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Legibus (et veritate et pudore) soluti

“Forse ci stiamo facendo prendere la mano da un moto di entusiasmo; ma pare di poter registrare, nel vasto calendario delle celebrazioni del 72° della Liberazione, una partecipazione vasta e convinta”: tale fu l’incipit con cui, sull’onda di un certo compiaciuto e ritrovato ardore indotto dal 72° anniversario della Liberazione celebrato il giorno prima, davamo conto della cerimonia di rievocazione dei Martiri di Bagnara

  05/05/2017

A cura della Redazione

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“Forse ci stiamo facendo prendere la mano da un moto di entusiasmo; ma pare di poter registrare, nel vasto calendario delle celebrazioni del 72° della Liberazione, una partecipazione vasta e convinta”: tale fu l'incipit con cui, sull'onda di un certo compiaciuto e ritrovato ardore indotto dal 72° anniversario della Liberazione celebrato il giorno prima, davamo conto della cerimonia di rievocazione dei Martiri di Bagnara.

Già! Ma, saggiamente ricordando la massima “in cauda venenum”, avremmo potuto anche evitare di sbilanciarci in una valutazione, positiva sino ai limiti dell'esaltazione, ma inconsiderata per un senso predittivo destinato ad essere smentito dai fatti. Inimmaginabili, ma non del tutto improbabili, considerati i precedenti.

Il veleno, che dal facile entusiasmo ci ha fatto ripiombare sulla terra, non era nella coda del classico scorpione, ma nelle “post-produzioni” del 25 aprile.

Ad essere almeno realistici ed avveduti avrebbe dovuto indurci un sano scetticismo, orientato da un assennato ancoraggio all'esperienza e alle sorprese, che i tempi correnti dispensano a larghe mani.

Da qualche anno andiamo registrando che al 25 aprile, con cui la stragrande maggioranza degli italiani festeggia o almeno rievoca la Liberazione, segue (e non per una successione tecnica di calendario) il 28. Data, che, per pochi (anche se ancora troppi), è degna occasione per ricordare (tentando possibilmente di mobilitare coscienze) “nel nome del duce tutti i nostri fratelli che subirono il martirio per non aver tradito l'idea fascista, la più bella e rivoluzionaria che c'è”.

Parole (riprese tra il virgolettato del quotidiano locale) e musica (perché poi si è anche cantato ed infine consumato il prammatico rancio cameratesco “in un ristorante famoso per i suoi bolliti”) dell'anfitrione/mattatore del raduno. Il quale, lo scriviamo per completezza di cronaca, ha, dopo aver bellamente snobbato la cerimonia religiosa (che sempre motivò la rimpatriata), debitamente rampognato vescovo, parroco ed autorità. Accusati di aver vietato “la benedizione delle tombe dei nostri eroi”. La categoria è stata, dal predetto portavoce, ampliata (forse in omaggio alla piega internazionale fatta assumere all'evento dalla partecipazione delle delegazioni francese e spagnola), fino ad includere il maresciallo Pétain. Per gli immemori, capo del governo francese, collaborazionista degli occupanti nazisti (anche per la “soluzione finale”). Ed Erich Priebke, criminale di guerra tedesco, agente della Gestapo e capitano delle SS, nonché pianificatore ed esecutore dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Vorremmo, sia pur di passaggio, far presente al nostalgico portavoce che la fattispecie del “martirio” poco si adatterebbe ad entrambi. A Pétain, che, pur condannato a morte, decedette nel suo letto (per quanto in carcere) alla veneranda età di 95 anni. Mentre il valoroso (sic!) camerata tedesco Pribke, dopo aver svernato decenni nell'ospitale Argentina, schivò la meritata pena capitale e rimediò un ergastolo “domiciliare”. Scontato (con diritto di passeggiata e di shopping), nel confortevole clima romano ed nella invidiabile location messa a disposizione nel centro storico. In tali richiamate condizioni vessatorie, ci avrebbe lasciato da ultracentenario; non prima di aver consegnato ai posteri, insieme ad una perla del campionario negazionista (nei “campi” le camere a gas non si sono mai trovate”), un proprio profilo/testamento: "fedele al passato e ai miei ideali".

Insomma, di Franza o di Spagna, se l'era, considerando i carichi pendenti, cavata mica male. È pur vero che una figura così “luminosa” era riuscita a catalizzare anche alcune “insospettabili” comprensioni. Come la obliqua testimonianza di Indro Montanelli. Il quale in una lettera scritta nella primavera del 1996 (epoca della prima condanna di Priebke a 15 anni di reclusione), pur ricordando come la strage delle Ardeatine fosse costata la vita a due suoi «vecchi e cari amici», espresse dei dubbi sulla liceità del processo e di un'eventuale condanna dell'ex ufficiale tedesco (“ Da vecchio soldato, e sia pure di un Esercito molto diverso dal Suo, so benissimo che Lei non poteva fare nulla di diverso da ciò che ha fatto [...] Il processo si dovrebbe fare alle aberrazioni dei totalitarismi e a certe leggi di guerra che imponevano la rappresaglia. Certo: lei, Priebke, poteva non eseguire l'ordine, e in pratica suicidarsi. Questo avrebbe fatto di lei un martire. Invece, quell'ordine lo eseguì. Ma questo non fa di lei un criminale”).

Se ci fu questa quasi assoluzione ideale e morale, da parte di una figura fumantina come Montanelli (cooptato nel larario della sinistra post-comunista, non si sa se più per gli endorsementents antiberlusconiani o in deroga al gravissimo pronunciamento su Priebke), figurarsi se poteva mancare l'afflato dei “nostalgici” nostrani. Che, da oltre settant'anni, non indietreggiano nella immarcescibile determinazione di indirizzare il loro immemore tributo al duce della rivoluzione fascista. E di riservare una particolare predilezione alla figura forse più inquietante e detestabile del ventennio. Che riposa nei pressi della “Chiesa” al centro del civico cimitero. Una figura che effettivamente, per le opere e le testimonianze offerte in vita, ha titolo per unire nel ricordo il combinato delle peggiori famiglie del nazifascismo.

E, poiché la performance del neofascismo cremonese non è nuova, negli anni scorsi ci eravamo rifatti all'aforisma di James Russell Lowell, secondo cui “solo i morti e gli stupidi (e, aggiungiamo noi per alleggerire, i paracarri) non cambiano idea”.

Un parallelo, che per la piega che le “celebrazioni” hanno preso al civico cimitero di Cremona ed al Campo X del Musocco di Milano, potrebbe essere interpretato come compiacente accondiscendenza.

Da tale punto di vista, si premette che personalmente, per quanto ci piacerebbe molto un approdo ecumenico alla piena ed accettata condivisione delle fondamenta democratiche e repubblicane della nuova Italia, non faremo nulla per attenuare l'aforisma di cui sopra.

A condizione che la libertà di non cambiare idea (cosa che troppi italiani, specie gli annidati nel capiente ventre della burocrazia, fecero, settantadue anni, per conformismo), non implichi forme conclamate di violazione della legge.

A derubricazione (e non perseguimento) delle quali molti pietose sensibilità non partisan azzardano il superamento di siffatti reati che sarebbero manifestamente d'opinione.

Può essere considerata un reato di opinione la fedeltà al passato espressa in forma di aperta violazione delle leggi (Scelba e Mancino), che fanno divieto di apologia, espressa con modalità manifeste, e per di più nell'aggravante rappresentata dalle contestuali celebrazioni della Liberazione e dal totale dispregio nei confronti degli espliciti provvedimenti di negazione delle richieste autorizzazioni?

Altrettanto grave appare la circostanza che a Cremona, in piena violazione di tali disposizioni, una cinquantina di persone si siano puntualmente presentate al civico cimitero col proposito di violarle. A Milano sono state addirittura mille. Che, ancorché non richiedenti preventive autorizzazioni (che si ha motivo di ritenere non sarebbero state concesse), si sono radunate, come e più dei precedenti anni, al Musocco per reiterare la commissione dei medesimi gravi reati.

Volendo riassumere ciò che, in tutt'Italia, è avvenuto solo a Milano (con modalità sorprendenti) e a Cremona (con dinamiche manifestamente annunciate), il 29 aprile 2017 c'è stata un'escalation (di significato e di contenuti) di illegalità. I saluti romani e i vessilli d'ordinanza, gli inni ed i gesti, in passato corollario della benedizione e della preghiera (che non si nega a nessuno, come qualche insospettabile antifascista cremonese ha concesso)) si sono rivelati per ciò che erano e volevano essere. Per quanto, anche nella versione permissivista degli ultimi anni, avevano già passato il segno.

Ma entriamo nei dettagli.

I 1000 incursori del campo X del Musocco, a dimostrazione dell'intenzionalità di violare la legge (loro che fanno dell' ”ordine” un mantra, giustificandosi con un improbabile “abbiamo voluto solo rispondere ai vergognosi ed infami divieti”) si sono, nel beffardo proposito di scavallare conseguenze sanzionatorie, fatti riprendere di spalle. Diversamente dai colleghi cremonesi, che, impegnati in analoga mission, spavaldamente si sarebbero mostrati.

Li aspettavano al raduno per il tributo a Ramelli e Pedenovi. Ma i nostalgici, gabbando il fronte contrapposto (che il più delle volte si materializza con denunce postume) e le autorità di polizia, hanno preferito la tradizione. A cose fatte, “la Digos è alla ricerca di testimoni che potrebbero riferire dell'esatto comportamento dei militanti dell'estrema destra milanese” ed il Sindaco Sala (“condanniamo fermamente questi gesti e queste provocazioni, continueremo a fare tutto quanto è in nostro potere per evitare iniziative del genere. Mi auguro che le autorità competenti agiscano perché la nostra Costituzione e le nostre leggi siano rispettate” ha chiesto l'intervento delle autorità (“ Alle parole devono seguire i fatti, stigmatizzando anche violenze e prevaricazioni di centri sociali e sinistra radicale”. Una severità, che, nella sollecitudine di interpretare tutta la città, rivela una certa inclinazione alla teoria degli opposti estremismi.

A dar man forte allo sdegno del Sindaco di Milano (cui è ritornata la favella dopo il silenzio-stampa osservato in occasione delle Primarie del PD) è scesa in campo una figura, la cui sola evocazione ci provoca l'orticaria.

Il presidente della Camera dei Deputati non si è fatta mancare un perentorio: “Sono certo che le autorità competenti, che già erano intervenute in modo efficace alla vigilia della Liberazione, sapranno attuare tutti i provvedimenti necessari a dimostrare che lo Stato non si fa deridere dai nostalgici.”

Già, ad averlo saputo…

Quanto a ciò Cremona la questione trova la strada spianata. Andiamo con ordine. In materia di stigmatizzazione delle violenze rosse, non ci supera nessuno: siamo al quint'ultimatum (o forse più) dello sfratto dalle sedi comunali che ospitano i CSA (notoriamente fucina degli operatori stigmatizzati da Sala a Milano e da Galimberti a Cremona). Per l'attivazione sull'opposto versante, hai voglia! Non c'è nessun testimone da interpellare per riferire. È tutto già nelle registrazioni, nelle immagini fotografiche e nei resoconti dell'informazione stampata e telematica.

Esattamente come negli anni precedenti. Con la differenza che i partecipanti al pietoso raduno, dopo la revoca della disponibilità a griffare di religioso un evento di ben altri proponimenti, hanno saltato la Messa. Presentandosi direttamente sulle tombe dei loro”martiri”. Per fare esattamente ciò che da anni vogliono fare. Vale a dire l'apologia. E con l'aggravante, rappresentata, quest'anno, dal preventivo esplicito divieto dell'autorità pubblica (oltre che di quella religiosa). La quale in passato, un po' ammiccando ed alludendo, aveva di fatto coperto le gesta di un prete manifestamente nostalgico (posto in quiescenza) e del successivo titolare (ritirato dalle prime linee, presumibilmente a seguito del pasticcio del presepe al cimitero, prima negato e poi accettato). Come è facile concludere, rispetto a Milano siamo più avanti: gli eventuali reati sono tecnicamente registrati e documentati ed il Sindaco non deve chiedere nulla alle autorità. Ergo? Ci saranno gli esposti di polizia all'autorità giudiziaria, le indagini, le denunce politiche, le interrogazioni parlamentari. Quindi, la coscienza civile ed i percorsi del rispetto (formale) della legge sono a posto. Poi, seguirà una dissolvenza funzionale a far calare la soglia dell'attenzione. Ed il prossimo 28 aprile saremo di nuovo alle prese con una criticità che si ripresenta, pari pari, tutti gli anni. A cominciare dal 28 aprile successivo al XX della Liberazione; quando, se non si ricorda male, cominciò il ciclo del tributo ai valorosi camerati. Prima di quel 1965, l'ambiente del neofascismo cremonese, per quanto ben radicato nella vita locale, aveva stimato poco igienico un contrasto con l'ambiente antifascista, all'epoca ancor “militante”.

Fatto sta che, nei giorni immediatamente seguenti al giorno della celebrazione della Liberazione, vistosamente appaiono decine di manifesti 70x100 con cui si annuncia un'inedita messa di suffragio per Mussolini.

Gli ambienti dell'antifascismo cremonese reagiscono con comunicati sdegnati e, tra le varie iniziative, discretamente affidano all'organizzazione giovanile dell'ANPI (Nuova Resistenza) una notturna postilla sui manifesti. Su cui i cinque o sei imberbi appartenenti alla FGCI ed alla FGS (del PSIUP) applicano uno striscioncinI recantI la scritta “requiem per un assassino”. Conclusione: i giovani antifascisti (minorenni), intenti a coprire i manifesti affissi sulle palizzate delimitanti il cantieri delle erigende sedi bancarie di Piazza Roma, vengono fermati, trattenuti per tutta la notte in Questura (senza che i genitori ne fossero informati) e diffidati dal dirigente della “mobile” (che nell'operazione aveva impegnato due “gazzelle” ed una decina di agenti).

Ovviamente la messa di suffragio ebbe luogo (con l'ovvio corollario apologetico). Quell'anno e negli anni successivi.

Con buona pace della stampa che, facendo il proprio dovere, ne fa dettagliata menzione. Delle autorità di polizia (con l'aggiunta, in epoca recente, degli agenti urbani) vigilano e trasmettono i competenti rapporti. Della giurisdizione che li riceve e, che essendo stata subissata dall'over-employement del calcio scommesse, ha accumulato arretrati biblici e procederà a termini di legge.

Ma si crede veramente che Sala, la Boldrini ed i loro referenti locali non lo sapessero e non sappiano?

Se tanto incontenibile era ed è la loro sollecitudine nei confronti del rispetto delle norme, che vietano l'apologia del fascismo (soprattutto, se praticata nell'odiosa versione del negazionismo), perché non si sono attivati prima?

Già il fatto di non aver avvertito che a Milano si stavano radunando 1000 persone per le gesta apologetiche getta un'ombra inquietante sulla vigilanza preventiva. Ma, accettando per buona la versione dell'effetto sorpresa, cosa sarebbe accaduto se si fosse voluto effettivamente contrastare la commissione di massa, da parte di 1000 manifestanti, di reati così gravi?

In scala ridotta, il medesimo interrogativo si porrebbe per lo scenario di Cremona; dove inni, labari, e romani saluti hanno impegnato solo una cinquantina di manifestanti.

A contrastare i quali, obiettivamente premesso (per quanto il reato sia gravissimo) che un conto è la paccottiglia nostalgica ed altro sarebbe la commissione espressa con modalità violente, come si penserebbe di attrezzarsi? Specie se l'adozione di misure di deterrenza e/o di contrasto avesse come conseguenza una risposta non remissivo dei manifestanti.

È una domanda ragionevolmente retorica. Considerato che i componenti, prevalentemente attempati e non esattamente palestrati, del manipolo, potrebbero non aver mai lontanamente prevista l'evenienza, stimati i precedenti, di dover affrontare prove più impegnative. Che, archiviati inni, saluti romani e gagliardetti, non fossero le conclusioni del raduno “coi piedi sotto il tavolo” debitamente prenotato per di più con un menù non esattamente da cucina mediterranea).

Basta questa osservazione per catalogare la commissione del reato come bagatella? Trascurabile ed utile solo agli spottoni, che mettono a posto le coscienze democratiche, e che fanno gonfiare il petto agli impavidi testimoni dell'antifascismo delle chiacchiere e delle denunce (rigorosamente postume)?

Perché, sarebbe bene considerare che, se in materia di antifascismo, si vuole fare una sorta di fronda al re, allora si abbia il pudore di non coinvolgere categorie etiche impegnative.

Se, invece, non si scherza, allora bisognerebbe proprio cambiare registro.

Particolareggiatamente come, specialmente se si volessero mobilitare coscienze e testimonianze “di massa” (come si sarebbe detto un tempo), diventa impegnativo dirlo.

Noi azzarderemmo, considerato che alle imbarazzanti criticità della beffarda apologia, alcuni settori dell'antifascismo cremonese hanno aggiunto danni collaterali di iniziativa propria, l'ineludibile esigenza di un resettaggio delle modalità con cui si inclina a testimoniare i valori della Resistenza e della Liberazione.

Da tempo, andiamo sostenendo che, se vuole raccontare senza ideologismi la storia del paese e fare del 25 aprile lo snodo unificante ed accettato della nuova Italia repubblicana, la Resistenza dev'essere sottratta a certi monopoli culturali.

Ed a certi consolidati impulsi a strumentalizzare la storia ed i valori partigiani a scopi impropri e collaterali alla dialettica politica.

Il picco di tale biasimevole tendenza si è toccato in occasione della campagna referendaria. In cui una nota associazione partigiana è scesa in campo con la pretesa di imporre un nesso assiomatica tra la fedeltà all'antifascismo e la condivisione di una delle opzioni in campo.

Tracce di questo arbitrario e pregiudizievole discrimine sono riecheggiate nella lunga ed inesauribile temperie post-referendaria e congressuale del PD.

Finendo per schizzare, come è avvenuto anche a Cremona (dove non ci si fa mai mancare niente, in materia di gesti masochistici), e nel bel mezzo delle celebrazioni, l'autorevolezza della testimonianza.

Se ci si accapiglia sul terreno delle correlazioni cromatiche tra simboli della Resistenza e legittime testimonianze politiche, per di più pretendendo che vengano assunte come valore irrefutabile, allora non ci si rende conto di provocare, in contesti nient'affatto sereni e pacifici, danni tremendi all'esito della missione di divulgare e rafforzare i valori che si dice di voler celebrare.

E ci si sorprende e si protesta vibratamente, se gli epigoni di un passato che vorremmo fosse definitivamente sepolto continuano la loro sinistra opera.

Qualsiasi risposta all'apologia fascista che ecceda le condanne di maniera, utili solo a tranquillizzare la coscienza, non può partire se non da basi di verità storica e da intenti coerenti ed inclusivi.

In questo senso, deve farsi strada con maggiore determinazione il contributo dei settori moderati dell'antifascismo, che non si sono mai piegati all'uso strumentale della Liberazione.

Dall'archivio L'Eco Storia

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