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Le Province: rimediare i danni della demagogia

Analisi della Comunità Socialista Cremasca dello scenario postelettorale

  01/01/2022

Di Redazione

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La Comunità socialista cremasca, visti i commenti delle forze politiche locali sulle elezioni del Consiglio Provinciale di Cremona, tenutesi il 18 dicembre scorso, ritiene opportune qualche riflessione aggiuntiva alle circoscritte valutazioni svolte sui nuovi rapporti di forza tra gli schieramenti. 

Lo facciamo prendendo spunto dal pressoché totale silenzio registratosi attorno alla contemporanea bocciatura, da parte della Corte Costituzionale, delle modalità di elezione degli Organismi direttivi delle Province e delle Città metropolitane, previste dalla legge Delrio n. 56/2014 

Nello specifico vengono contestate, in quanto contrastanti il principio di uguaglianza del voto, le differenti procedure stabilite per la elezione del Presidente della Provincia, riservata ai sindaci ed ai consiglieri comunali del territorio, rispetto a quella del Sindaco delle Città metropolitane, automaticamente spettante al primo cittadino del Comune capoluogo,  

Un'altra picconata ad un sistema elettorale già fonte di precarietà ed instabilità negli Enti, in conseguenza delle diverse durate in carica dei Presidenti (4 anni) rispetto a quella dei Consigli Provinciali (2 anni). 

Capiamo l'imbarazzo dei sostenitori della incompiuta riforma vigente, ma dopo la mancata approvazione del referendum Costituzionale del 2016, non è più ammissibile che si continui a far finta di nulla, lasciando le Province nel mortificante stato attuale.  

Governo, Parlamento e Partiti politici, sono chiamati ad un impegno risolutivo della situazione, confrontandosi sui tanti dati che fotografano la realtà, nonché sulle inoppugnabili distorsioni avvenute, in questi anni, nella redistribuzione delle competenze amministrative, in applicazione delle norme esistenti.  

Per sommi capi, occorre prendere atto dei danni prodotti dalla demagogia promettente, in cambio della riduzione del numero degli amministratori e della cancellazione delle loro indennità di carica, la realizzazione di 1.000 asili nido e la riduzione della spesa pubblica. 

Con onestà ammettere, che senza entrate tributarie proprie e minori trasferimenti sostitutivi da parte dello Stato, le Provincia non possono oggettivamente far fronte agli interventi rimasti di loro competenza quali, le manutenzioni delle strade provinciali, oppure delle scuole superiori, particolarmente segnalati e lamentati dagli utenti. 

Che l'assenza di un Organismo intermedio tra Comuni e Regioni, presente in tutta Europa, istituzionalmente autorevole e quindi eletto direttamente dai cittadini, ha solo accentuato negativamente il già debordante ruolo delle Regioni, diventate sempre più apparati gestionali burocratici, rispetto ai compiti primari di Enti legiferanti. 

Che lo svilimento del ruolo della Province nella promozione e gestione degli investimenti sul territorio, cosi come nel coordinamento delle aggregazioni comunali per l'esercizio delle funzioni e dei servizi locali loro spettanti, ha sfilacciato, anziché rafforzato, le visioni amministrative tese alla razionalità ed alla valorizzazione delle aree omogenee esistenti, come rivelano anche le realtà cremasche, cremonesi e casalasche, del nostro ambito provinciale. 

Per quanto appena riassunto, la Comunità socialista cremasca, sprona anche nella nostra provincia, iniziative sollecitanti l'approvazione di provvedimenti correttivi specifici, in una più generale riconsiderazione di tutti i livelli amministrativi attuali, a cominciare dall'assetto e dalle prerogative delle Regioni, risultate nella fase pandemica che stiamo vivendo, ancor più scopertamente inadeguate tutta Italia. 

Per la Comunità socialista cremasca: Virginio Venturelli, 1° gennaio 2022 

Sarebbe veramente imperdonabile pubblicare la bella analisi/riflessione di Virginio Venturelli senza farci una chiosa di approfondimento e, soprattutto, di totale convergenza. 

Cominciamo col riesumare una delle massime della nostra saggia nonna Maria: “Ogni giorno porta la sua pena”. La quale si riferiva più alla presa d'atto delle nostre defaillences che alle riflessioni di cui, invece, noi ci dovremo occupare (se non altro per praticare un indispensabile elettroshock a quell'aggregato di vuoto pneumatico e di improvvide testimonianze che è stato, almeno sin qui, l'esame dei risultati. Rispetto ai quali, esattamente come per quelli attinenti agli election days a partecipazione universale, in cui tutti vincono, nessuno perde e, per le conseguenze…obsolescenza… 

Siamo andati a rovistare nei depositi di un dossier che ci ha visti attivi sin dal 2014, ai prodromi di una filiera che era incardinata sul segmento dell'”area vasta”. 

In cui non era difficile intravvedere la continuità della mano che (dal governo di salvezza nazionale Monti in poi) avrebbe fatto della questione di un ritracciamento dell'equilibrio dei poteri istituzionali (logico e per alcuni versi utile conseguenza della riforma del titolo V) un obiettivo da spending review; insomma da taglio lineare di un ramo secco, ritenuto spendereccio e improduttivo, da contestualizzare nello sforzo generale di contenimento della spesa pubblica. 

Ciò non è mai stato detto, ma la vera intenzione era quella di semplificare i livelli periferici della pubblica amministrazione, sacrificando quello che, invece (a nostro parere), ha costituito nel tempo il punto di equilibrio del rapporto tra poteri centrali e istituzioni locali. 

Se ne era parlato ai tempi della tardiva applicazione della Costituzione attraverso il varo delle Regioni, concepite come il necessario raccordo tra funzioni parlamentari e governative centrali e decentramento (soprattutto in materia di programmazione). 

Ebbene (ed allora, alla fine degli anni 60, non si era ancora di fronte al clamoroso fallimento delle Regioni, approdate al più vieto centralismo, specie dopo il Titolo V) si discusse e si litigò molto allora sull'utilità di duplicare l'ente intermedio. 

Lo denunciò Ugo La Malfa; ma tardivamente il dilemma sarebbe stato proditoriamente risolto (meglio, avviato a soluzione) dalla riforma Delrio in poi. Un decreto (già l'enormità della circostanza di avviare surrettiziamente una riforma costituzionale con uno strumento legislativo straordinario direbbe della saldezza dei cardini etici del personale politico di questa temperie) si sarebbe incaricato di accorpare le Province in difetto di standards di popolazione (Cremona sarebbe andata, come per la Camera di Commercio, con Mantova). A dare copertura costituzionale ad un percorso riformatore un po' claudicante si sarebbe incaricata la riforma Boschi-Renzi (come si sa, abortita per eccesso di bocciatura di critica e di pubblico). 

Logica avrebbe voluto che (alternativamente) il dentifricio di questo incredibile dentifricio riformista fosse ricollocato nel tubetto (attraverso un controdecreto revocatorio) oppure che, almeno sul punto, i successivi governanti si assumessero l'onere (e il coraggio) di portare a compimento la ratio della troika Renzi-Boschi-Delrio. 

Ma, come si sa, la mamma dei civils servants alla Delrio è sempre fertile e gravida. Così che i suoi successori ritennero bene di mettere in sospensione definitiva un gesto di manomissione degli organi costituzionali e di navigare a vista. Col risultato di rendere sempre più centralistico il baricentro della mission regionale (ovviamente, a danno dei sottostanti livelli, Comuni e Provincia), di protrarre una sorta di terra di nessuno rappresentata da un livello amministrativo, privato di adeguata funzione, di risorse e organici adeguati, ma obbligato a garantire i medesimi servizi. 

Ad eccezione, per quanto si riferisce alla Lombardia, dell'avocazione delle funzioni in materia agricola. 

Sul punto tutto si può dire tranne che la nostra testata e la Comunità Socialista siano stati reticenti od omissivi, avendo seguito in modo tempestivo e circostanziato tutti gli snodi di questa vicenda (a cominciare dal convegno del settembre 2014). Ma nel caso non fossimo stati chiari, ribadiamo:

1) l'amministrazione periferica territoriale costituisce un presidio del modello democratico;

2) i Comuni costituiscono l'unità di misura dell'articolazione periferica e sono una fondamentale esperienza di autogoverno delle comunità, un fattore di identità, di attaccamento a un territorio (costituendo la loro azione un impatto importante nella vita delle persone);

3) l'Ente Provincia è lo strumento di raccordo nella rete amministrativa, deputato più che alla gestione di servizi decentrati alla funzione primaria di espressione e di tutela degli interessi primari del territorio, in materia di vocazione e di controllo della destinazione delle risorse di natura strutturale.

L'avvio del depotenziamento delle aree periferiche, destinate a diventare sempre più marginali nelle strategie di sviluppo e di spesa, coincide con l'esordio della cosiddetta seconda repubblica. 

Sarebbero queste le cose da dire ogniqualvolta il riflettore si posa sulla questione (congiunta) dello stato agonico dell'ente intermedio e della progressione del declino del nostro marginalizzato territorio. 

Una situazione così “sospesa” non può logicamente reggere a lungo, per le ragioni che abbiamo premesso. Qualche anno fa, presentando uno degli election days per il rinnovo della Presidenza; avevamo azzardato un titolo: “la carica dei 1300” (intendendosi gli elettori costituenti il bacino elettivo di secondo livello). 

Aggiungiamo che, sul punto del ritorno al suffragio universale ovvero del suffragio delegato agli amministratori di primo livello, ci siamo sempre entusiasmati molto poco. 

Infatti, non sarebbe uno scandalo se la conferma dell'Ente intermedio (a parità di funzioni istituzionali), prevedesse la conferma dell'elezione di secondo livello. 

Per evitare la non improbabile deriva dell'organismo gestionale al novero di cimitero degli elefanti, si potrebbe (come avevamo suggerito tempo fa) una forma mista di concorrenti all'elezione del Presidente e del Consiglio. 

Quel che conta, in questo disarmante ed allarmante contesto postelettorale è il combinato tra il crescente fenomeno dell'astensionismo e la manifesta inconsapevolezza del pericolo dietro l'angolo della sommatoria tra le conseguenze dei colpi assestati da Delrio e il complice interesse (non dichiaratamente espresse ma reale nei fatti) a defalcare dall'ordinamento istituzionale periferico e l'approdo ad una sorta di impalpabilità dell'Ente nelle consapevolezze dei cittadini. 

Dirittura questa, tutt'altro che improbabile in sviluppi abbastanza prossimi, se si pone mente alla metabolizzazione del risultato del 18 dicembre, da parte delle forze politiche. 

D'altro lato, non siamo molto lontani non esageriamo quando manifestiamo la percezione che si è di fronte allo smottamento del ciclo caratterizzato dalla sinergia tra l'azione civica e la testimonianza dei partiti. Tutti hanno vinto, nessuno ha perso: è ciò che, perdurando la liberazione dall'obbligo di precisare linee di programma su cui tarare l'impegno di vincitori e vinti, condurrà inevitabilmente all'uscita di scena dell'ente intermedio territoriale. 

Da ultimo, non possiamo non segnalare un pericolo accessorio, che deriva dal combinato tra declini istituzionali e impoverimento dell'etica della rappresentanza e delle dinamiche del modello liberaldemocratico. 

L'eclissi del partito di massa, del partito educatore, del partito strumento di selezione, del partito di quadri con una ramificata organizzazione territoriale e l'avvento del partito leaderistico ha indebolito dall'interno la capacità di formazione-selezione-designazione dei protagonisti della vita istituzionale. Di cui la riserva degli amministratori comunali e locali costituisce (costituiva?) una sorta di baluardo di resistenza democratica e civica. 

C'è, infine, da sottolineare un aspetto particolare: la slavina messasi in movimento da tempo che minaccia i perni del passato e la loro consolidata vulgata. 

Ci riferiamo a quel misto di minimizzazione e, addirittura, di tamquam non esset ben presenti se non nel sentiment effettivo, nell'interpretazione delle tendenze, da parte del campo di cui almeno idealmente saremmo parte.  

Di questo passo, siffatte "vittorie" molto simili a rovesci, condurranno, specie nella periferia dei piccoli comuni (dove il centro destra è ormai maggiormente insediato) alla fine totale del ciclo dei “Comuni rossi”. Qui, come a Mantova, nella cui periferia territoriale aveva sin qui tenuto. I grandi elettori sono lo specchio di una tendenza ormai plastica. A voler essere sinceri, dovremmo aggiungere che la posizione di rendita derivante dalla tendenza storica della prevalenza del campo stesse sfuggendo la si ebbe con l'elezione di due anni fa; quando si procedette, da parte del centro-sinistra ad una cooptazione (di una parte della sponda concorrente). Deve aver funzionato poco, se quella posizione in bilico si è vieppiù indebolita. 

I destini di un territorio marginalizzato come il nostro avrebbero bisogno di un sussulto civico, capace di far imboccare un minimo di remuntada. Un sussulto che fosse prerogativa trasversale di tutte le culture politiche e di tutto il popolo degli amministratori comunali. 

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