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Leone Ginzburg

Un intellettuale liberalsocialista amico ed estimatore di Benedetto Croce

  24/04/2020

Di Luca Sagona

Leone+Ginzburg

“Mi è giunta la notizia straziante che il caro Leone Ginzburg, nella sua qualità di oriundo russo, di ebreo e di antifascista, è stato sottoposto a maltrattamenti nel carcere di Roma e vi è morto or sono tre mesi!”.

Benedetto Croce così ricordava il caro amico Leone Ginzburg il 20 maggio 1944, venuto a mancare nel carcere di Regina Coeli la mattina del cinque febbraio del medesimo anno dopo un ultimo tragico interrogatorio nel braccio controllato dai tedeschi. La figura di Leone Ginzburg non è oggi ricordata, a mio avviso, come sarebbe giusto fare per i personaggi di spicco dell'antifascismo del nostro paese, rappresentando sul piano culturale, morale e politico quanto di meglio abbia prodotto l'intellettualità italiana nell'ambito dell'ideologia liberalsocialista ispiratrice del movimento di “Giustizia e Libertà”, incarnata dai fratelli Carlo e Nello Rosselli nel solco della rivoluzione liberale di Piero Gobetti il quale, non è da dimenticare, aveva collaborato alle cronache teatrali dell'“Ordine Nuovo” di Antonio Gramsci. Un filo rosso importante, che accomunerà tanti intellettuali italiani di diverso orientamento ideale e politico, ma uniti da un comune sentimento di avversione al fascismo imperante nel nostro paese in quei tragici anni. È interessante ricordare che ai primi di aprile del 1928 Leone Ginzburg incontrerà a Torino Benedetto Croce, il filosofo napoletano da Leone studiato ed apprezzato quale intellettuale e uomo di cultura al di sopra dei tanti contrasti politici che infiammavano quegli anni; fu proprio Croce, nei primi momenti di incontro che ebbe con Leone, a suggerirgli di evitare un impegno politico attivo ma di coltivare i tanti interessi linguistici e letterari ai quali si dedicava e per i quali era predisposto, secondo la formula crociana di non compiere azioni illegali nei confronti del fascismo, dedicandosi invece alla “aperta cospirazione della cultura”. È allora che Ginzburg abbandona la facoltà di Legge alla quale si era iscritto per passare al secondo anno di Lettere. Leone proseguirà negli studi di Letteratura russa collaborando, insieme al professore Augusto Monti del Liceo “d'Azeglio” da lui frequentato, alla rivista fondata e diretta da Piero Gobetti “il Baretti” con articoli sul romanzo di Tolstoj “Anna Karenina” che lui, proprio in quel periodo, sta traducendo dal russo. Augusto Monti raccoglieva attorno a sé molti suoi ex allievi del Liceo “d'Azeglio” di orientamento antifascista, tra cui Cesare Pavese, Massimo Mila, Vittorio Foa e Giulio Einaudi, e lo stesso Ginzburg vi partecipava, contribuendo a costituire la “confraternita del liceo d'Azeglio”, come verrà definita da Massimo Mila.

Nel corso del 1929, in seguito all'attività del gruppo degli ex allievi del “d'Azeglio”, tra le quali una iniziativa a favore di Benedetto Croce, oltraggiato da Mussolini dopo un discorso in Senato contro i patti lateranensi, iniziativa che peraltro aveva raccolto l'adesione di tanti studenti universitari, ci furono numerosi arresti nell'ambito degli intellettuali torinesi tra cui il prof. Umberto Cosmo, Franco Antonicelli, Massimo Mila, Paolo e Pietro Treves, Umberto Segre e Ludovico Geymonat. Ginzburg in quanto allora ancora apolide, o forse in quel frangente non del tutto convinto dell'iniziativa, non aveva sottoscritto la lettera a favore di Croce; è comunque certo che Leone si sarebbe astenuto da qualsiasi iniziativa di carattere politico fino al momento in cui sarebbe riuscito ad ottenere la cittadinanza italiana, cosa che avverrà soltanto nell'ottobre del 1931. Umberto Cosmo, il prof. del liceo “d'Azeglio” autore della lettera a favore di Croce, sarà condannato a cinque anni di confino, mentre gli altri sottoscrittori saranno rilasciati dopo un mese e mezzo di detenzione con un provvedimento di ammonizione.

Leone intanto termina gli studi in Lettere discutendo la tesi su Guy de Maupassant il 21 dicembre 1931 e nei primi mesi del 1932 ottiene una borsa di studio per completare a Parigi le sue ricerche sullo scrittore, e rivedere la tesi di laurea per pubblicarla. Ed è proprio a Parigi che Ginzburg rivede il suo compagno di studi Aldo Garosci, il quale gli farà incontrare Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini: da questo momento Leone parteciperà attivamente alla lotta politica clandestina dei fuoriusciti antifascisti.

Rientrato a Torino riallaccia i rapporti con il movimento antifascista, e sviluppa sui quaderni di “Giustizia e Libertà”, ormai strumento di lotta clandestina, le tematiche di origine gobettiana dei “consigli di fabbrica” ed i concetti connessi alla “autonomia operaia” molto vivi in quegli anni; nel 1933 tenterà di organizzare l'evasione di Ernesto Rossi dal carcere di Piacenza ma senza alcun successo, essendo lo stesso trasferito nel frattempo ad un altro penitenziario.

Nel dicembre del 1932, alla giovanissima età di 23 anni, Ginzburg ottiene l'abilitazione alla libera docenza in Letteratura Russa, e nel frattempo convince Benedetto Croce a collaborare ai quaderni di “Giustizia e Libertà”, collaborazione che si concretizzerà con la pubblicazione di uno scritto non firmato, ma attribuibile, sulla base di precise testimonianze, al filosofo napoletano, o al Croce ed a Ginzburg insieme.

Con il nuovo anno, il 1934, i liberi docenti sono invitati a prestare giuramento di fedeltà al regime fascista: Leone si rifiuterà di giurare in coerenza con la cultura della quale si era fatto ormai portavoce ed interprete, espressa fondamentalmente dal romanticismo russo, dal risorgimento italiano ed infine dall'umanesimo europeo.

A questo punto tutta l'attività di Leone nel campo antifascista si infittisce unitamente al grande impegno culturale ed editoriale che si esplica nel collaborare con Giulio Einaudi al fine di rilevare la importante rivista filosofica e storica “La Cultura” della quale diventerà redattore capo, e nella traduzione e divulgazione, con saggi critici, di opere dei grandi scrittori russi e francesi, da Tolstoj a Cechov e Puskin, da Dostoevskij a Maupassant.

Nel marzo del 1934, in prossimità del plebiscito indetto dal governo, venivano bloccati dalla polizia a Ponte Tresa, al confine con la Svizzera, Mario Levi e Sion Segre che, tornando in Italia, viaggiavano con l'auto piena di materiali e volantini clandestini di “Giustizia e Libertà” ritirati a Lugano per ordine di Leone; Levi riesce a fuggire mentre Segre viene arrestato, ed i suoi contatti a Torino insieme alle sue stesse dichiarazioni porteranno all'arresto successivo di Leone Ginzburg, che sconterà due anni di carcere e successivamente due anni e mezzo di sorveglianza speciale.

Leone, negli interrogatori a cui fu sottoposto seppe mantenere un rigoroso silenzio non rivelando nulla della sua attività clandestina, ma fu subito chiaro che la sua presenza a Torino era legata all'appartenenza agli organi direttivi del movimento di “Giustizia e Libertà”, avallata dalla sua stessa dichiarazione di fronte al Tribunale Speciale, in riferimento al diniego al giuramento di fedeltà, “di avere rinunciato all'insegnamento in quanto, dati i miei principi politici, non mi sentivo nella coscienza di chiedere la tessera fascista”.

Ginzburg, dopo avere scontato alcuni mesi di carcere prima a Regina Coeli e poi nel penitenziario di Civitavecchia, dal quale uscì il 13 marzo 1936, fu sottoposto a sorveglianza speciale fino all'agosto del 1938, unitamente alla privazione della cittadinanza italiana in applicazione delle leggi razziali.

Leone Ginzburg ha sempre avuto, nel decennio compreso tra il 1930 e il 1940, una fitta e vivace corrispondenza con il filosofo Benedetto Croce, del quale era un grande estimatore ed amico, e che frequenterà nei soggiorni a Meana di Susa ospite dello stesso Croce e della sua famiglia, che a Meana trascorreva la villeggiatura; con Elena Croce, figlia del filosofo, coltiverà una sincera e profonda amicizia intellettuale testimoniata dalla corrispondenza che ebbe con lei in quel periodo.

L'amarezza vissuta da Croce in quegli anni per l'arresto di tanti intellettuali ed amici è testimoniata dalle sue parole:

“nella tristezza che mi grava, c'è questo sentimento: che il mio lavoro non si svolge più a un mondo presente, in ricambio con esso, ma a un mondo avvenire che forse si interesserà di nuovo di certe cose e di certi ordini di concetti. Sicché ogni mio lavoro prende il malinconico aspetto di un testamento”.

Uscito dal carcere Leone riceve la prescrizione dal Regime di non collaborare più a riviste e giornali essendo ormai nella condizione di “sorvegliato speciale”; si dedicherà, insieme a Cesare Pavese, al lavoro editoriale per la casa editrice Einaudi, che aveva collaborato a fondare, con la creazione di nuove collane editoriali. Collabora anche, grazie all'interessamento di Benedetto Croce, agli “Scrittori d'Italia” di Laterza. Sposerà il 12 febbraio del 1938 Natalia Levi, sorella di Mario Levi amico e militante in “Giustizia e Libertà”, che dividerà con lui un periodo altrettanto fecondo ma anche terribile degli ultimi anni della sua vita.

Condannato al confino, dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia, si trasferisce a Pizzoli in Abruzzo nel giugno del 1940 con la qualifica di “internato civile di guerra”, mentre la moglie con i figli piccoli Carlo e Andrea lo raggiungeranno in ottobre.

Alla fine di novembre riesce, con uno speciale permesso, a rientrare a Torino dove riallaccia rapporti importanti con i collaboratori della Casa Editrice Einaudi, e rivede i compagni di lotta politica, partecipando alla messa a punto del programma di ciò che sarà il futuro Partito d'Azione, che sarà divulgato nei primi mesi del 1943.

Rientrato a Pizzoli, nonostante sia caduto nel frattempo il regime fascista, viene trattenuto al confino in quanto straniero a causa della perdita, a seguito delle leggi razziali, della cittadinanza italiana; per la sua liberazione si batteranno prima Luigi Einaudi, poi Carlo Muscetta ed infine, su sollecitazione dello stesso Leone, Benedetto Croce, ma soltanto nell'agosto del 1943 potrà lasciare il confino, raggiungere Roma ed entrare in clandestinità, dopo l'8 settembre, per riprendere la lotta politica.

Si apre per Leone Ginzburg ormai una fase politica nuova, particolare e molto impegnativa: s'incontra con il comitato direttivo del Partito d'Azione tra cui Manlio Rossi Doria, Ugo La Malfa, Carlo Muscetta e Franco Venturi, e nell'agosto del 1943 partecipa al Congresso Federalista che si terrà a Milano in seguito alla fondazione in quei giorni del Movimento Federalista Europeo da parte di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.

Nel settembre dello stesso anno è a Firenze ad un congresso clandestino del Partito d'Azione con la presenza tra gli altri di Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Manlio Rossi Doria, Emilio Lussu e Riccardo Lombardi; gli viene affidata, in quella circostanza, la direzione del mensile “L'Italia Libera”, organo romano del Partito d'Azione; durante la clandestinità opererà sotto il nome di copertura di Leonida Gianturco, con il quale firmerà i suoi articoli.

Il 1° novembre del 1943 lo raggiungono a Roma Natalia con i figli (a cui si è aggiunta Alessandra nata a L'Aquila in marzo) ma resteranno poco con lui: la mattina del 20 novembre Ginzburg, Muscetta ed altri vengono intercettati ed arrestati nella tipografia de “L'Italia Libera” e portati direttamente nel carcere di Regina Coeli.

Nel dicembre dello stesso anno viene scoperta la vera identità di Leone Ginzburg, essendo già stato recluso nel carcere nel 1934, e viene quindi trasferito nel braccio controllato dai tedeschi; a seguito degli interrogatori a cui viene sottoposto riporterà ferite pesanti e Sandro Pertini, anche lui incarcerato, ricorderà di averlo incontrato pesto e sanguinante dopo l'ultimo tragico interrogatorio.

Alla fine del gennaio del 1944 viene ricoverato nella infermeria del carcere, dove a seguito delle sevizie subite dai nazisti muore la mattina del 5 febbraio.

Il 18 maggio del 1940 in una lettera da Torino a Benedetto Croce, nel salutarlo caramente, Ginzburg affermava:

“Arrivederla caro Senatore. Si desidera ancora credere in un avvenire umano.”

Quell'avvenire umano che Leone non avrebbe mai più rivisto, lasciando incompiuta un'opera letteraria, editoriale e politica che avrebbe di certo avuto un seguito importante se soltanto Leone fosse sopravvissuto a quei tragici anni.

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