LAVORO: PERNO DI UNA SOCIETÀ GIUSTA E PROIETTATA VERSO IL FUTURO
Vabbè, finiremo, come per alcuni versi scontato e giustificato, di entrare nel cono della facile catalogazione degli impenitenti nostalgici.
Proiettati a fare della propria memorialistica la linea guida dell'analisi degli scenari correnti e della deduzione di ciò che andrebbe testimoniato con maggiore convinzione.
Non si definiva proprio così, ma, a posteriori, le “festività” civili (fortunatamente restate tali a seguito della più che motivata falcidia delle feste infrasettimanali) confluivano in una sorta di triduo laico, officiato in meno di cinque settimane primaverili a degnamente celebrare le ricorrenze fondamentali dell'ordito della nuova Italia.
Un ciclo di testimonianza in cui venivano correlati i valori complessivamente ripresi organicamente nella Carta Costituzionale: la Liberazione, la festa del Lavoro, la Costituente.
Della prima ricorrenza, che compendia la scaturigine dell'intera intelaiatura repubblicana, abbiamo dato ampio conto nelle edizioni dell'ultima decade.
Alla seconda ci applichiamo a partire da questo focus che dedichiamo a partire da questo primo Maggio.
Non pretendiamo di penetrare nelle intime consapevolezze di un'opinione che, prima di essere focalizzata dall'eccezionale accadimento pandemico, aveva già perso l'appealing dell'idealismo intrinseco e del valore simbolico della celebrazione del lavoro, che costituisce il perno del 1° maggio.
Una celebrazione che, pur essendo imperniata sulla testimonianza collettiva, attraverso il rito delle manifestazioni di massa, del segmento etico destinato a diventare la stella polare del contratto comunitario della Repubblica, concedeva ampi spazi ad una festosità meno impegnata.
Poi, già molto prima del testa-coda collettivo della dottrina progressista e del campo strutturato che ne era stato la coerente conseguenza, erano stati capovolti gli addendi; fino al punto di fare dell'inizialmente complementare segmento ludico la vera attrattiva motivante della ricorrenza.
Che, come si ricorderà (anche se è venuto meno da due anni), si esauriva nel “concertone”.
Una metafora rivelatrice sia della conclusa missione dei partiti del lavoro sia, soprattutto, dell'organizzazione sindacale; una metafora che, peraltro, era ed è ben presente nelle consapevolezze collettive che hanno espunto la centralità, negli scenari ideali e politici, delle sistemazioni teoriche e dell'impianto militante correlati alla rappresentazione del lavoro
Ne abbiamo avuto conferma (semmai fosse stato necessario) dalla consultazione delle molte decadi della raccolta delle edizioni della nostra testata, nel cui impianto la Festa del Lavoro costituiva l'epicentro dei riferimenti ideologici e del pannel militante.
Sarebbe assolutamente azzardato far discendere da un improponibile raffronto di contesti o imparagonabili o raffrontabili con molte note a margine esplicative dei mutamenti intervenuti.
Ciò che intendiamo avvalorare è che il delisting della festa del lavoro nel calendario civile e militante coincide con la marginalizzazione del ruolo di ispirazione e di rappresentanza della sinistra progressista, intesa in senso sociale e politico.
Se ne avrà giustificata percezione dal contatto con la Gallery fotografica e documentale allegata a questo focus e ratta, come abbiamo spiegato, dalle, come si suol dire, ingiallite pagine della raccolta de L'Eco del Popolo (in cui, a dire il vero, la tematica del lavoro costituiva la vera dorsale).
Non pretendiamo di trascinare i nostri lettori sul terreno scivoloso e un po' patetico del nostalgismo. Semplicemente vogliamo fornire elementi di raffronto tra il consolidato motivazionale ed i vuoti pneumatici di oggi.
Ci pare, nell'attesa e nell'auspicio di suscitare interesse foriero di un ampio sforzo dialettico, di poter fondatamente sostenere che la perdita di centralità della rappresentanza del lavoro appaia correlata e conseguente all'incapacità di leggere adeguatamente e tempestivamente i mutamenti intervenuti a partire dalla fine del ventesimo secolo.
Si sostiene, con notevoli margini di fondamento, che la globalizzazione abbia contribuito ad affievolire le consapevolezze, che un tempo si sarebbero definite coscienza di classe. Un processo devolutivo che è proceduto su due binari simmetrici e sinergici nei risultati.
Da un lato, l'iperliberismo finanziario e tecnocratico, imponendo deregulation, delocalizzazione delle imprese ed il dumping salariale e sociale, più che ulteriormente proletarizzare i lavoratori ha prodotto la devastazione del ruolo civile e del potere contrattuale.
Dall'altro, la cessione dei poteri nazionali alle istituzioni internazionali, vincoli di bilancio e riforme funzionali al mantenimento della sostenibilità dei vincoli e della competitività hanno scardinato il modello che dalla ricostruzione postbellica aveva consentito un ruolo comunitario rilevante al mondo del lavoro ed il conseguimento di riduzione della forbice nell'ingiustizia socioeconomica.
Su questa preesistenza opera da oltre un anno il combinato delle conseguenze della catastrofe pandemica. Le cui conseguenze, per quanto tamponate all'insegna più che altro della tenuta comunitaria, appaiono inimmaginabili in un prosieguo più profondo.
La fuoruscita da scenari che sarebbero devastanti da ogni punto di vista non può non fare riferimento a nuovi contratti sociali imperniati sui principi del pluralismo democratico e su progetti di sviluppo.
Per riattivare, in condizioni ovviamente aggiornate, la simbiosi del 900 tra capitalismo sociale, democrazia e stato sociale. Per promuovere politiche di equità sociale e di pari opportunità emancipative. Per affrontare vecchie e nuove povertà. Per fare dei meriti e dei bisogni l'asse di un progetto di emancipazione e ad un tempo di partecipazione alla vita economica e politica.
Più che da socialisti lo diciamo da testimoni dell'illuminismo, la chiave di volta è rappresentata da una nuova stagione ispirata da un riformismo, incrementale e graduale Posto più che in contrapposizione al massimalismo d'antan, come risposta credibile ed efficace ai populismi correnti.
Puntando ad una società basata sul sapere, con imprese ispirate nel senso di una socialità e servizi di qualità, opportunità diffuse di formazione e istruzione.
Anche se non se ne avvertono tracce significative nelle sollecitudini dei soggetti politici ed istituzionali, occorre farsi convinti che emergenza e riforma vanno di pari passo.
Questo primo maggio rappresenta l'occasione buona per riflettere. (e.v.)
Questa riflessione preliminare serve ad introdurre la pubblicazione dei contributi pervenuti da:
VIRGINIO VENTURELLI, Coordinatore della Comunità Socialista Cremasca
GIUSEPPE AZZONI, già Vicesindaco del Comune di Cremona e Consigliere della Regione Lombardia
ALESSANDRO GABOARDI, già Vicesindaco del Comune di Crema e dirigente delle ACLI
AMEDEO GIULIANI, segretario del Sindacato Pensionati UIL
LE LINEE PORTANTI NEL PENSIERO ATTUALIZZATO DI RICCARDO LOMBARDI
Ricordare questo primo maggio, per il secondo anno segnato dal dramma del coronavirus in tutto il mondo, è un dovere irrinunciabile, visto l'aggravamento delle diseguaglianze esistenti nel mondo del lavoro.
A fronte di una fascia di tutelati che hanno potuto continuare a svolgere il loro lavoro, altri lavoratori hanno dovuto ridurre o addirittura cessare le loro attività, parzialmente sostenuti da qualche aiuto pubblico, altri ancora sono rimasti inattivi, senza prospettive se non quelle di un lavoro irregolare ovvero a condizioni di sfruttamento.
La parola d'ordine dei sindacati, quest'anno è “L'Italia si cura con il lavoro”, unico vero e duraturo antidoto, per ripartire in ogni settore, con l'apporto di una forte accelerazione della campagna vaccinale, nonché dei Fondi europei del Recovery Plan, finalizzati alla implementazione della digitalizzazione, dell'economia verde, delle opere pubbliche, dell'ambiente, della sanità, della scuola.
La fase che stiamo vivendo, i modi di lavorare che abbiamo scoperto, la obbligata solidarietà tra i Paesi europei, impongono delle riflessioni generali affinché il futuro sia realmente diverso dal passato.
Per i socialisti fondamentali in questa ottica, sia pure attualizzate, restano le linee portanti, del pensiero di Riccardo Lombardi:
- piena occupazione: lavorare meno, ma lavorare tutti; critica serrata quindi alle tendenze corporative del sindacato a difesa della parte più forte dei lavoratori ma a detrimento di quella più debole: sotto-occupati, disoccupati, donne e lavoratori del Sud;
- partecipazione dello Stato in qualità di proprietario di imprese di interesse nazionale, anche in funzione concorrenziale al settore privato; opposizione ferma, quindi, al liberismo selvaggio tanto sbandierato, anche in tempi recenti, come ricetta più o meno salvifica;
- una diversa cultura e struttura economica per cui risultano ridondanti le moltissime industrie che producono lo stesso articolo con minime sfumature tra un prodotto e l'altro combattendosi a vicenda a colpi di pubblicità e, soprattutto, di bassi salari: meglio sarebbe un numero minore delle stesse che mirassero non solo alla ricerca del sacrosanto giusto profitto, ma anche della qualità, dell'ambiente e dell'interesse collettivo, ove nel collettivo rientrano anche i lavoratori che ne fanno parte;
- un lavoro anche lento ma teso ad una trasformazione culturale per la quale il fine della vita non sia l'accumulazione della ricchezza fine a sé stessa, ma un giusto equilibrio tra vita lavorativa, vita affettiva e sviluppo culturale dell'essere umano per una società non “più” ricca, ma “diversamente ricca”.
Virginio Venturelli
RIFLESSIONI SUL PRIMO MAGGIO (DI OGGI E DI... CENTO ANNI FA)
Talvolta si sente parlare del disgraziato periodo che attraversiamo in questo primo maggio 2021 quasi come di un “periodo di guerra”. Ed allora la mente può correre agli anni di un secolo fa, quando alle tante vittime della guerra (che pure risparmiò, a differenza della seconda, almeno le costruzioni) si erano aggiunti i morti della pandemia “spagnola”. La miseria toccò punte estreme: mutilati e invalidi, orfani e vedove, disoccupazione e famiglie senza redditi.
Il movimento operaio e le forze che allora lo organizzavano e rappresentavano, le forze del socialismo e da noi anche “bianche” con Guido Miglioli, portarono avanti lotte sociali di grande spessore, sia per adesione di massa sia per qualità delle rivendicazioni e delle azioni amministrative attraverso i Comuni. Ogni primo maggio di quegli anni era occasione forte per rivendicare l'occupazione, la produzione e la disponibilità dei generi di prima necessità, assistenza sanitaria ed ospedaliera, istruzione, solidarietà pubblica (e non solo “carità”) verso le tante famiglie ridotte al freddo e alla fame.
Anche scorrendo le pagine de l'Eco del popolo, de l'Eco dei comunisti, de L'Azione “migliolina” di allora abbiamo notizia di quanto grande fosse la mobilitazione (anche se purtroppo non compatta!) sindacale, politica, cooperativa, dei Comuni. In particolare a Cremona le Amministrazioni socialiste dei sindaci Attilio Botti, Tarquinio Pozzoli, Giuseppe Chiappari sopperirono al deficit dello Stato (e naturalmente allora non c'erano... fondi europei) in modo straordinario. Con assistenza alle famiglie bisognose, col sostegno a cooperative di lavoro, con uno straordinario ventaglio di servizi municipali creati in quegli anni: dalla AEM alle farmacie, da panifici e latterie comunali alla assistenza scolastica al procacciare generi di prima necessità, compresa la legna da ardere, contro la speculazione.
Naturalmente ci volevano entrate straordinarie per le casse comunali. L'Amministrazione chiese di contribuire ai ceti proprietari ed abbienti (alcuni di essi avevano anche goduto di notevoli profitti di guerra). Ciò fu oggetto di durissimo contrasto con questi ceti o parte di essi. Famiglie nobili e ricche parlavano di “spese pazze” del Comune (per loro l'assistenza non era dovere pubblico ma doveva limitarsi alla carità) e addirittura di “espropri bolscevichi”. Fecero persino la “serrata” delle tasse. Il fascismo ne fu strumento, fino al commissariamento del Comune nel 1922 da parte del prefetto che esautorò gli amministratori eletti nel 1920. Sappiamo come andò poi.
Nessun paragone ovviamente con le attuali traversie del nostro Paese. Qualcosa però ci viene evocato dalle prospettive e dalle rivendicazioni e proposte che i sindacati italiani mettono al centro di questo primo maggio 2021. Cioè una azione del potere pubblico che eviti licenziamenti di massa ed induca ad investire in attività produttive, servizi, ricerca, le enormi risorse che si sono accumulate in ben poche mani (anche in questo ultimo anno). Ed uno sforzo straordinario dei poteri pubblici per riuscire davvero ad investire i fondi europei a difesa dell'ambiente e del territorio, in infrastrutture, in sanità e scuola e quant'altro previsto nel piano che si vara in questi giorni. Ma anche la possibilità e la necessità che si chieda ai ceti ricchi che non hanno sofferto perdite in questo periodo un contributo per sostenere in modo adeguato le parti del lavoro dipendente e dei ceti medi che si trovano oggi in gravissime difficoltà.
Le condizioni del passato sono ben diverse ma la storia va ricordata perché può e deve insegnarci qualcosa.
Giuseppe Azzoni
NEL MIO PASSATO UN PRIMO MAGGIO DA DIMENTICARE ED UNO DA RICORDARE
Io posso solo riportarti ricordi in genere belli alcuni meno, altri, uno in particolare, da dimenticare.
Cominciamo quello da dimenticare che è stato forse l'ultimo svolto a Crema con un numeroso corteo che partiva da piazza Garibaldi con arrivo in Piazza Duomo. La Piazza era piena e il palco era piazzato sulla sinistra accanto all'edicola dei giornali. Non ricordo quale ospite dovesse arrivare dall'esterno. Poco male perché non arrivò. Doveva essere qualcuno dei metalmeccanici perché era il periodo nel quale si parlava della possibile chiusura dell'Olivetti. Parlò il segretario della CGIL e quello della CISL ma non poté parlare il segretario della UIL. Era stato spintonato e manganellato già all'inizio del corteo. Non era molto prestante e bastò poco per fargli sbalzare dalla bocca l'impianto dentale.
Era reo di non essere stato d'accordo con le decisioni del Consiglio di Fabbrica dell'Olivetti.
Va detto che fra gli autori di questa bravata pare non ci fosse nessuno dei componenti il Consiglio.
Alcuni di questi personaggi combattono ancora oggi battaglie "democratiche" in Crema.
Il ricordo bello è di qualche anno successivo.
Accompagnavo un numeroso gruppo di turisti in un viaggio in Europa.
Il primo maggio eravamo a Vienna sulla strada del ritorno.
Era domenica. Avevo trovato una chiesa cattolica dove celebravano la messa alle otto. Era situata in centro e potevamo raggiungerla con il pullman, chi non veniva a messa poteva visitare la città, subito dopo saremmo partiti per giungere a Crema nella serata.
La liturgia era in tedesco che tranne un paio di noi nessuno conosceva. Ma questo non era un problema. Anche quando siamo a Bolzano è la stessa cosa.
Al termine della messa il celebrante, dall'altare, ci rivolse in saluto parlando un perfetto italiano.
Ci invitò a partecipare alla sfilata del primo Maggio che sarebbe passata di fronte alla chiesa.
Con nostra e mia grande sorpresa tutto il nostro gruppo aderisce così come la gran parte dei fedeli.
Uscimmo e ci uniamo al corteo nel quale sventolavano le bandiere dei diversi sindacati e partiti.
Il prete, che stette con noi per circa un'ora. Ci disse che era la prima volta che la manifestazione era unitaria. Da anni ogni raggruppamento la celebrava separatamente.
Quell'anno è stata addirittura internazionale!
Alessandro Gaboardi
CONDIVIDERE INSIEME UN PERCORSO PER IMPOSTARE SOLUZIONI SANITARIE, SOCIALI ED ECONOMICHE
In questa grave fase pandemica deve essere messo in campo uno sforzo straordinario per vaccinare. Con particolare attenzione alle persone anziane, a quelle portatrici di disabilità. Bisogna recuperare ritardi ed errori organizzativi e logistici. Questa pandemia sta colpendo tutti, ma come dicono i dati, sta colpendo in particolare le persone più fragili. Stiamo perdendo una generazione di donne e uomini che rappresentano un'importante corso di vita e di memoria storica. Quindi vaccinare, vaccinare e proteggere le fragilità dal virus. Il sindacato è diffuso e presente su tutto il territorio della provincia e come più volte dichiarato è assolutamente disponibile a dare il proprio impegno e contributo. Ma contestualmente all'imprescindibile impegno sanitario di questa fase dobbiamo trovare le giuste soluzioni per tornare alla cosiddetta normalità per evitare agli anziani di stare continuamente in solitudine e riprendere quella necessaria socialità e serenità. Contestualmente come forze sociali imprenditoriali e amministrazioni pubbliche, dovremmo ragionare e condividere insieme un percorso per impostare soluzioni sanitarie, sociali ed economiche per il dopo pandemia. Dobbiamo reimpostare la medicina territoriale, dare nuove prospettive al lavoro e all'occupazione ricostruire forme nuove di socialità e gestione del tempo libero. Costruire un welfare territoriale aumentando la spesa sociale per rispondere meglio ai bisogni delle persone. Ripensare alle RSA dove le persone non devono essere dei semplici ospiti ma trovare anche in quei luoghi quella famigliarità necessaria per un percorso di vita positiva e attiva. Anche se la priorità deve essere quella di rafforzare e previlegiare la scelta della domiciliarità per le persone. E contestualmente aumentando l'impegno e le risorse a sostegno della non autosufficienza per dare alle persone che ne hanno bisogno condizioni adeguate di vita in comunità. A noi tutti il compito di offrire delle innovate soluzioni.
Amedeo Giuliani