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Simmetrie, pandemiche e storiche

Il “municipalismo” ai tempi della “Spagnola”

  25/10/2020

Di E.V.

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INFLUENZA SPAGNOLA


Oggi come ieri

stesse regole

stesso dramma

È del 1918 l'ordinanza del soresinese Emilio Caldara

sindaco nella Milano flagellata dalla terribile malattia

(titolo ed occhiello dell'edizione de La Provincia del 20 ottobre 2020)

Solo questioni di copyright, di deontologia e di rispetto per l'autore ci hanno richiamato dall'impulso di praticare un gesto di “pirateria” editoriale.

Sarebbe stato quello con cui avremmo (volentieri) traslato, sic et simpliciter, dalle pagine del quotidiano La Provincia alle nostre, la bella rivisitazione scritta da Matteo Berselli, nei giorni scorsi.

Non si fa!, ci siamo detti. E non l'abbiamo fatto.

Semplicemente, ci limitiamo a segnalare e a recensire un apprezzabile impegno che, attraverso lo sforzo di elevare un po' lo sguardo dalle correnti ossessioni mediatiche, aiuterà certamente ad alzare la soglia delle consapevolezze. In materia di correlazioni tra calamità bibliche, che sotto forma di minaccia alla salute di tanto in tanto attentano all'umanità, e risposte comunitarie.

Si dice che “in natura nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Un aforisma, rivolto alla scienza chimica, ma utilizzabile, in qualche modo, nello sforzo di percezione dei fenomeni revenants.

Lungi da noi la tentazione, come fanno molti degli opinionisti in cattedra permanente in questi tempi da ferragosto mediatico, di creare (soprattutto, sul piano scientifico ed epidemiologico) automatismi tra l'attuale e le precedenti pandemie.

Ci interessa (e prima di noi ha interessato Berselli) sottolineare una certa analogia comportamentale di risposta, da parte dei poteri istituzionali.

L'autore non ha bisogno certamente del nostro compiacimento nei confronti di una testimonianza di approfondimento che, tra i diversi pregi, ha principalmente quello della triangolazione di diversi contesti temporali, sullo stesso tema.

Una sollecitudine questa, raramente presente nel lavoro giornalistico, portato quasi sempre a assecondare le aspettative di un pubblico di lettori ipnotizzato dalla quotidianità, fornita a massicce dosi di sensazionalismo.

La figura di Emilio Caldara ne esce nella sua giusta dimensione storica, di politico prevalentemente dedito alla testimonianza amministrativa a servizio della comunità.

Il nostro conterraneo soresinese ebbe la ventura di operare all'interno di una leva di giganti del pensiero politico e della militanza. Giusta la contestualizzazione in quella classe di idealisti, che ebbe, nella scuola socialista, due fuori "peso", come Turati e Bissolati. Entrambi fondatori del socialismo italiano, accomunati sin dai banchi del Liceo Manin dagli stessi fermenti. Caldara, come giustamente appare nell'articolo citato, esordisce ai massimi livelli amministrativi nell'election day del 1914. Per la prima volta Milano e Cremona (con Attilio Botti) esprimono un vertice socialista. I percorsi di Botti e Caldara si rivelano ispirati dalla teoria turatiana del "Municipalismo Socialista" e, nelle opzioni concrete, procedono in parallelo. Diversamente da Bissolati, interventista democratico, militeranno nel non interventismo, come Turati. 

Ma, sia pure da questa posizione, riveleranno un grande senso comunitario, spendendosi "nel fronte interno", vale a dire nel sostegno dell'azione del Paese, impegnato nella Grande Guerra. D'altro lato, Bissolati (propugnatore dell'intervento, attivo, andrebbe aggiunto, in quanto 58nne la combatté volontariamente nel corpo degli Alpini), come Ministro dell'assistenza bellica, avrebbe operato con gesti concreti e non scontati a favore dei prigionieri italiani internati in Austria. Caldara e Botti si sarebbero resi protagonisti, in terribili scenari di indigenza generalizzata (tra cui la Spagnola), di grandi afflati umanitari e pacifisti. Ci si riferisce all'accoglienza (a Milano e a Cremona) dei bimbi denutriti e spesso ammalati provenienti da Vienna. 

Da parte, bisognerebbe aggiungere e sottolineare, di una nazione belligerante e di popoli stremati dagli effetti delle distruzioni, delle carneficine di combattenti e civili, da una miseria diffusa, vasta, intensa, equiparabile agli standards degli sconfitti.

Si riflette (eufemismo allo stato puro) e si discute (altro eufemismo ingannevole), nei tremendi contesti attuali, su cosa compete a chi; vale a dire (se e quando va bene) a colpi di rivendicazione della potestà decisionale e (quando va male) con la pratica dello scaricabarile.

Un secolo fa l'Italia, uscita tecnicamente vincitrice da un conflitto (impari, come il successivo, al suo “fisico”), che, per quanto “interventista”, l'aveva vista divisa (politicamente e civilmente), era alle prese con scenari tremendi. In cui non è difficile (pur usando la prudenza di speech) rinvenire qualche analogia.

Già nei prodromi, nel corso e nei seguiti del conflitto tale lacerazione, soprattutto, politica aveva alitato. Ma tale fatto non aveva impedito, pur nella permanenza di distonie insanabili, una virtuosa predisposizione sinergica. Tra i poteri centrali, politicamente orientati in senso conservatore se non addirittura reazionario, e le istituzioni periferiche. I Comuni, in particolare; in cui nel 1914 aveva fatto il suo esordio la rappresentanza “rossa”.

Mala tempora quelli, per sperimentare il modello del Municipalismo, avamposto dei profondi cambiamenti nel rapporto tra le classi. Ma, a riprova della loro“stoffa” etica ed idealista, gli apostoli di quel pensiero emancipatore e progressista, seppero dimostrare un alto senso di appartenenza e di  coesione. 

A livello etico-morale ed interistituzionale (per quanto la rete dei poteri fosse allora meno stratificata) Verso la Patria (che non è un insulto). Bisognerebbe trarne un lezione; per questi tempi non meno drammatici e difficili. Azionando un afflato indirizzato all'Italia ed all'Umanità intera.

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