Ricorderanno i nostri elettori che da tempo è latente nei nostri palinsesti editoriali la rubrica che avevamo intitolato “EdP SARANNO FAMOSI….”. Una rubrica officiata, avevamo scritto nella presentazione, della “messa a fuoco delle origini di “carriere“ (giornalistiche s'intende), punzonate dagli impulsi di apertura e di contaminazione ai contributi esordienti e non esattamente omologati del nuovo corso riformista cremonese e della rinnovata testata bissolatiana.
Mentre tale premessa si attaglia perfettamente ai primi profili tracciati, per Floriano Soldi bisognerebbe precisare che se non proprio famoso, affermato ed apprezzato, per quanto ancora molto giovane, giornalista lo era già.
Un po' compiacendo al clima ferragostano che inclina a richiami se non proprio rilassati, comunque distanti dalla pressione delle evidenze quotidiane, ed un po' sollecitati dalla bella pagina dedicata da Felice Staboli sulla Provincia di oggi alla dinasty giornalistica dei Soldi (Fiorino, Floriano e, tutto lascia pensare, dalla terza generazione Margherita) ci siamo determinati a togliere dal baule dei ricordi quanto proponiamo ai lettori.
Il ricordo umano e professionale dei due Soldi non ha certamente bisogno di sponsorizzazioni; in quanto, soprattutto, quello di Floriano, per ragioni sia di contiguità anagrafica sia per il portato della bella iniziativa dell'annuale concorso riservato agli studenti del Manin, si può azzardare non ha mai lasciato i contesti attuali. Poiché qui ci occupiamo degli incroci con Floriano, aggiungeremo solo al bel profilo tracciato da Staboli (un collega, capace di spaziare dall'economia allo sport, tifosissimo della Cremonese), l'eleganza, l'arguzia e la capacita di farsi voler bene erano alcuni dei suoi tratti distintivi…) un cenno alla discontinuità tra il sr e jr della dinastia di giornalisti ed intellettuali. Della tragica fine del padre ha detto tutto il redattore de La Provincia. Non ci resterebbe da aggiungere solo la conferma della profonda impressione suscitata universalmente nella comunità cremonese. Cui evidentemente non faceva difetto il senso di obiettività nel riconoscere il valore professionale, in contrasto con quelle malmostosità di rapporto consolidate nel corso di decenni di contrapposizione (specie con l'elettorato di sinistra). Non tanto in rapporto alla mission editoriale di una testata prevalentemente (ri)nata per marcare il peso nella vita locale della categoria proprietaria, quanto alla vecchia ruggine marcata nelle generazioni esordite, nell'immediato secondo dopoguerra, nelle attività giornalistiche.
Qualche anno fa focalizzando le vicende del ripristino delle garanzie liberaldemocratiche tra cui l'informazione, scrivevamo: “Indubbiamente, non appare, alla luce degli sviluppi successivi, una forzatura l'individuazione di Masone (ndr Mauro) come uno dei più autorevoli, a dispetto dell'età, referenti del potere che si andava delineando".
Un'autorevolezza, inequivocabilmente suggellata dall'assunzione della direzione del più accreditato quotidiano economico, ma esaltata, nel panorama cremonese, da quello che erroneamente potrebbe essere avvertito come un passo indietro; rappresentato dalla successione, dopo il lungo periodo di Fiorino Soldi (che era stato qualche anno prima fondatore del “Fronte della Gioventù”), al vertice de “La Provincia”. Senza tema di smentite, si può affermare che il rapporto tra le due giovani e brillanti penne, accomunate dall'esordio al Fronte Democratico (durato l'éspace d'un matin) e affacciate alla professione giornalistica, prima, e, poi, alla direzione editoriale (in un quasi istantaneo prosieguo) sia stato qualcosa di più che sinergico. Specie da quando il giovane Masone salpò da Cremona per assumere l'incarico di redattore capo e poi di direttore del prestigioso quotidiano il Sole 24 ore; lasciando spazio al collega ed amico Fiorino.
La dipartita per Milano sottrasse, in qualche modo, Masone dalla concentrazione del fuoco polemico dei vecchi compagni di militanza partigiana e di testimonianza giornalistica; prerogativa riservata a Soldi, che era restato sul campo.
D'altro lato, più che in punta di fioretto la dialettica tra il campo dell'informazione conservatrice (e reazionaria, aggiungevano molti) ed il campo politico, cui il “giornale dei cremonesi” non risparmiava nulla, valicò frequentemente il ricorso alle vie legali (quasi sempre tra Zanoni e Fiorino Soldi).
Rebus sic stantibus, nessuno immaginerebbe che il Soldi jr avrebbe manifestato tratti distintivi, marcatamente in contrasto con i convincimenti e le testimonianze della generazione precedente.
Non potremmo mai dimostrarlo per il venir meno delle condizioni di prova, ma già da tempo il giovane studente del Manin, probabilmente in forza del meccanismo “dialettico” tra padre e figlio, aveva manifestato una significativa discontinuità di vedute e di propositi.
Floriano non si era sottratto (detto con eufemismo ai limiti della fattualità) a testimoniare (il padreFiorino vivente) i propri convincimenti dai tempi liceali del Manin. Apparsi nettamente discontinui rispetto alla tradizione, diciamo, di famiglia.
La conclusione degli studi coincise con il quasi immediato approdo all'attività giornalistica. Diversamente da quanto deducibile dai richiami portati in emersione, che farebbero pensare ad un facile ingresso nei ranghi del quotidiano praticamente fondato e consolidato dal padre, nella redazione del settimanale Mondo Padano (sponsorizzato dal gruppo Arvedi e messo sui cardini di un certo successo di critica e di pubblico dallo “spretato” Antonio Leoni (che aveva nel 1981 lasciato il “quotidiano dei Cremonesi” per tentare l'esperienza di un giornalismo innovativo e fuori dal coro).
Questa “griffe" di testata non omologata ad una pedissequa impronta di interprete della voce del padrone (agrario) fu la calamita per molti giovani propensi a tentare la professione dell'informazione.
Tra i molti, appunto, Floriano, che avrebbe acquisito spazio ed esperienza sotto la guida di Leoni e, diciamolo, per talento naturale.
Nei suoi confronti, però, inspiegabilmente (se pensiamo al rapporto di complicità tra il padre e il mentore Masone (ritornato a Cremona dopo la scomparsa di Fiorino Soldi), che per molto tempo praticò una sorta di ostracismo (neanche tanto velato) nei confronti dell'ipotesi di un eventuale sbarco di Floriano nelle prime file dell'ammiraglia del giornalismo cremonese. Da cui avevano preso le distanze fior di giornalisti come Luciano Dacquati (dopo la conclusione non esattamente amichevole della direzione della Provincia avrebbe dato il meglio di sé nella direzione della piacentina Libertà) e come Antonio Leoni e Gian Curtani, che avevano preferito buttarsi (senza reti protettive) nell'impresa di Mondo Padano.
In contrasto con queste scelte fuori dal coro e dalla carriera garantita, Floriano, che già si era distinto e fatto apprezza a MP, confidò non raramente a chi scrive il desiderio di approdare alla testata diretta a suo tempo dal padre Fiorino.
Sarebbe riuscito a coronare questa aspettativa in sé giustificata e di significato prevalentemente morale-affettivo con il tramonto della direzione Masone (però, restato sulla tolda del comando anche dopo una quiescenza confluita alla direzione editoriale) e con l'avvento di Luciano Dacquati in via delle Industrie.
Approdato lì Floriano avrebbe dimostrato, appunto, quello che Staboli definisce eclettismo (a tutto campo, aggiungiamo noi).
Quasi coetanei ed entrambi innamorati della stessa testimonianza (il giornalismo), non fu difficile (per quanto provenienti da esperienze caratterizzate) convergere su occasioni di confronto e di convivialità.
Cui un considerevole contributo fornì la frequentazione della “beneamata” grigio rossa e dell'entourage amicale imperniata sulla figura carismatica del patron per eccellenza Domenico Luzzara.
E, siccome dalla convivialità non erano esclusi né gli approfondimenti colti né le “sfide”, tra queste appunto emerse l'idea, se non proprio di una collaborazione (che avrebbe portato qualche reciproco imbarazzo), di una testimonianza-contributo semel in anno. Un'ipotesi di collaborazione maturata all'insegna di due assunti teorico-pratici. Il primo postula il convincimento secondo cui i giornalisti di talento si dimostrano tali se virano sulla specializzazione sportiva (calcistica, ça va sans dire). E Floriano (come prima di lui Leoni e successivamente altri de La Provincia) lo avrebbe dimostrato. Il secondo assunto rifletteva, invece, un'aspettativa di bandwagoning sul fenomeno grigio rosso. Vale a dire, se non proprio di strumentalizzare, di associare in termini di ricadute (di consapevolezze e di condivisione identitaria) le simmetrie calcistiche (che avevano portato la scalcinata squadra dal passato al tetto del mondo pedatorio) a quelle del rilancio e rinnovamento della Città.
Non possiamo giurare che Floriano avesse elaborato così il cursus honorum dell'approdo ai vertici nazionali; ma indubbiamente le sue riflessioni andavano molto oltre il semplice (se pur onorevole) approfondimento tecnico sportivo.
Del rating di un complesso messo insieme un po' “pane e salame” (formula approntata dal cantore sportivo de La Provincia) come dei pro e contro da affrontare per non uscirne troppo presto.
Ecco come ne uscirono “È esploso il fenomeno grigio rosso” del 1983 e “Meglio così” dell'84, scritti in esclusiva e pubblicati da L'Eco del Popolo. Che in quegli anni era l'unica testata “politica” a non occuparsi solo di vita interna di partito, di propaganda, di questioni amministrative.
Per quanto impermeabili alla tentazione di farci irretire dalla Circe della tifoseria avevamo percepito la “scalata grigio-rossa”, oltre che nel fattuale profilo sportivo, soprattutto nelle pieghe del fenomeno comunitario.
Una piccola città capoluogo di provincia periferica si inseriva nei meccanismi del grande calcio; in regime, diciamo, “autogestionario”. Nel senso che il suo patron (Domenico e soprattutto la signora Nanda) era la fonte del finanziamento e, soprattutto, l'anima di questa impossibile sfida ed orgoglio.
Aggiungiamo che le “spalle” finanziarie (diversamente dai tempi attuali, caratterizzati dalla scesa in campo di una corazzata come il gruppo Arvedi) di Luzzara erano parva res.
L'equilibrio impari rispetto a competitors (come Agnelli, Moratti, Farina) del campionato di A era mantenuto sull'orgoglio di poter reggere il confronto sul terreno della determinazione e sul valore aggiunto di alcuni convincimenti privi di rating formali ma, allora, molto producenti: lo spirito di corpo, il “vivaio”, un gruppo di giocatori professionisti non mercenari, e, soprattutto, la sinergia con grandi club (come la Juventus).
L'esordio in A (come abbiamo già scritto in un recente passato, dedicato agli scongiuri nei confronti dell'impulso di certi politici “a farsi vedere allo stadio”) fu al fulmicotone. Venne a Cremona (in occasione della fiera settembrina della zootecnia, non ancora vandalizzata dalle sconce guerre politiche e categoriali) l'allora capo del Governo Craxi (che non aveva mancato di marcare la sua fede “granata”). Risultato: Cremonese-Torino (2-1). Ma le belle notizie dell'esordio in A finirono lì e restarono al palo per un significativo periodo, coincidente con l'intestardimento del “presidentissimo” di non cedere alle lusinghe del “mercato” dei talenti stranieri e di giocarsela secondo i dettami autarchici.
Senza che fosse modificato l'asse degli apporti finanziari ed attingendo dai propri risparmi e dalla propria azienda, Domenico, non sappiamo quanto obtorto collo, si convinse a guardare ai talenti esteri: Wladislaw Antoni Zmuda (un buon difensore polacco approdato allo sculettato Hellas Verona, ma precocemente messo in vendita a causa dei postumi di un infortunio di gioco) e Jorge dos Santos Filho Juary , un attaccante di origini ed esordi brasiliani, prelevato dopo Avellino e Cesena, dall'Ascoli.
Che i due non fossero dei “brocchi” lo testimoniavano i trascorsi e lo confermerà il prosieguo di carriera (Zmuda proseguirà nei ranghi della nazionale polacca come assistente degli allenatori e Juary, approdato al Porto, sarebbe stato determinante per la vittoria della Coppa dei Campioni nel 1986.)
I due giocatori, perfettamente inseriti per due/tre anni negli organici e nella mentalità grigio rossa, si sarebbero, nonostante la retrocessione del campionato di esordio in A, fatti apprezzare.
Ma prima di ciò, come giustamente osserva ed annota Floriano, bisognerà passare sotto le forche caudine di regole di ingaggio, apparentemente studiate non per favorire il club “marginali”.
Il pratico esordio nei ranghi grigio-rossi sarebbe, infatti, avvenuto una volta bypassata l'eccezione di omologazione dell'ingaggio dei due giocatori, su cui pendevano le conseguenze di un precedente contratto non venuto meno. Insomma, era stata sollevata un'eccezione sull'omologabilità dei cartellini in capo a due giocatori ancora sotto contratto con altri clubs a campionato iniziato.
La questione si sarebbe risolta. Ma, prima di allora, qualche sudata scala (della Lega Calcio, allora presieduta dall'avvocato Sordillo e della Federazione CONI presieduta da Carraro) si dovette salire.
Con il che riteniamo adempiuto sia l'omaggio alla figura di Floriano Soldi (che abbiamo avuto l'onore di avere come amico e come firma della nostra testata) sia la rievocazione di una pagina virtuosa della vita cittadina.
Pubblichiamo nella gallery i due articoli, scritti in esclusiva per L'Eco del Popolo.