L'officina della Cattedrale di Cremona
Matilde della Casa degli Attonidi (1046-1115), meglio celebrata come Matilde di Canossa, vive nel riverbero delle pietre più amate dalla città di Cremona, nel cuore del maggior tempio della pietà popolare: la Cattedrale. Ed è proprio lì che il segno della cultura matildica mediopadana ha lasciato dal 1107 ad oggi la propria impronta, la propria radice. È infatti nel residuo sistema delle forme romaniche riscontrabile ancor oggi in Cattedrale che Matilde, indomita madrina della riforma gregoriana, giunge sino a noi parlandoci dell'alto valore estetico e religioso ricaduto sulla città di Cremona attraverso la forza della sua influenza politica e del suo potere.
Il critico d'arte Arturo Carlo Quintavalle, nel definire Matilde “madre che allatta le chiese del suo territorio”, ha dato un incisivo rilievo non solo alla notevole quantità di edifici di culto da essa costruiti, ricostruiti od abbelliti, ma egli ha pure rimarcato il ben più importante fine ideologico e culturale da essa assegnato alle varie officine romaniche padane del tempo.
Officine che furono depositarie dell'espressione di un pensiero rinnovatore, da promuovere e divulgare a livello popolare e da utilizzare con un codice di lettura estremamente semplificato nella riproposta dei valori etici propri della purezza della chiesa delle origini. Di una chiesa rinnovata, insomma, concepita come baluardo e rinascenza da opporre nei confronti del dilagante clero corrotto simoniaco e concubinario, e sia nei confronti del reattivo e contiguo svilupparsi del radicalismo patarino contestatore di ogni sudditanza.
La pietra di fondazione della Cattedrale di Cremona, tuttora visibile nella sagrestia dei Canonici, testimonia che l'inizio dell'edificazione della “maggior chiesa cremonese” è avvenuta il 26 agosto del 1107, sotto il pontificato di papa Pasquale II (1099-1118). Ai lati di essa si trovano le figure dei profeti Enoch ed Elia che troviamo rappresentati nel medesimo modo alla lastra di fondazione del 1099 nella Cattedrale di Modena, tempio per eccellenza dell'officina di Wiligelmo, e specchio iconografico anche delle figure della scultura monumentale coeva della cattedrale cremonese.
Quintavalle, partendo dal suo saggio “La Cattedrale di Cremona” elabora e sostanzia l'idea che l'officina modenese non fosse attiva solo a Modena, ma anche fuori da questa città, ed in primis a Cremona, dove individua, come già aveva scritto lo studioso Porter, la mano di Wiligelmo nel cosiddetto “Maestro dei Profeti” ed in altri pezzi. Va però ricordato che dietro alla mano di Wiligelmo, a Modena, è presente l'accertata committenza del mecenatismo politico di Matilde, mirato ad assecondare la crescita della città sotto la sua personale protezione.
La Gran Donna manifestava infatti un interessamento reale e continuo alla vita delle città medioevali che cercò di riconquistare alla fedeltà non solo verso Roma, ma anche verso lei stessa, quasi fosse presaga di perdere dette città una volta che le spinte al processo iniziato verso l'autonomia fossero sfociate nella compiutezza delle statualità comunali.
Le città, insomma, erano al centro della sua attenzione, specialmente in rapporto agli enti ecclesiastici che in esse operavano, e questa predilezione, condizionata dall'equilibrio delle mutue alleanze territoriali non verrà ricambiata dal corso degli eventi. A cavallo del 1100, infatti, le città stesse vedono ormai evidenti i segni premonitori dell'affacciarsi e del progressivo affermarsi del movimento comunale che porterà come conseguenza diretta la disgregazione dello Stato dei Canossa. Ma questo avverrà in un tempo successivo alla costruzione delle Cattedrali di Modena e Cremona. Qui, all'epoca di questi grandi cantieri, Matilde è ancora viva ed il suo potere si manifesta mirabilmente nei registri estetici di un'arte sopraffina.
Da Modena a Cremona
Nella Relatio Translationis corporis S. Geminiani, codice del XIII secolo che riporta un testo contemporaneo degli avvenimenti, sono descritte le vicende che portarono la città di Modena ad erigere una nuova cattedrale. Il manoscritto, come spiega Quintavalle, nel quale “si raccontano e insieme raffigurano per immagini eventi antecedenti di circa un secolo, probabilmente assumendoli non semplicemente da un codice antico ma indirettamente anche da un complesso dipinto”, è corredato da quattro miniature dove Wiligelmo non appare e solo l'architetto Lanfranco è rappresentato come protagonista in scena.
Nelle prime due, infatti, Lanfranco dà ordini ad “operarii ed artifices” e nelle altre due invece si descrive la traslazione delle reliquie di san Geminiano nel nuovo Duomo, avvenuta nel 1106 alla presenza del clero, del popolo, dello stesso Lanfranco e di Matilde, che tiene apparentemente le fila dell'intera vicenda.
Sul libro “Matilde e i Canossa nel cuore del Medioevo”, lo storico Paolo Golinelli scrive che “lo scoprimento della tomba di un santo era sempre un momento di particolare attrazione e attenzione: si temeva che le reliquie fossero svanite, ed il corpo ridotto in polvere; si aveva paura che qualcuno approfittasse della situazione per accaparrarsi reliquie, sottraendo il corpo santo”.
Ed è proprio per questo motivo che gli strati popolari e i nuovi ceti cittadini si opponevano a tale operazione, temendo che la situazione potesse sfuggire loro di mano, avendo paura di perdere quello che era il maggiore fattore di identità cittadina, ossia per l'appunto il santo vescovo patrono.
Lo stesso fattore era rappresentato a Cremona, nella Cattedrale del 1107, dalle reliquie di Sant'Imerio, acquistate da Liutprando (vescovo dal 962 al 970), dal vescovado di Amelia in Umbria, divenute poi oggetto di venerazione nelle chiese episcopali cremonesi succedutesi nel tempo.
Ma per riprendere il fervore particolare dell'anno 1106, nel quale per coincidenza significativa morì il nemico “odiato-amato” di Matilde, ossia l'imperatore Enrico IV, apriamo una pagina scritta dallo storico Vito Fumagalli che ci accompagna nella febbrile “vitalità edile” che contrassegnò il ciclo che partorì la costruzione delle nuove case di Dio: “Le forze che erano destinate a vincere più delle altre allora, esibivano i segni della loro nuova potenza: a cavallo dell'anno 1100 a Modena si costruiva la nuova cattedrale e la città imprimeva così nella pietra chiara la sua nuova immagine sfolgorante, sicura ormai di poter dominare pienamente un territorio più vasto, e di crescere, di crescere ancora, come mai prima le era accaduto. Assistette a quegli inizi, al nascere della nuova cattedrale, Matilde in persona, ormai vecchia e stanca, crediamo”.
Nel 1106 siamo ad un anno esatto dall'inizio dell'edificazione della cattedrale di Cremona: il che giustifica la tesi del passaggio professionale e culturale del lavoro di maestranze specializzate da un cantiere appena chiuso ad un altro similare che si sarebbe aperto di lì a poco. E non tanto perché diretto dallo stesso “magister” o “dottore in pietra”, ma perché forgiato in modo militante dalla stessa cultura, dalla stessa logica a monte, dallo stesso afflato religioso che si sarebbe poi visualizzato e materializzato fra ponteggi, argani, centine e malte, mattoni e pietre nella cornice di una sensibilità orante, in un lavoro intriso di preghiera e di lodi tintinnanti di fatica e di sudore.
Riteniamo, infatti, che lo spirito benedettino non venisse tenuto racchiuso e trincerato all'interno delle mura dei monasteri e delle abbazie. Siamo convinti invece che esso si dilatasse all'esterno col messaggio più imponente e significativo, ossia con l'esempio. Era questo lo spirito che accompagnava anche i costruttori di una nuova idea, i protagonisti del progetto esecutivo di quelle università interdisciplinari costituite dai cantieri delle cattedrali, dove gli operai avvicinandosi al termine delle loro fatiche e del loro ingegno avevano l'impressione di toccare, con le falde del tetto, le volte del cielo.
E Matilde di Canossa, la gran donna del medioevo italiano ed europeo, fu la madrina di tutto questo.
Ed è da quel mondo in rapida evoluzione, che ho preso lo spunto per scrivere il mio ultimo romanzo ambientato nel 1110, dal titolo “Delitto nella pieve di Soncino”.