.

Ettore Manes  

Completiamo, dopo aver registrato che negli ultimissimi giorni si affacciano sulla stampa cittadina anche le testimonianze contras, tra cui quella di uno stimato docente universitario, la panoramica dei contributi critici. Pubblicando la riflessione del coordinatore della Comunità Socialista, Tommaso Anastasio. Dal cui pensiero pare si possa cogliere quanto meno l'intento di avviare una campagna di mobilitazione contro l'ipotesi del nuovo ospedale

...come si direbbe allo stadio: "Pietro Cavalli, uno di noi!"

...ma allo stadio non siamo e non siamo nemmeno in piazza a fare un comizio. 

Quello che afferma l'ex primario genetista sulle pagine del quotidiano La Provincia è perfettamente in linea con quanto da noi dichiarato in tutti questi mesi. Stimiamo però il dott. Cavalli per la razionalità, ma anche la franchezza ed il coraggio mostrati nel giudicare negativamente ed in controtendenza rispetto all'indirizzo politico (incomprensibilmente) bipartisan regionale per la costruzione di un nuovo grande pronto soccorso nel nostro capoluogo. Evviva. Avete capito bene, perché all'atto pratico il nuovo Ospedale sarà sempre vincolato dalla declaratoria secondo il DM70/2015 (link) e dalla ormai scaduta Legge Regionale 23/2015 (link), con l'aggravante di essere in continua perdita in termini di reparti specialistici, medici e primari. Oltretutto da questa operazione, superflua e faraonica, non ci saranno ricadute benefiche per la medicina generale del territorio che rimarrà ulteriormente al palo. 

Il paradosso di tale impostazione della sanità che la Giunta Regionale intende perseguire, complici anche i partiti di minoranza (all'opposizione in regione ma al governo nel capoluogo), sta nel fatto che se la reale esigenza è quella di rispondere puntualmente alle acuzie e alle emergenze (come quella da coronavirus, ad esempio), allora sarebbe meglio istituire più PreSST sparsi nel territorio piuttosto di una meravigliosa cattedrale nel deserto che, come conferma il dott. Cavalli, ha già fatto e farà scappare gran parte dell'utenza (oltre al personale sanitario) verso nosocomi privati più attrezzati o alla meglio pubblici ma extra-territoriali. Cosa sono se non dei PreSST improvvisati tutti quegli stand all'ex filanda di Soncino, a Cremona Fiera etc, attivati per le vaccinazioni di massa? 

Pur consapevoli che oggi l'offerta di un sistema sanitario completamente pubblico sarebbe insostenibile economicamente e non reggererebbe alla domanda, siamo fermamente convinti che la strada intrapresa sia perniciosa e foriera di gravi ingiustizie sociali. Se passerà infatti questa impostazione ospedalocentrica, monca della medicina generale diffusa nel territorio, essa risulterà iniqua nel garantire, a largo spettro, la salute collettiva, poiché quest'ultima sarà quasi unicamente implementata nel settore privato (se non in strutture pubbliche ma fuori provincia) e quindi sempre più nella disponibilità dei più facoltosi a nocumento delle fasce reddituali medio basse. 

Volendo essere pragmatici e costruttivi e poiché non siamo soliti contrastare le intenzioni dietro le scelte politiche a prescindere (purché esse siano riconducibili ai principi di razionalità e trasparenza), ne contestiamo fermamente le ragioni occulte o, col beneficio del dubbio, l'inconsapevolezza dei fini. Diversamente, poiché non è tutto oro quel che luccica, in una situazione di estrema chiarezza e sincerità da parte della nostra classe dirigente, si potrebbero quantomeno creare o estendere opzioni contributive aggiuntive (già contemplate in molti Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro) per dare copertura a tutte le categorie di lavoratori e pensionati attraverso la sanità integrativa erogata con la mediazione di enti assicurativi che già operano nel settore. 

Senza quest'opera di trasparenza politico-istituzionale, i politici di oggi avranno sulla coscienza i morti di domani, ovvero coloro che non saranno in grado di coprire di tasca propria, non solo le spese sanitarie, ma anche i costi sostenuti per stare accanto ai familiari trasferiti in strutture fuori provincia, così come le eventuali riduzioni o perdite economiche dovute alla sospensione dell'attività lavorativa, etc... 

Ai cittadini in quanto elettori spetterà, come sempre, di trarre le proprie conclusioni e di giudicare politicamente (e a questo punto anche prima che i fatti si compiano per evitare lo sfacelo) i nostri rappresentanti sia di governo che di opposizione.

Tommaso Anastasio

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